PTSD: Come la neuroplasticità cerebrale può aiutarti a guarire

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  • Circa il 15% della popolazione italiana ha sintomi di PTSD post-traumatici.
  • La psicoterapia può modificare la struttura e la funzione delle reti neurali.
  • Il 50% dei pazienti non completa il trattamento per il PTSD.

Il Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD) rappresenta un’importante condizione psicologica caratterizzata da profondo disagio mentale, risultante dall’esperienza diretta o indiretta con eventi decisamente traumatici. Situazioni drammatiche quali attacchi terroristici, guerre sanguinose ed eventi catastrofici causati sia dalla natura sia dall’azione umana—così come incidenti aerei e episodi di violenza brutale prolungata—hanno la potenzialità di infondere cicatrici persistenti nell’anima degli individui. Tali manifestazioni psichiche riguardano tanto le persone direttamente colpite quanto chi ha testimoniato l’evento o ne ha ricevuto notizia: ad esempio familiari coinvolti o operatori d’emergenza. Col passare del tempo, la definizione del PTSD si è evoluta significativamente ed è stata fortemente influenzata dagli approfondimenti derivanti dallo studio dei veterani – soprattutto in seguito al conflitto vietnamita – espandendosi progressivamente per includere una moltitudine diversificata di traumi.

Riconoscere il PTSD attraverso la diagnosi risulta essere un compito arduo: questo disturbo presenta infatti una complessità intrinseca che va oltre i singoli fattori identificabili. L’insorgenza della patologia così come il suo grado di severità sono plasmati dalle intricate interrelazioni tra elementi personali individualizzati e quelli ambientali afferenti all’evento traumatico stesso e ai modi con cui tali esperienze vengono affrontate. La storia sanitaria dell’individuo, insieme alla sua condizione psicologica pregressa, costituiscono elementi fondamentali nella comprensione del trauma subito. È significativo osservare come anche esperienze indirette—quali quelle veicolate dai media—relative a drammi occorsi nella propria comunità o nazione possano suscitare sintomi di PTSD, soprattutto tra le fasce giovanili della popolazione. Seppur alcuni riescano ad affrontare lo shock iniziale grazie al tempo e all’opportuna assistenza morale e psicologica disponibile, per molti altri le conseguenze derivanti dall’evento traumatico si rivelano tutt’altro che transitorie; esse possono manifestarsi sotto forma di effetti negativi duraturi.

Rifacendosi alle varie categorie diagnostiche illustrate nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5), è possibile identificare una pluralità di sintomi riconducibili al PTSD. In particolare emergono nettamente quei sintomi intrusivi, caratterizzati da episodi non desiderati dei ricordi dell’evento traumatico stesso: dalle visioni ripetitive agli incubi intensi fino ai flashback capaci di riprodurre l’esperienza traumatica con così tanta intensità da compromettere sensibilmente l’interpretazione della realtà attuale. Tali eventi si manifestano frequentemente attraverso una significativa reattività fisiologica e un intenso disagio psicologico, attivato da stimoli in grado di rievocare esperienze traumatiche passate.

Un ulteriore aspetto sintomatico è rappresentato dai sintomi d’evitamento. Gli individui affetti da PTSD tendono ad escludere deliberatamente pensieri ed emozioni legati al trauma. Si astengono da conversazioni specifiche così come dall’interazione con attività o ambienti potenzialmente scatenanti. Sebbene all’inizio questa strategia possa apparire come un metodo per affrontare la situazione difficile — un tentativo di coping — essa compromette notevolmente la qualità della vita del soggetto coinvolto. Ciò può condurre a un progressivo isolamento sociale, limitando le abitudini quotidiane.

