- Il 5% della popolazione mondiale soffre di disturbo post-traumatico da stress.
- Sette persone su dieci vivono un evento traumatico nella loro vita.
- Il rischio di sviluppare PTSD raggiunge il 14% in categorie esposte.
Oggi, 7 novembre 2025, alle ore 18:32, ci troviamo di fronte a una realtà allarmante: il disturbo post-traumatico da stress (PTSD) colpisce fino al 5% della popolazione mondiale. Questa condizione, spesso incompresa e sottovalutata, emerge come una delle sfide più pressanti nel campo della salute mentale a livello globale. Sette persone su dieci sperimentano un evento traumatico nel corso della loro vita, con un rischio di sviluppare PTSD che può raggiungere il 14% in categorie particolarmente esposte, come le vittime di guerre e gli operatori sanitari in prima linea.
La portata di questa problematica è stata ampiamente discussa durante il recente Congresso Mondiale di Psichiatria a Praga, con particolare attenzione alle conseguenze dei conflitti in corso, che l’ONU stima essere oltre 50 in tutto il mondo. Le testimonianze provenienti dall’Ucraina, presentate nel report “The Lancet Psychiatry Commission on mental health in Ukraine”, hanno evidenziato le profonde ferite psicologiche inflitte alla popolazione, soprattutto ai bambini. La psichiatra Iryna Pinchuk, vicepresidente della Società Ucraina di Psichiatria, ha sottolineato come la distruzione delle città si accompagni a “lacerazioni silenziose delle menti”, richiedendo un impegno etico globale per costruire una psichiatria capace di accogliere e curare le ferite invisibili della guerra e della violenza.

La Trasmissione Intergenerazionale del Trauma: Un’Eredità Invisibile
Uno degli aspetti più preoccupanti del PTSD è la sua trasmissione intergenerazionale. Studi recenti dimostrano che il trauma può lasciare un’impronta biologica e culturale che si manifesta nelle generazioni successive, anche in contesti sicuri. Questo significa che i figli e i nipoti di persone che hanno subito traumi possono presentare gli stessi segni e sintomi di vulnerabilità, pur non avendo vissuto direttamente l’evento traumatico.
Liliana Dell’Osso, presidente della Società Italiana di Psichiatria (SIP), sottolinea che “l’impatto del trauma non si esaurisce quando tacciono le sirene o si varca un confine”. Il trauma si cristallizza in una “memoria viva, biologica e culturale”, e la sua prevenzione e un tempestivo intervento terapeutico rappresentano un dovere collettivo per il benessere psicologico di tutti. Emi Bondi, presidente uscente della SIP, ribadisce l’importanza di percorsi specifici e approcci integrati nei Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) territoriali italiani, al fine di fronteggiare le esigenze di migranti e altre categorie di soggetti che hanno subito gravi violenze.
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Fattori di Rischio e Resilienza: Comprendere le Dinamiche del PTSD
La suscettibilità al PTSD varia notevolmente in base a diversi fattori di rischio e resilienza. Le donne, i bambini, gli adolescenti e i soccorritori sono considerati categorie particolarmente vulnerabili. Massimo Clerici, vicepresidente della SIP, evidenzia come anche l’esposizione indiretta al trauma attraverso i media possa avere un impatto significativo, soprattutto sui bambini e sugli adolescenti. Il termine “vittimizzazione” descrive la possibilità di diventare l’aggressore, dopo aver sperimentato direttamente traumi legati alla violenza stessa.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha stabilito sei direttive fondamentali per la prevenzione e l’intervento, sperimentate con successo anche nelle situazioni più complesse. Queste includono una guida chiara e coerente delle istituzioni, una filosofia comune della cura, l’integrazione tra sanità, scuola, servizi sociali e comunità, una comunicazione intesa come strumento terapeutico, e la costruzione di reti operative tra professionisti. Giulio Corrivetti, vicepresidente SIP, sottolinea le difficoltà di finanziamento della salute mentale in molti Paesi, dove sono garantiti al minimo solo i servizi medici per il contrasto alle malattie infettive.
Oltre la Sopravvivenza: Ricostruire un Futuro di Benessere
La pandemia di COVID-19 ha rappresentato un evento traumatico su scala mondiale, con implicazioni psicopatologiche che vanno ben oltre la morbilità e la mortalità dei contagiati. Studi hanno mostrato un aumento del disagio psichico nei soggetti con patologie preesistenti, negli operatori sanitari e nella popolazione generale, con una prevalenza variabile di sintomi d’ansia, depressione e PTSD.
La letteratura scientifica evidenzia diversi fattori di rischio, come la residenza in zone intensamente colpite, il sesso femminile, l’isolamento, le difficoltà economiche e i lutti. Contestualmente, sono stati identificati specifici elementi di resilienza, come efficaci strategie individuali di adattamento, una maggiore coesione sociale e l’esistenza di solidi sistemi di supporto. È fondamentale considerare che l’interazione tra trauma e vulnerabilità individuale determina esiti psicopatologici differenti.
Un Approccio Olistico alla Cura del Trauma: Verso una Salute Mentale Integrata
Per affrontare efficacemente il PTSD, è necessario un approccio olistico che integri interventi farmacologici e psicosociali. Gli antidepressivi SSRI e SNRI sono considerati trattamenti di prima linea, mentre la psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT) focalizzata sull’elaborazione dell’evento traumatico si è dimostrata particolarmente efficace.
È essenziale individuare precocemente i sintomi del PTSD e del lutto complicato, fornendo un trattamento mirato ai soggetti a rischio. La telemedicina può rappresentare uno strumento utile per facilitare l’accesso alle cure e garantire il distanziamento sociale. Inoltre, è fondamentale promuovere la coesione sociale e il supporto comunitario, creando reti operative tra professionisti e istituzionalizzando le buone pratiche nate nell’emergenza.
Conclusione: Trasformare il Dolore in Resilienza: Un Imperativo Etico
In conclusione, il PTSD rappresenta una sfida complessa e multifattoriale che richiede un impegno congiunto da parte di istituzioni, professionisti e comunità. Riconoscere, prevenire e curare precocemente il trauma è una responsabilità collettiva che riguarda la salute mentale di tutti. Trasformare il dolore in resilienza è un imperativo etico che ci invita a costruire un futuro di benessere per le generazioni presenti e future.
Amici, riflettiamo un attimo. La psicologia cognitiva ci insegna che i nostri pensieri influenzano le nostre emozioni e i nostri comportamenti. Nel caso del PTSD, i pensieri negativi e distorti sull’evento traumatico possono alimentare un ciclo di sofferenza. Imparare a riconoscere e modificare questi pensieri può essere un passo fondamentale verso la guarigione.
E ora, una nozione più avanzata: la neuroplasticità. Il nostro cervello ha la capacità di cambiare e adattarsi nel tempo. Anche dopo un trauma, è possibile riorganizzare le connessioni neurali e sviluppare nuove strategie di coping. La psicoterapia e altre forme di intervento possono favorire questo processo di neuroplasticità, aprendo la strada a una vita più serena e appagante.
Vi invito a riflettere su come possiamo creare comunità più consapevoli e supportive, in grado di accogliere e sostenere chi ha subito un trauma. Come possiamo promuovere la resilienza e la speranza, trasformando il dolore in un’opportunità di crescita personale e collettiva?








