- Oltre il 65% delle guide alpine ha affrontato eventi traumatici, come incidenti da valanga.
- Il 40% delle vittime sepolte da valanghe mostra segni di DPTS.
- Il 25% dei primi soccorritori sviluppa DPTS, simile alle vittime.
- Il 20% dei ricoverati per incidenti montani ha segni di DPTS dopo 6 mesi.
- Terapia ambulatoriale migliora il DPTS in 8-12 mesi per sintomi meno gravi.
Nell’ambito degli interventi montani, che per loro stessa natura si rivelano complessi e spesso segnati da condizioni estreme, si manifesta una profonda impronta non soltanto sulle vittime coinvolte, ma anche sui volontari dedicati al soccorso alpino. La dimensione psicologica delle operazioni è diventata un tema sempre più attuale nel discorso sulla salute mentale legata alle professioni d’emergenza. Malgrado siano notoriamente dotati di resilienza e preparazione, uomini e donne impegnati nei servizi urgenti sono soggetti all’impatto emotivo derivante dall’esposizione a situazioni traumatiche—nella maggior parte dei casi impreviste o particolarmente violente—che richiedono senza dubbio attenzione medica specializzata.
A tal proposito, uno studio condotto in Svizzera ha rivelato che oltre il 65 % delle guide alpine ha personalmente affrontato o assistito a vicende traumatiche; fra questi episodi spiccano per frequenza gli incidenti legati alle valanghe, le cadute dalle vette elevate e gli smottamenti del terreno. Le caratteristiche improvvise ed elusive di tali situazioni contribuiscono ad aumentare significativamente il potenziale sviluppo dei disturbi post-traumatici da stress (DPTS).
Un recente studio focalizzato sugli incidenti causati da valanghe ha messo in luce dati allarmanti: il 40 % delle vittime completamente sepolte e il 20 % delle persone parzialmente sommerse manifestano segni di Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS). Tali percentuali sono considerevolmente elevate rispetto al rischio medio di DPTS associato a varie categorie traumatiche, che si attesta attorno al 4 %, come evidenziato in una ricerca condotta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)1. Questi dati sottolineano la peculiarità e l’elevata traumaticità degli eventi che si verificano in montagna.
Ma l’impatto psicologico non si limita alle vittime dirette. Anche i testimoni e i soccorritori sono fortemente esposti a questo rischio. Uno studio norvegese ha dimostrato che il 25 % dei primi soccorritori intervenuti in un incidente da valanga ha sviluppato un DPTS, una percentuale quasi equiparabile a quella delle vittime stesse. Questo dato evidenzia la vulnerabilità anche di coloro che si trovano in prima linea, chiamati a gestire situazioni di estrema gravità e a confrontarsi con scenari spesso strazianti. La natura del soccorso in montagna, che implica spesso lunghe e faticose progressioni in ambienti ostili, elevata altitudine, condizioni meteorologiche avverse e pericoli oggettivi come il rischio di valanghe o cadute, aggiunge ulteriori fattori di stress all’esperienza traumatica in sé.
L’assistenza psicologica, come quella offerta da realtà come «Psicologi per i popoli», riveste un ruolo cruciale nel fornire supporto sia alle vittime che ai soccorritori. L’intervento da parte di psicologi specializzati, in grado di agire efficacemente tanto durante le grandi calamità quanto nei contesti delle micro-emergenze quotidiane, si rivela essenziale per gestire le ripercussioni psicologiche derivanti da eventi traumatici, siano esse immediatamente avvertibili oppure manifestandosi nel lungo periodo. Il fattore tempo nell’intervento psicologico emerge come cruciale per evitare la cronificazione del DPTS e dei disturbi ad esso collegati.
Il disturbo post-traumatico da stress: una reazione tardiva e complessa
Il disturbo post-traumatico da stress rappresenta una manifestazione psichica che si palesa con un notevole ritardo rispetto al verificarsi dell’evento traumatico. Nonostante le circostanze critiche siano state risolte, permane l’impressione angosciante poiché l’orrore può persistere, come evidenziato in un articolo dedicato alla questione. L’elaborazione del trauma avviene attraverso meccanismi disfunzionali; esso continua a costituire una minaccia attuale anche se il fatto doloroso appartiene ormai al passato.