In aggiunta si riscontrano anche delle alterazioni negative relative alla cognizione e all’umore. Tra queste troviamo l’amnesia dissociativa riguardante elementi essenziali del trauma vissuto; ideologie persistenti degradanti rispetto alla propria persona oppure al prossimo; percezioni errate circa le cause o gli effetti dell’evento occorso; infine vi è uno stato emotivo costantemente negativo caratterizzato da sensazioni quali paura profonda, orrore esistenziale, rabbia intensa, senso implacabile di colpa oppure vergogna opprimente. Non è raro osservare una diminuzione significativa nell’interesse oppure nella partecipazione ad attività rilevanti, accompagnata da un senso marcato di distacco ed estraneità rispetto agli altri.
A completamento del quadro clinico emergono inoltre delle modifiche nel livello d’eccitazione e nella reattività emotiva. I soggetti affetti da PTSD possono rivelarsi inclini all’irritabilità nonché a improvvisi scoppi d’ira; talvolta mostrano comportamenti avventati oppure autodistruttivi. Le difficoltà nella concentrazione sono comuni così come l’aumento delle reazioni d’allerta; questi individui vivono costantemente sotto la percezione che possano trovarsi in pericolo imminente. Tali segnali devono perdurare almeno un mese ed essere sufficienti a generare un notevole disagio psicologico oppure compromettere la capacità funzionale negli ambiti sociale e professionale così come nelle altre dimensioni fondamentali della vita quotidiana. È presente anche una variante dissociativa del PTSD stesso: questa modalità presenta i segni distintivi dei fenomeni correlati alla depersonalizzazione o alla derealizzazione.

Rilevante è la constatazione che il PTSD possa assumere molteplici manifestazioni cliniche. Tra le varianti degne d’attenzione vi è il PTSD con esordio ritardato, ove i segni patologici divengono evidenti solo dopo diversi mesi se non anni dall’evento traumatizzante; altresì si registra il caso del PTSD complesso (C-PTSD), quale risposta consequenziale ai traumi precoci inferti da relazioni interpersonali disfunzionali scaturiti sovente da situazioni abusive o episodi negligenti durante l’infanzia. Il C-PTSD è riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come un disturbo indipendente. Le statistiche di prevalenza del PTSD variano notevolmente a seconda delle popolazioni studiate, con tassi più elevati in contesti di guerra o tra le vittime di abusi cronici. In Italia, studi mostrano che oltre la metà della popolazione ha vissuto almeno un evento traumatico, con un rischio di sviluppare PTSD che varia a seconda della tipologia di evento. È fondamentale promuovere la consapevolezza riguardo al PTSD e ai suoi sintomi per garantire un’identificazione precoce e un intervento tempestivo, che influiscono significativamente sul successo del trattamento.

Statistiche Recenti sul PTSD in Italia:
Secondo uno studio del 2023, circa il 15% della popolazione italiana ha riportato sintomi di PTSD dopo eventi traumatici, con tassi più elevati tra donne e giovani.
Fonte: Statista

Le basi neurologiche del PTSD e il ruolo della neuroplasticità

Comprendere il Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD) richiede uno sguardo approfondito ai suoi meccanismi neurobiologici. Ricerche sul cervello di individui affetti da PTSD hanno rivelato alterazioni significative, in particolare nella regolazione degli ormoni legati allo stress e alla paura. Un attore chiave in questa complessa reazione è l’amigdala, una struttura cerebrale primitiva che gioca un ruolo cruciale nella gestione delle emozioni, specialmente della paura. In condizioni normali, l’attivazione dell’amigdala in risposta a un pericolo innesca una risposta di “attacco o fuga”. Nelle persone con PTSD, tuttavia, questa reazione sembra perpetuarsi oltre la cessazione del pericolo, portando a una produzione anomala e prolungata di sostanze chimiche nel cervello.

An illustration depicting the brain with highlighted areas showing the amygdala and hippocampus, representing the neurobiological changes associated with PTSD.

