- In Italia, circa 40.000 persone hanno vissuto NDE negli ultimi 10 anni.
- Un arresto cardiaco su cinque è accompagnato da esperienze di pre-morte.
- La depressione e l'ansia colpiscono il 33% dei pazienti pediatrici post-NDE.
Un recente convegno tenutosi a Roma ha acceso i riflettori su un fenomeno ancora ampiamente inesplorato dalla scienza e spesso relegato nell’ambito della spiritualità: le Esperienze Pre-Morte (NDE, dall’inglese Near-Death Experience). Si stima che ben 40.000 persone in Italia negli ultimi dieci anni abbiano vissuto questi momenti di sospensione tra la vita e la morte, in seguito ad arresto cardiaco, coma o traumi gravi. Questa cifra, emersa durante la conferenza, sottolinea l’urgenza di un’indagine scientifica più approfondita e di un maggiore supporto per coloro che ritornano da queste esperienze.
Il convegno, “Le esperienze di pre-morte tra scienza, coscienza e spiritualità”, è stato promosso con l’intento di colmare la lacuna di conoscenza e di pregiudizi che circondano le NDE. Il direttore scientifico dell’evento, Francesco Sepioni, medico di emergenza dell’ASL 1 Umbria, ha evidenziato come le NDE siano caratterizzate da fenomeni come l’esperienza extracorporea (OBE, Out-of-Body Experience), in cui l’individuo percepisce di aver lasciato il proprio corpo e di osservare eventi esterni che non dovrebbe essere in grado di cogliere. Ciò che sorprende è la veridicità di alcune di queste percezioni, successivamente confermate da terze persone. Questo aspetto, insieme alla frequenza delle NDE, solleva interrogativi significativi per le neuroscienze e la psicologia.
La mancanza di preparazione del personale sanitario nell’affrontare questi casi è un altro punto critico emerso. Davide De Alexandris, presidente di NDERs (Associazione Near Death Experiences), ha vividamente descritto la difficoltà di condividere tali esperienze, spesso liquidate come semplice “follia” o allucinazioni. Le NDE, specialmente quelle pediatriche, possono lasciare cicatrici profonde, tra cui depressione e ansia nel 33% dei casi. [CureCare] L’associazione NDERs si propone di offrire uno spazio di ascolto e confronto tra medici, psicologi e teologi, promuovendo al contempo una migliore formazione degli operatori sanitari.
Un esempio concreto è fornito dal caso di Marina Donati, sopravvissuta a un grave incidente stradale e caduta in coma farmacologico per 20 giorni. Al suo risveglio, Marina ha narrato una NDE dettagliata, inclusa un’OBE con percezioni accurate degli eventi durante la sua incoscienza, un’esperienza che è stata oggetto di una pubblicazione scientifica sulla prestigiosa “Rivista di Psichiatria”. Quella di Marina è una delle tante testimonianze che contribuiscono a una crescente mole di dati empirici, rendendo le NDE un campo fertile per la ricerca e la riflessione. La Scala di Greyson, uno strumento validato in ambito scientifico, permette di classificare l’NDE e di misurarne l’intensità attraverso una serie di domande a risposta graduata. L’obiettivo è quello di implementare tali metodologie anche in Italia, per avvalorare scientificamente queste esperienze e distinguerle da semplici allucinazioni o fenomeni indotti da farmaci.

NEPTUNE: il modello neuroscientifico integrato per comprendere le EPM
La capacità della neuroscienza di decifrare le complessità delle Esperienze Pre-Morte (NDE) ha fatto un notevole balzo in avanti con lo sviluppo del modello NEPTUNE, acronimo di “Neurophysiological Evolutionary Psychological Theory for Understanding the Near-Death Experience”. Questo approccio innovativo offre una spiegazione completa e integrata dei fenomeni NDE attraverso l’interazione di meccanismi neurofisiologici, chimici ed evolutivi.
Un team di neuroscienziati dell’Università di Liegi ha sviluppato il modello NEPTUNE, il quale unifica neuroscienze, psicologia e teoria evolutiva per spiegare le NDE. I dati indicano che l’ipossia (carenza di ossigeno) e l’ipercapnia (eccesso di anidride carbonica) sono fattori che modificano il metabolismo cerebrale, catalizzando esperienze quali la sensazione di distacco dal corpo e la percezione di intense luminosità, tipiche delle NDE.

