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Soldati israeliani: la guerra invisibile del PTSD

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  • Oltre 12.000 soldati ricoverati dall'ottobre 2023 per riabilitazione.
  • Il 43% dei soldati ricoverati soffre di PTSD.
  • 21% dei pazienti riporta lesioni alla testa e problemi mentali.

Il prolungato conflitto e le operazioni militari intensive a cui sono sottoposti i soldati israeliani hanno un impatto significativo e spesso trascurato sulla loro salute mentale. Le esperienze sul campo, caratterizzate da combattimenti ravvicinati, esposizione a violenze e perdite, lasciano cicatrici profonde che si manifestano in disturbi psicologici, primo fra tutti il Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD). Questa condizione, una volta conosciuta come “nevrosi da guerra”, emerge in seguito a eventi traumatici estremi e può avere conseguenze devastanti sulla vita dei militari e delle loro famiglie.

I dati recenti dipingono un quadro allarmante. Si stima che migliaia di soldati israeliani richiedano assistenza psicologica, un numero notevolmente superiore rispetto agli anni precedenti l’intensificazione del conflitto a Gaza. Un rapporto indica che oltre 12.000 soldati sono stati ricoverati nei centri di riabilitazione del Ministero della Difesa dall’ottobre 2023. Di questi, una percentuale considerevole, stimata intorno al 43%, soffre di PTSD. La rilevazione in questione mette in luce che circa il 50% dei militari attualmente in un processo di riabilitazione è alle prese con le ripercussioni mentali derivanti dal conflitto. [Infopal]. Il problema non si limita soltanto ai danni psichici: i soldati soffrono anche a causa delle ferite fisiche che possono variare notevolmente; una parte ristretta presenta lesioni da moderate a gravi come traumi cranici, amputazioni o persino la perdita permanente della vista. Tale interazione tra traumi corporei ed emotivi contribuisce a rendere l’iter verso la guarigione non solo complicato, ma decisamente prolungato. Una consistente proporzione degli individui interessati è composta da riservisti che ritornano alla loro quotidianità civile dopo aver vissuto atrocità oltre ogni immaginazione; essi portano con sé un fardello costituito dalle esperienze traumatiche accumulate nel corso della loro esperienza bellica. La reintegrazione nella comunità è frequentemente bloccata da manifestazioni legate al PTSD, il che complica ulteriormente il mantenimento di relazioni interpersonali durature sia sul piano affettivo sia professionale.

Le narrazioni autentiche degli uomini d’arme israeliani offrono uno spaccato brutale sulla verità del conflitto stesso, così come sui suoi effetti mentali devastanti. Raccontando episodi legati ai combattimenti all’interno delle abitazioni, alle scelte disperate affrontate nei momenti critici e al timore perpetuo generato dalla presenza minacciosa dei tunnel sotterranei,
questi guerrieri descrivono uno scenario caratterizzato da uno stress incessante e demoralizzante.
È evidente quanto molti trovino ardua la necessità non solo di identificare, ma soprattutto di elaborare le proprie azioni nel corso delle operazioni militari: dover privare della vita un avversario per garantirsi l’incolumità può risultare estremamente difficile da giustificare eticamente nelle situazioni più nebulose. Questi ricordi traumatici si ripresentano sotto forma di incubi, flashback e pensieri intrusivi, rendendo il quotidiano una lotta costante.

«Quando sei sulla linea del fuoco non puoi permetterti di pensare a casa, ai tuoi cari, ai tuoi genitori… Hai solo tempo di colpire il nemico»

La guerra che i soldati combattono non è solo quella sul campo, ma anche quella interiore contro il trauma. Questo conflitto silenzioso ha conseguenze tangibili, come evidenziato dai casi di suicidio tra i militari. Sebbene i dati ufficiali sui suicidi non siano sempre immediatamente disponibili o resi pubblici in dettaglio, diverse fonti riportano episodi tragici legati al PTSD e alla sofferenza mentale tra i reduci. La mancanza di fiducia in alcune istituzioni da parte di alcuni soldati può anche rappresentare un ostacolo alla ricerca di aiuto, aumentando il rischio che la sofferenza psicologica rimanga inascoltata e porti a esiti fatali.