In aggiunta a questa disregolazione, si osservano alterazioni nei livelli di neurotrasmettitori che influenzano l’ippocampo. L’ippocampo è un’altra regione cerebrale fondamentale, responsabile della memoria e dell’apprendimento. Le disfunzioni a questo livello possono spiegare le difficoltà mnemoniche e la capacità alterata di apprendimento riscontrate in molti pazienti con PTSD. È plausibile che gli stessi squilibri neurotrasmettitoriali siano alla base degli eventi intrusivi e dei flashback che caratterizzano il disturbo, fenomeni in cui il passato traumatico sembra rivivere in modo vivido e doloroso nel presente.
Oltre alle alterazioni neurochimiche, gli studi hanno evidenziato cambiamenti strutturali nel cervello di persone con PTSD, nonché alterazioni del flusso sanguigno cerebrale. Questi riscontri sottolineano la natura profondamente organica delle conseguenze del trauma sulla salute mentale.

È qui che entra in gioco il concetto di neuroplasticità. In epoche passate, il concetto che il cervello degli adulti fosse una struttura essenzialmente immutabile dominava le discussioni scientifiche. Tuttavia, gli sviluppi nelle neuroscienze contemporanee hanno fornito prove convincenti della straordinaria capacità del cervello di differenziarsi e ridefinirsi, anche dopo l’ingresso nella fase adulta. Tale fenomeno è definito come neuroplasticità ed indica l’abilità del sistema nervoso nel sperimentare cambiamenti nella sua architettura funzionale e relazionale, stimolati da varie esperienze vissute oppure da eventi traumatici.
La manifestazione della neuroplasticità avviene tramite differenti meccanismi: dalla generazione di nuove reti sinaptiche (ossia le giunzioni tra i neuroni), all’adattamento della potenza delle connessioni esistenti; dall’emergere di nuovi neuroni in particolari zone cerebrali al riassetto complessivo delle reti neuronali già esistenti. Attraverso tali dinamiche, il cervello è capace non solo di sintonizzarsi su nuove realtà ambientali, ma anche di acquisire competenze inedite ed eventualmente restaurare circuiterie compromesse a seguito di un trauma subito.

Glossario:
  • Neuroplasticità: Capacità del cervello di riorganizzarsi e adattarsi a nuove esperienze o traumi.
  • Amigdala: Area del cervello implicata nella risposta emotiva, specialmente nella paura.
  • Ippocampo: Regione del cervello responsabile della memoria e dell’apprendimento.

Nel contesto del PTSD, la neuroplasticità può avere una doppia valenza. Da un lato, un’eccessiva o disfunzionale plasticità, indotta dallo stress cronico, può contribuire al consolidamento dei circuiti neurali associati alla paura e all’evitamento, perpetuando i sintomi del disturbo. L’ippocampo, come accennato, è particolarmente vulnerabile agli effetti negativi dello stress cronico, che può alterarne la struttura e la funzione, compromettendo la capacità di regolare la risposta di stress. D’altra parte, la neuroplasticità offre una via terapeutica promettente. La possibilità di rimodellare i circuiti neurali patologici apre la strada a interventi che mirano a “resettare” la risposta del cervello al trauma, favorendo una ricostruzione delle reti neurali in senso curativo. Questo potenziale di cambiamento è alla base di molte terapie psicologiche e si sta esplorando attivamente nell’ambito delle terapie innovative per il PTSD. La psicoterapia, ad esempio, è dimostrato che può indurre cambiamenti misurabili nell’attività funzionale del cervello, modificando la struttura e la funzione delle reti neurali coinvolte nel disturbo.

Lo studio dei meccanismi neuroplastici nel contesto del trauma è cruciale per sviluppare strategie terapeutiche più efficaci. Capire come le esperienze precoci durante lo sviluppo possano influenzare l’organizzazione e la funzionalità del cervello adulto è fondamentale per comprendere la maggiore vulnerabilità di alcuni individui al PTSD e per intervenire precocemente. La capacità intrinseca del cervello adulto di creare nuove connessioni neuronali e riprogrammare le proprie reti neurali offre una prospettiva di speranza per il superamento degli effetti invalidanti del trauma.