Il modello approfondisce anche la “tempesta neurochimica” che si scatena nel cervello quando è “in punto di morte”. Il cervello, invece di spegnersi, si illumina, producendo una complessa interazione di neurotrasmettitori. Le principali sostanze identificate dal modello NEPTUNE includono:
- Serotonina: I picchi di questa sostanza, attivando specifici recettori (5-HT1A e 5-HT2A), inducono sensazioni mistiche e la percezione della dissoluzione dell’ego.
- Endorfine: Questi neurotrasmettitori sono responsabili della riduzione del dolore e della generazione di un senso di euforia e benessere.
- Dopamina e noradrenalina: Queste sostanze intensificano la carica emotiva dei ricordi, potenziando la classica “revisione della vita”.
- Glutammato: L’eccitotossicità indotta dal glutammato può causare distorsioni temporali e visive.
- Rete in Modalità Predefinita (DMN): L’iperattività di questa rete cerebrale in momenti di crisi è associata a esperienze dissociative e percezioni extracorporee.
È importante notare che coloro i quali presentano concentrazioni elevate di anidride carbonica nel flusso ematico tendono a descrivere esperienze di quasi morte (NDE) con maggiore intensità. [Focus] Questo suggerisce che la CO2, modulando direttamente la coscienza, possa agire come un potente catalizzatore per l’attivazione delle reti cerebrali coinvolte nelle NDE.
Il modello NEPTUNE propone un’ipotesi evolutiva: le NDE potrebbero derivare da un meccanismo di difesa primitivo noto come tanatosi, o “simulazione della morte”. Negli esseri umani, questa risposta si sarebbe evoluta, grazie all’integrazione con il linguaggio, l’autoconsapevolezza e la memoria, in esperienze interne complesse e strutturate.
Le implicazioni cliniche del modello NEPTUNE sono significative e aprono nuove strade nella ricerca e nel trattamento di diverse condizioni. I ricercatori propongono di esplorare le ipotesi tramite studi di risonanza magnetica funzionale (fMRI) su pazienti rianimati dopo arresto cardiaco, nonché attraverso sperimentazioni farmacologiche in contesti terapeutici. Un ambito promettente è il trattamento del Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD), in particolare nei pazienti che hanno vissuto NDE traumatiche o frammentate.
Questo approccio scientifico non mira a negare il significato soggettivo delle NDE, ma piuttosto a fornire una spiegazione basata su prove concrete. Il progetto NEPTUNE unisce diverse discipline come neuroscienze, filosofia e biologia evolutiva con l’obiettivo di esplorare l’esperienza spirituale. In questo contesto, le NDE vengono delineate come risposte adattive complesse, forgiate da milioni di anni di evoluzione e perfezionate dalle capacità umane di percepire, ricordare e narrare, rivelando così una profonda interconnessione tra il vissuto umano e la sua crescita biologica.
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L’impatto psicologico e la trasformazione post-NDE
Le esperienze note come Pre-Morte (NDE) vanno oltre la mera dimensione neurofisiologica; esse portano con sé profondissime e persistenti implicazioni psicologiche per gli individui che le hanno affrontate. Uno studio evidenzia che ben l’86% delle persone che hanno subito un’esperienza di questo tipo segnala cambiamenti rilevanti nella propria vita, tra cui una ridotta angoscia verso il concetto di morte e la nascita di una rinnovata consapevolezza. [Proversi]
Il cardiologo Pim van Lommel, che ha dedicato 26 anni allo studio delle NDE, ha osservato che i “ritornati” perdono la paura della morte. Per loro, la morte non è la fine, ma un “altro modo di vivere”, una continuità della coscienza basata su un’esperienza diretta e trasformativa. Questa comprensione altera radicalmente la loro prospettiva, portandoli a considerare il corpo e la vita terrena come una “prigione” di limitazioni fisiche ed emotive. Questo concetto è rafforzato dall’idea di una “coscienza non locale” o “coscienza infinita”, che il cervello agisce non come produttore, ma come facilitatore.