La dimensione del problema è tale che si prevede un aumento significativo del numero di soldati che necessiteranno di assistenza psicologica nei prossimi anni. Secondo le valutazioni attuali, si prevede che nel prossimo decennio un numero cospicuo di veterani, quantificabile in decine di migliaia, potrebbe trovarsi a dover affrontare problematiche legate al PTSD. Tale prospettiva sottolinea la necessità pressante non solo di rafforzare i servizi dedicati alla salute mentale dei militari, ma anche la priorità da dare all’elaborazione e all’implementazione efficace di sistemi preventivi e interventi tempestivi, fondamentali per attenuare gli effetti devastanti del trauma.

Le sfide del supporto psicologico nelle Forze di Difesa Israeliane (IDF)

Le Forze Armate Israeliane (IDF) insieme al Ministero della Difesa hanno avviato una serie articolata di interventi volti a fronteggiare l’allarmante crisi della salute mentale tra le truppe militari. Stando a quanto riportato, moltissimi soldati hanno già ricevuto aiuto psico-emotivo dall’ottobre 2023, con un risultato tangibile rappresentato dall’inaugurazione di nuovi centri specializzati e un incremento significativo nel numero degli operatori formati per offrire supporto psicologico adeguato. A tale proposito, è utile sottolineare come il centro dedicato alla riabilitazione psichiatrica gestito dal Ministero abbia registrato un notevole aumento – triplicando rispetto all’anno prima dell’intensificazione del conflitto – nel numero dei militari soggetti a trattamento psichico, rivelando così la forte pressione esercitata sulle strutture già attive ed evidenziando l’urgenza di ampliare i servizi offerti.

Dall’inizio dell’operazione, il 21% dei pazienti riceve trattamenti specifici, segnala “ferite alla testa” e manifesta sintomi riconducibili a disturbi da stress post-traumatico oppure ad altre problematiche collegate alle difficoltà mentali derivanti dalle esperienze vissute in contesto bellico. [Analisidifesa]. In risposta all’attuale crisi, la sanità militare israeliana ha implementato azioni premesse ad affrontare efficacemente la situazione. Un nuovo centro dedicato alla salute mentale, attrezzato con una clinica focalizzata sul trattamento delle conseguenze psicologiche post-traumatiche, è stato inaugurato grazie alla cooperazione con terapisti civili. Inoltre, l’unità del Corpo dei Medici specializzata nella salute mentale ha sviluppato una rete ampia e articolata che si estende su tutto il territorio nazionale al fine di rispondere in modo agile e soddisfacente alle esigenze dei soldati.

Un aspetto fondamentale all’interno della pianificazione strategica è consistito nell’invio immediato degli specialisti nei vari reparti coinvolti nelle operazioni a Gaza. Sottufficiali quali psicologi, psichiatri e assistenti sociali hanno avuto incarico diretto nel supportare i combattenti all’indomani degli episodi traumatici sperimentati in contesto bellico. Nella settimana iniziale del conflitto armato sono stati rapidamente impiegati circa ottocento esperti in materia psicologica affinché potessero assolvere tale compito delicatissimo; ciò sottolinea senza dubbio l’ampiezza dell’impegno sostenuto da parte delle autorità competenti.