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Terapie innovative e il potenziale della neuroplasticità nel trattamento del PTSD

Il trattamento rivolto al Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD) storicamente si basa sull’impiego concomitante di interventi farmacologici e terapie psicologiche. Negli ultimi tempi, tuttavia, una maggiore consapevolezza riguardante i processi di neuroplasticità nel cervello, insieme ai meccanismi neurobiologici legati al PTSD, ha condotto alla possibilità dell’emergere di terapie innovative. Queste nuove metodologie hanno come obiettivo quello di modificare attivamente i circuiti neuronali compromessi dall’esperienza traumatica. Il punto cruciale consiste nell’utilizzare il potenziale adattivo del cervello per realizzare una vera e propria guarigione a livello neurologico, non limitandosi solo alla sfera psicologica.

Tra le novità più intriganti, risaltano le innovazioni nel campo delle tecniche non invasive per la stimolazione cerebrale. Tali approcci stanno ricevendo un’attenzione crescente; tra questi figurano la Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS) e il metodo della Stimolazione Transcranica a Corrente Diretta (tDCS). Entrambe queste tecnologie possono incidere su come viene effettuata la modulazione dell’attività neurale nelle aree specifiche correlate agli effetti post-traumatici sul sistema nervoso centrale.

Per esempio, attraverso impulsi magnetici mirati, la Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS) esercita un’influenza diretta sull’attività neuronale nelle regioni selezionate del cervello. Studi preliminari e ricerche sulla TMS suggeriscono un potenziale nel trattamento del PTSD, in particolare per modulare l’attività della corteccia prefrontale, un’area spesso disfunzionale nei pazienti con il disturbo e coinvolta nella regolazione emotiva e nella memoria. Sebbene siano ancora necessarie ulteriori ricerche per definirne l’efficacia e i protocolli ottimali, la TMS rappresenta una promettente opzione terapeutica, specialmente per i pazienti che non rispondono adeguatamente ai trattamenti convenzionali. Le controindicazioni alla TMS sono poche, sebbene l’epilessia rappresenti una delle principali. Gli effetti collaterali sono generalmente lievi e transitori, come una lieve cefalea nel sito di stimolazione.

Tipo di Terapia Meccanismo Utilizzo nel PTSD
Terapia cognitivo-comportamentale Modifica dei pensieri disfunzionali Prima linea di trattamento
TMS Stimolazione cerebrale non invasiva Modulazione della corteccia prefrontale
tDCS Stimolazione elettrica Modifica dell’eccitabilità neuronale
MDMA-assisted therapy Supporto psicoterapeutico con MDMA Promessa nel trattamento

La Stimolazione Transcranica a Corrente Diretta (tDCS) è un’altra tecnica non invasiva che utilizza una debole corrente elettrica per modulare l’eccitabilità neuronale di specifiche aree cerebrali. La tDCS si distingue per essere definita come un approccio terapeutico ben tollerato, senza che gli studi effettuati abbiano evidenziato effetti collaterali gravi; eventuali riscontri sono limitati a una modesta irritazione cutanea. L’semplice applicabilità del metodo insieme alla sua sorprendente durevolezza degli effetti, pongono questa tecnologia come una possibilità intrigante nel rafforzamento delle pratiche psicoterapeutiche e negli interventi comportamentali miranti a trattare i disturbi d’ansia, comprese le condizioni post-traumatiche. Anche se le indagini dettagliate sul ruolo della tDCS nel contesto del PTSD sono in fase di sviluppo continuo, il suo promettente potenziale nel suscitare modificazioni nelle reti neurali collegate alla reattività traumatica fa sì che questo rimanga un dominio investigativo vibrante.

Altre terapie innovative vanno oltre la stimolazione cerebrale: interventi mirati all’esplorazione della neuroplasticità stanno emergendo prepotentemente sulla scena clinica. Tecniche come gli interventi basati sulla realtà virtuale forniscono ai pazienti uno scenario controllato ed esente da rischi per affrontare gradualmente i ricordi dolorosi attraverso procedure chiamate terapia di esposizione; tale strategia consente quindi al cervello umano di rielaborare esperienze angoscianti in un’atmosfera sicura.