Elementi sensoriali quali suoni e odori possono sollecitare inconsapevolmente parti della memoria legate all’esperienza traumatica: ciò accade non sotto forma di semplici riflessioni, ma emerge piuttosto attraverso autentiche esperienze corporee e mentali giustapposte ai relativi sintomi manifestanti. Attualmente si stima che circa il 20 % degli individui ricoverati per eventi catastrofici in montagna continuino a presentare segni clinici correlati al DPTS sei mesi dopo la loro esperienza traumatica2.
L’insorgere della suscettibilità al Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS) è condizionato da vari elementi personali. Questi comprendono l’esistenza pregressa di problemi psichiatrici già diagnosticati, predisposizioni genetiche verso alcune patologie psicologiche e un passato caratterizzato da eventi traumatici significativi. A livello cerebrale, tale disturbo genera modifiche neurofisiologiche che possono essere oggettivamente osservate. Sono stati documentati cambiamenti specifici nella parte frontale del cervello; ciò comporta variazioni nelle emozioni avvertite e frequentemente si accompagna a sentimenti contraddittori, oltre ai disordini cognitivi correlati al pensiero.
È opportuno sottolineare che vengono anche potenziate risposte di paura acute nei soggetti colpiti: uno studio recente ha messo in luce che coloro che soffrono di DPTS commettono frequentemente errori nel calcolo delle probabilità dell’evento futuro e, analizzando tali circostanze, spesso mancano di un giudizio obiettivo sull’attuale realtà alterata dall’impatto traumatico subito.
Tuttavia, non è solo il DPTS a emergere in seguito all’esperienza traumatica; esso rappresenta solo uno dei tanti possibili effetti collaterali negativi sul benessere psico-fisico dell’individuo. Il panorama comprende diverse condizioni quali difficoltà depressive e ansiose, assieme ad altre problematiche somatiche come emicranie ricorrenti e affezioni legate all’apparato cardiovascolare.
Il Disturbo da Stress Post-Traumatico (DPTS) si presenta con modalità estremamente individuali, rendendo difficile l’individuazione di un momento specifico in cui emerge. Nondimeno, è sovente osservabile entro sei mesi dall’esperienza traumatica.
I segni distintivi di questa condizione comprendono esperienze intrusive dell’evento traumatico come flashback ed episodi onirici ricorrenti disturbanti. Inoltre, può palesarsi una difficoltà cronica a provare emozioni intense insieme a stati d’animo apatici. Tra i principali segnali d’allerta figurano l’indifferenza verso le interazioni sociali, una sensazione generale di mancanza d’interesse per la vita quotidiana e il tentativo costante di evitare situazioni associate al trauma stesso. Da non sottovalutare anche l’aumento dell’ansia e le difficoltà nel mantenere un sonno riposante; elementi chiave essenziali al processo rigenerativo della salute mentale post-trauma.
- 🚑 Un plauso al Soccorso Alpino per la loro dedizione......
- 😔 È inaccettabile che i soccorritori non ricevano adeguato supporto psicologico......
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Gestione e trattamento del trauma nei soccorritori
Nell’affrontare situazioni traumatiche, risulta essenziale comprendere le differenze tra le reazioni allo stress acuto e il più grave disturbo post-traumatico da stress (DPTS). Subito dopo l’evento traumatizzante si osserva frequentemente una risposta shock, che può manifestarsi attraverso stati emotivi quali confusione, paura intensa, tristezza profonda, rabbia o stanchezza estrema. Questi effetti non colpiscono soltanto le vittime dirette ma anche i testimoni e gli operatori soccorritori—particolarmente nel contesto del salvataggio in montagna—che possono anch’essi subire simili perturbamenti emozionali.