Tuttavia, rimangono numerose difficoltà da affrontare nonostante queste iniziative significative. La <> dei militari sta emergendo come un tema cruciale in contesti bellici attuali, dal momento che una crescente percentuale presenta evidenti segnali di disagio psicologico. L’intensità prolungata della guerra contribuisce all’insorgere costante di nuove manifestazioni traumatiche, saturando le risorse disponibili per offrire assistenza adeguata agli individui in difficoltà. Non solo le strutture sanitarie faticano nell’affrontare questa crisi, ma anche il grave fenomeno della stigmatizzazione delle problematiche mentali rappresenta uno scoglio insormontabile per numerosi soldati desiderosi di intervenire prima sui propri malesseri.
Risulta essenziale costruire un ambiente dove i militari possano esprimersi liberamente riguardo alle proprie esperienze emotive e cercare soccorso senza vivere l’angoscia di subire conseguenze negative sulle loro carriere o sul giudizio da parte dei colleghi. È vitale sviluppare una cultura aziendale atta a enfatizzare l’importanza della <>, riconoscendo nella richiesta d’aiuto non tanto una mancanza, quanto piuttosto un chiaro indice di resilienza – opponendosi così alla visione stereotipica che identifica tale gesto con debolezza – dato il ruolo preminente svolto dal <> insieme ad altre patologie collegate al trauma nel contesto odierno.

Cosa ne pensi?
  • È confortante vedere che si sta prestando attenzione al PTSD nei soldati......
  • È inaccettabile che i soldati israeliani soffrano così tanto dopo......
  • Forse dovremmo considerare il PTSD come una ferita di guerra, tanto quanto......

L’impatto a lungo termine e le prospettive future

Le conseguenze del PTSD per i soldati israeliani vanno ben oltre il periodo del servizio attivo e possono avere un impatto duraturo e profondo sulle loro vite private e sociali. Il trauma non si esaurisce con la fine delle operazioni militari, ma continua a manifestarsi nel lungo termine, influenzando le relazioni familiari, la capacità lavorativa e la qualità generale della vita. Molti veterani affetti da PTSD lottano con flashback invalidanti, incubi ricorrenti, ipervigilanza, irritabilità e ritiro sociale.

«Non eravamo preparati ad affrontare quello che è accaduto il 7 ottobre. Abbiamo avuto diverse guerre, ma nulla paragonabile a questo»

Questi sintomi possono rendere difficile mantenere un impiego stabile, costruire e preservare relazioni interpersonali sane e partecipare attivamente alla vita di comunità. Le famiglie dei soldati con PTSD sono spesso anch’esse colpite, dovendo affrontare le sfide poste dai cambiamenti comportamentali e dalle difficoltà emotive del proprio caro. Analisi approfondite e osservazioni dirette indicano chiaramente come sia essenziale attuare interventi tempestivi, oltre ad assicurare un sostegno costante, al fine di attenuare le ripercussioni durature associate al trauma. Esperti nel campo della salute mentale impegnati nell’assistenza ai militari afflitti da eventi traumatici evidenziano quanto sia fondamentale guidarli verso una rielaborazione sana delle loro vicissitudini personali. Tale approccio comprende non solo l’invito a esprimere liberamente le proprie emozioni, ma anche l’acquisizione di competenze efficaci nella gestione dello stress, fino all’opzione dell’accesso a percorsi terapeutici mirati al trattamento del trauma stesso.

Un elemento chiave nel processo d’aiuto è rappresentato dal rafforzamento delle relazioni interpersonali tra commilitoni. La coesione sociale ricavata da una comprensione condivisa delle difficoltà affrontate gioca un ruolo determinante nella fase recuperativa. Progetti finalizzati a incentivare interazioni significative fra pari si rivelano utili nel favorire uno scambio aperto su storie individuali e contribuendo così alla diminuzione dell’isolamento sociale.

Le implicazioni durevoli derivanti dal conflitto incidono non soltanto sui singoli soldati, ma si estendono anche all’intera collettività israeliana. Il dolore psicologico subito dai militari incide profondamente sulle loro famiglie, avendo conseguenze dirette anche sulla comunità nel suo insieme. Pertanto, affrontare con prontezza ed efficienza il fenomeno del PTSD, così come fornire assistenza ai veterani, si configura come una sfida primaria tanto dal punto di vista della sanità pubblica, quanto da quello della responsabilità collettiva. È imprescindibile instaurare un impegno costante affinché coloro che hanno prestato servizio al proprio paese possano accedere alle cure necessarie a reintegrarsi nella vita quotidiana all’insegna della serenità.