Questa pratica reiterata e calibrata può favorire, attraverso il supporto terapeutico, lo sviluppo di nuove connessioni neurali nonché agevolare una significativa desensibilizzazione rispetto alla paura.
La scienza è impegnata nell’indagine del potenziale degli interventi farmacologici, concepiti per modificare indirettamente i processi legati alla sua neuroplasticità o intervenire sulle disfunzioni neuronali nel contesto del PTSD. Sebbene gli esiti specifici della terapia farmacologica siano generalmente meno definitivi rispetto a quelli dei percorsi psicoterapeutici orientati sul trauma, è stato osservato che farmaci come gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) possano attenuare sintomi quali ansia e depressione correlati; alcune ricerche hanno altresì suggerito un possibile impiego del prazosin nella diminuzione degli incubi notturni. L’ambito delle indagini si amplia quindi anche all’impiego di stabilizzatori dell’umore, antipsicotici atipici ed addirittura psichedelici – questi ultimi somministrabili solo sotto rigoroso monitoraggio medico in ambito strettamente clinico – con riferimento agli effetti auspicalmente positivi su neuroplasticità e sintomatologia afferente al PTSD.

MDMA e Psicoterapia: La terapia assistita con MDMA ha dimostrato potenziali effetti positivi nella riduzione dei sintomi del PTSD, con studi che mostrano effetti duraturi anche dopo i trattamenti.
Fonte: Frontiers in Human Neuroscience

Tuttavia, è fondamentale sottolineare che la psicoterapia focalizzata sul trauma, e in particolare la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e la desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari (EMDR), rimangono le terapie di prima linea con le prove di efficacia più solide per la maggior parte delle persone con PTSD. Queste terapie, sebbene non sempre etichettate in termini puramente neuroscientifici, agiscono anch’esse modulando i circuiti neurali attraverso l’apprendimento e la rielaborazione emotiva. È stato dimostrato che la psicoterapia ha la capacità di modificare la struttura e la funzione delle reti neurali disfunzionali.

Sfide nella Trattamento del PTSD: Circa il 50% dei pazienti non completa il trattamento, e coloro che lo fanno mostrano una risposta solo del 50% ai trattamenti disponibili.
Fonte: Reticolato sulla Salute Mentale

Il successo del trattamento nel PTSD dipende anche da fattori non specifici, come la qualità della relazione terapeutica. Un rapporto basato su calore, rassicurazione ed empatia è cruciale quando si lavora con individui che manifestano sintomi come vergogna, evitamento, ipervigilanza e distacco. La consapevolezza della neuroplasticità offre una cornice concettuale per comprendere come queste diverse modalità terapeutiche, sia tradizionali che innovative, possano indurre cambiamenti duraturi nel cervello e favorire la guarigione. La combinazione di approcci che integrano psicoterapia, tecniche di stimolazione cerebrale e innovazioni farmacologiche potrebbe rappresentare il futuro del trattamento del PTSD.

Oltre i sintomi: verso una piena integrazione e resilienza

Il cammino di recupero dal Disturbo da Stress Post-Traumatico rappresenta una sfida complessa, che va oltre la semplice remissione dei sintomi. Implica un processo di integrazione dell’esperienza traumatica nella narrazione della propria vita e la costruzione di una resilienza duratura. La consapevolezza che il cervello non è statico, ma possiede una straordinaria capacità di rimodellarsi attraverso la neuroplasticità, offre una prospettiva fondamentale in questo percorso.

Una nozione base che emerge con forza dallo studio del trauma e della salute mentale è che la nostra esperienza del mondo è mediata dal nostro cervello. Ogni situazione che viviamo, ogni emozione che proviamo, ogni ricordo che conserviamo, è il risultato di complessi processi neurali. Nel caso del trauma, questa mediazione si interrompe o si altera in modo significativo. Il cervello, nel tentativo di proteggerci da un pericolo percepito come esistenziale, può “rimanere bloccato” in una modalità di sopravvivenza, perpetuando risposte di paura e allarme anche in assenza di una minaccia reale. Seppur originariamente efficace nella sua natura adaptativa, questo meccanismo tende a diventare disfunzionale con il passare del tempo; ciò culmina nei sintomi debilitanti caratteristici del PTSD.