L’importanza della diagnosi rapida per coloro che potrebbero essere vulnerabili al DPTS non può essere sottovalutata; quindi è fondamentale procedere con uno screening psicologico nel giro approssimativo di sette giorni dall’episodio traumatico. Tale approccio preventivo trova applicazione nelle pratiche seguite dalla Guardia Aerea Svizzera di Soccorso (Rega), la quale offre visite mediche specialistiche ai pazienti e ai testimoni coinvolti negli incidenti; questo costituisce uno standard d’eccellenza nella gestione tempestiva degli eventi traumatici. I rischi correlati ai tentativi suicidari rendono il trattamento tempestivo imprescindibile; tuttavia si deve prestare attenzione anche ai disturbi del sonno che fungono da campanello d’allarme significativo.
L’importanza del tempismo nell’intervento terapeutico rappresenta un elemento cruciale per delineare una prognosi favorevole.
Nella gestione dei traumi si cela uno dei maggiori rischi: i sintomi possono essere facilmente ignorati o male interpretati, specialmente considerando l’intervallo temporale fra l’evento traumatico e la comparsa delle manifestazioni cliniche stesse. L’esistenza di vulnerabilità preesistenti contribuisce altresì alla differenziazione nei segni clinici osservabili, rendendo così lo scenario terapeutico decisamente più intricato. Spiace constatare che persista un atteggiamento culturale incline alla sottovalutazione delle ferite psicologiche, così come al rinvio degli interventi da parte degli specialisti; tale comportamento scaturisce principalmente dal perdurante stigma associato alle problematiche mentali, frequentemente percepite quali segnali di fallimento personale. In taluni casi, rivolgersi a un aiuto esterno viene esperito come segnale d’impotenza morale. Di contro, procrastinare la terapia comporta anche allungamenti nei tempi necessari al recupero e ne complica ulteriormente il decorso, talvolta richiedendo addirittura approcci farmacologici.
L’intento della cura del Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS) non si configura nell’eliminazione totale o nella rimozione definitiva dell’evento traumatico stesso; piuttosto si fonda sull’integrazione dell’esperienza traumatica all’interno della narrazione vitale dell’individuo.
L’attività nel senso del ricordo si presenta come uno dei momenti più sfidanti per i pazienti; inizialmente questa esperienza potrebbe rivelarsi oltremodo complessa. Un passaggio cruciale consiste nel chiarire ai soggetti coinvolti che le loro risposte emotive all’evento traumatico non sono affatto rare o anomale. Si procede quindi a introdurli a un confronto mediante tecniche mirate al rilassamento e altre strategie complementari. Sempre riguardo a tale argomento, uno studio condotto dalla University of California di Berkeley dà prova dell’utilità delle esperienze positive legate alla natura come metodo efficace per favorire il benessere psicologico in questi frangenti specifici. L’intento finale risiede nell’evolvere la percezione relativa all’incidente accaduto: convertendo la memoria traumatica da una potenziale causa d’ansia presente a una dimensione integrante della propria storia personale.
I tassi relativi alla possibilità di recupero da disturbi post-traumatici stressivi (DPTS), soprattutto qualora derivino dall’esperienza isolata di un evento critico, appaiono notevolmente favorevoli; si configurano anzi eccezionalmente positivi. Nonostante ciò, il cammino verso la terapia potrà manifestare ampie discrepanze tra differenti individui; nei casi caratterizzati da sintomi meno gravi, una semplice terapia ambulatoriale potrebbe rivelarsi adeguata per facilitare significativi miglioramenti entro un tempo stimabile tra gli otto e dodici mesi.
È opportuno notare che circa il 33 % dei pazienti sperimenta una evoluzione cronica; per costoro, le trattative terapeutiche possono durare fino a tre anni. Inoltre, la cronicizzazione del DPTS non solo compromette ulteriormente il benessere psichico, ma amplifica significativamente le probabilità di insorgenza di altre affezioni fisiche, come quelle cardiache e polmonari. Ciò sottolinea quanto sia fondamentale intraprendere azioni correttive in modo rapido ed efficiente.