Le proiezioni indicano un numero crescente di militari bisognosi di riabilitazione negli anni futuri, confermando così l’evoluzione permanente della crisi collegata alla salute mentale derivante dal conflitto. Questa situazione esige investimenti rilevanti nell’ambito delle strutture sanitarie dedicate al supporto psicologico, unitamente a una diffusione più intensa della consapevolezza sociale riguardo all’importanza del sostegno a favore dei veterani impegnati nella lotta contro il trauma subito. Un approccio risolutivo a tale problematica rivestirà pertanto fondamentale importanza sia per la stabilità individuale degli ex combattenti sia per la forza coesiva dell’intera società israeliana.


Il trauma e la resilienza nel prisma della psicologia

Il Disturbo da Stress Post-Traumatico, o PTSD, è un esempio lampante di come eventi esterni estremi possano alterare profondamente il funzionamento cognitivo ed emotivo di un individuo. Nella psicologia cognitiva, il trauma interrompe i normali processi di elaborazione delle informazioni, portando a un’eccessiva focalizzazione sugli aspetti minacciosi dell’esperienza e a difficoltà nell’integrare il ricordo traumatico nella narrazione personale. Le memorie del trauma rimangono “incapsulate”, innescando reazioni di paura e ansia anche in assenza di un pericolo reale. Dal punto di vista della psicologia comportamentale, il PTSD si manifesta con comportamenti di evitamento (di situazioni, persone, pensieri legati al trauma) e con risposte iperattive del sistema di allerta, come l’ipervigilanza. Questi comportamenti, sebbene apparentemente adattivi nel breve termine per ridurre l’angoscia immediata, impediscono in realtà l’elaborazione del trauma e il recupero.

Una nozione base fondamentale è che il trauma non è una debolezza, ma una normale reazione a un evento anormale. Il nostro cervello è evoluto per riconoscere e rispondere al pericolo per garantire la sopravvivenza, ma in seguito a traumi estremi, questi meccanismi di difesa possono diventare disfunzionali. La resilienza, intesa come la capacità di affrontare e superare le avversità, non significa non soffrire, ma piuttosto disporre o sviluppare le risorse interne ed esterne per processare l’esperienza traumatica e riprendere un percorso di vita significativo.

Addentrandoci in una nozione più avanzata, possiamo considerare il ruolo della distorsione cognitiva nel PTSD. Dopo un trauma, gli individui possono sviluppare convinzioni negative su se stessi, sul mondo e sul futuro (“sono un codardo”, “il mondo è un posto pericoloso”, “non guarirò mai”). Queste convinzioni distorte mantengono il ciclo del PTSD rafforzando la paura e l’evitamento. Le terapie cognitivo-comportamentali specifiche per il trauma, come la Terapia dell’Esposizione o la Ristrutturazione Cognitiva, mirano proprio a modificare queste convinzioni disfunzionali e a rielaborare la memoria traumatica in un contesto sicuro. La narrazione relativa ai soldati israeliani e all’impatto duraturo della guerra su chiunque ne sia colpito suscita una profonda introspezione. Oltre alle considerazioni politico-militari esistenti, emerge un aspetto fondamentale: l’esperienza umana soggettiva e la sofferenza invisibile, radicata nell’animo delle persone coinvolte. È imprescindibile analizzare il trauma sotto una luce non solo clinica ma altresì empatica; tale comprensione rappresenta infatti la condizione iniziale per fornire assistenza veramente adeguata. Ci pone interrogativi circa l’abilità collettiva nel fronteggiare tali complessità sociali – nel saper abbracciare e sanare cicatrici che restano altrimenti occultate – riconoscendo con lucidità che i costi più gravosi del conflitto bellico vanno oltre alle mere perdite materiali; essi risiedono nelle lotte interiori silenziose cui molti individui sono costretti a far fronte quotidianamente.


Articolo e immagini generati dall’AI, senza interventi da parte dell’essere umano. Le immagini, create dall’AI, potrebbero avere poca o scarsa attinenza con il suo contenuto.(scopri di più)

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