In una dimensione superiore della comprensione psicologica e neuroscientifica emerge l’idea che il cervello opera in base a principi predittivi. In virtù delle esperienze accumulate precedentemente dal soggetto, individuiamo come le strutture nervose tendano a formarsi su schemi interpretativi della realtà al fine di prefigurarsi eventi futuri adatti ad evocare reazioni giuste. Tuttavia, nell’ambito di un individuo affetto da PTSD si manifesta una profonda distorsione dei suddetti schemi mentali. Infatti, un trauma subìto può benissimo distorcere le capacità predittive cognitive, portando l’individuo a percepire ogni istante futuro come radicalmente instabile o perfino minaccioso. L’acquisizione delle strategie necessarie alla rielaborazione traumatica è propiziata dai fenomeni legati alla neuroplasticità: essa comporta dunque la necessità di una reimpostazione dei modelli mentali in termini previsionali, consentendo all’individuo di affrontare l’esistenza senza restarne schiacciato da ansie o stati d’allerta continui.

In ogni tipologia d’intervento terapeutico adottato si evidenzia sempre lo sforzo esplicito orientato verso la chiara facilitazione della suddetta ristrutturazione psichica. La psicoterapia aiuta a integrare i frammenti sparsi dell’esperienza traumatica in una narrazione coerente, riducendo l’impatto dei ricordi intrusivi e promuovendo una comprensione più completa di ciò che è accaduto. Le tecniche di esposizione, ad esempio, permettono di riscrivere la “memoria di paura” associata a determinati stimoli, creando nuove associazioni neurali che riducono la risposta di allarme. Le tecniche di stimolazione cerebrale non invasiva, come la TMS e la tDCS, possono potenzialmente facilitare questi processi di riorganizzazione agendo direttamente sulla funzionalità delle aree cerebrali coinvolte.

A serene landscape promoting healing, featuring a sunrise over a calm lake surrounded by lush green trees.

Resilienza e Guarigione: La resilienza non è l’assenza di dolore, ma la capacità di riprendersi e crescere attraverso il trauma, sfruttando la neuroplasticità per riconnettere e ricostruire. In questa dimensione, il concetto stesso di resilienza deve essere inteso non come assenza totale del dolore o delle prove difficili da affrontare; piuttosto emerge quale abilità fondamentale nel sapersi riprendere dopo eventi dolorosi ed esprimere crescita derivante dalle stesse esperienze avverse. La ricerca sulla neuroplasticità sostiene che questa potenzialità sia già presente nel nostro sistema cerebrale. Ancorché a fronteggiare traumi devastanti possa sembrare impossibile agli occhi del soggetto colpito dalla violenza degli eventi, vi rimane sempre l’opportunità efficace di ricostruire le proprie connessioni, abilitando anche lo sviluppo necessario di nuove vie neurali, quindi riscoprendo un sentore rinnovato tanto in termini di sicurezza quanto di benessere psicologico. Naturalmente il processo richiede sforzo personale: il supporto esterno—spesso tramite figure professionali specializzate—si rivela vitale affinché si concretizzi quell’evidente desiderio umano d’apprendere cambiamenti positivi autentici nella vita quotidiana dei soggetti coinvolti. Le problematiche studiate della neuroplasticità diventano così uno strumento irrinunciabile poiché forniscono quel respiro scientifico sostenuto su basi biologiche, dai principi dell’interconnessione dell’esperienza mentale umana a quella fisica stessa del cervello. Un invito costante alla riflessione rimanda ad accettare sin dalle prime fasi percettive cui proseguire: i traumi sperimentati non incatenano inevitabilmente le nostre vite; viceversa possono delinearsi come veri richiami a metterci alla prova con strumenti adeguati per giungere infine a quel riadattamento significativo degno d’essere perseguito con determinazione reattiva!

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