Tuttavia, il percorso dopo una NDE non è privo di sfide. Molti pazienti affrontano una crisi spirituale e psicologica. La nostalgia per l’esperienza trascendentale si scontra con la difficoltà di reinserirsi in una realtà “limitata” e con l’incapacità di condividere apertamente il proprio vissuto. Il pregiudizio e l’incomprensione da parte di amici, familiari e persino del personale medico portano a un profondo senso di isolamento. La percentuale di divorzi tra i pazienti post-NDE è elevata, poiché i partner faticano a riconoscere la persona con cui hanno condiviso la vita, profondamente cambiata nelle priorità e negli interessi.
La maggiore sensibilità intuitiva è un altro aspetto della trasformazione. I pazienti possono percepire ciò che gli altri provano o pensano, o addirittura avere premonizioni, una capacità che può essere sia una benedizione che un fardello, rendendoli sopraffatti dalle emozioni e dalle energie altrui. Questa “sensibilità intuitiva potenziata” li spinge spesso al ritiro sociale.
Molti studi hanno dimostrato che, oltre alle esperienze di pre-morte, i cambiamenti psicologici tendono a manifestarsi in tutti i soggetti che hanno vissuto tali situazioni. Risultati preliminari mostrano che circa il 70% delle persone intervistate dopo un’esperienza di NDE ha descritto una maggiore compassione e empatia per gli altri, riflettendo così sulle relazioni umane in modo più profondo e significativo. [Neuropsicologi Vicenza]
Le NDE offrono uno spunto cruciale per rivedere le nostre concezioni sulla coscienza e sul rapporto tra mente e cervello. La neuroplasticità, evidenzia come la coscienza, attraverso la meditazione o il sistema di credenze, possa alterare la struttura e la funzione del cervello in modo permanente. Questi risultati invitano a considerare percorsi terapeutici che possano aiutare i “ritornati” a integrare le loro esperienze.
Oltre i confini della mente: la sfida della scienza e l’opportunità della psicoterapia
Le esperienze di pre-morte (NDE) rappresentano una sfida per la scienza contemporanea, spingendoci a interrogare i confini della coscienza e a riconsiderare il nostro rapporto con la vita, la morte e il trauma della rianimazione. I racconti di chi ha vissuto queste esperienze suggeriscono che gli eventi che accadono vicino alla morte possano generare una serie di esperienze condivise da individui provenienti da culture diverse.
In fase di morte attiva, il sistema nervoso umano può generare esperienze uniche. Un recente studio ha dimostrato che picchi di attività cerebrale possono continuare in pazienti dopo un arresto cardiaco, suggerendo che il cervello può rimanere attivo, producendo una sorta di “replay” dei ricordi di vita, simile a quanto riportato nelle esperienze di NDE. [Focus]

La psicologia cognitiva offre una prospettiva interessante: le NDE possono essere considerate una forma estrema di memoria episodica, in quanto molti riportano ricordi vividi e dettagli sensoriali. Tuttavia, ciò che rende le NDE uniche è l’alterazione profonda dell’attività cerebrale e come può il cervello generare ricordi così strutturati anche in stato di apparente incoscienza?
La psicoterapia emerge come uno strumento essenziale. Interventi terapeutici mirati possono aiutare i pazienti a integrare le NDE nella loro narrazione di vita, facilitando il processo di guarigione. La necessità di un approccio inclusivo e multidisciplinare è fondamentale per accompagnare questi individui in un percorso di autentica trasformazione e benessere.
- NDE: Esperienza di Pre-Morte (Near-Death Experience) caratterizzata da episodi nei quali gli individui riportano esperienze significative e alterate durante momenti critici.
- OBE: L’Esperienza Extracorporea, nota anche con il termine inglese Out-of-Body Experience, si riferisce a una condizione in cui la persona avverte una separazione dal proprio corpo, permettendole di osservare ciò che accade da una prospettiva esterna.
- Scala di Greyson: Si tratta di uno strumento analitico impiegato per misurare l’intensità delle esperienze associate alla premorte.