Oltre l’intervento: la cura del sé nel soccorso
Il lavoro del soccorso alpino ci pone di fronte a una realtà potente: l’esposizione a eventi limite ha un impatto profondo sulla psiche, una lezione che la psicologia cognitiva e comportamentale ci ha ampiamente dimostrato. La nostra mente non è una tabula rasa; ogni esperienza, specialmente quelle cariche emotivamente, viene codificata, elaborata e immagazzinata. Nel contesto del trauma, questa elaborazione può subire disfunzioni, intrappolando il ricordo in una rete neurale che lo mantiene «vivo» e capace di riattivarsi in modo involontario, con sensazioni fisiche e psicologiche, i famigerati flashback. È qui che entrano in gioco le basi della psicologia: comprendere i meccanismi con cui la mente processa l’informazione e l’emozione è il primo passo per affrontare le conseguenze del trauma. Capire che quelle reazioni intense e apparentemente illogiche sono la risposta di un cervello che cerca di gestire un carico informativo ed emotivo eccessivo è fondamentale sia per le vittime che per i soccorritori. Si tratta di una disfunzione nel sistema di elaborazione della memoria, non di una debolezza caratteriale.
A un livello più avanzato, la psicotraumatologia ci insegna l’importanza cruciale della resilienza, non solo come capacità innata di superare le avversità, ma come insieme di processi dinamici che possono essere potenziati. Per i soccorritori, la resilienza non è solo addestramento fisico e tecnico, ma anche preparazione psicologica, una sorta di «vaccino» mentale. Questo implica la formazione su come riconoscere i segnali di distress in sé stessi e nei colleghi, l’apprendimento di tecniche di coping e la promozione della coesione di squadra, un elemento di supporto sociale che agisce come fattore protettivo. Il «debriefing» post-intervento, la condivisione immediata delle emozioni e delle esperienze all’interno dell’equipaggio, citato come tecnica consigliata, è un esempio concreto di un approccio avanzato basato sulla psicologia delle emergenze. È un modo per iniziare a disinnescare la carica emotiva dell’evento, prima che si cristallizzi in una memoria traumatica disfunzionale.
Riflettiamo su quanto siamo attenti al benessere psicologico di coloro che si prendono cura della nostra sicurezza in contesti così rischiosi. Pensiamo a come, nella nostra vita quotidiana, gestiamo le esperienze difficili. Le accantoniamo sperando che scompaiano da sole, o cerchiamo attivamente strumenti per elaborarle e integrarle? L’esperienza dei soccorritori alpini ci offre uno spunto potente: prendersi cura di sé stessi, anche in situazioni estreme, non è un lusso, ma una necessità, un prerequisito per poter davvero essere d’aiuto agli altri.
Fasi di gestione:
- Fase dell’Allarme: Preparazione e reazioni fisiche e cognitive.
- Fase della Mobilitazione: Interazione con i colleghi e recupero dell’autocontrollo.
- Fase dell’Azione: Manifestazione di emozioni e gestione dello stress.
- Fase della Smobilitazione: Ritorno alla normalità e gestione del carico emotivo.
- Resilienza: Capacità di recuperare dopo eventi difficili.
- DPTS: Disturbo Post-Traumatico da Stress, una reazione psicologica dopo esposizione a traumi.
- Debriefing: Discussione post-evento per elaborare esperienze emotive e promuovere la salute mentale.
- Flashback: Rievocazione vivida di un evento traumatico.
- Autocontrollo: Capacità di mantenere la calma e gestire le emozioni in situazioni di stress.

1 OMS, Report on mental health consequences of mountain accidents, 2022.
2 Eurac Research, «Mountain Disaster Aftermath», 2023.
- Informazioni ufficiali sui requisiti per diventare soccorritore alpino, qualifica OSA/OTS.
- Sito ufficiale di Psicologi per i Popoli, offre supporto psicologico in emergenze.
- Pagina dell'Istituto Superiore di Sanità sullo stress post-traumatico.
- Studio svizzero sull'impatto degli eventi traumatici sulle guide alpine.