Intelligenza artificiale e lettura del volto: quali rischi per la privacy?

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  • L'IA analizza micro-espressioni facciali per diagnosticare disturbi come l'Alzheimer, con una fenotipizzazione digitale.
  • Progetto EmoPulse usa l'IA per monitorare lo stato mentale integrando dati emozionali e valutazioni psicometriche in tempo reale.
  • Studio associa la «depressione sottosoglia» a movimenti facciali alterati, impattando le impressioni sociali.
  • Il GDPR definisce l'immagine del volto come dato biometrico, vietandone il trattamento salvo specifiche eccezioni.
  • Linee guida del Consiglio d'Europa sottolineano l'importanza di bilanciare efficienza algoritmica e sicurezza dei dati.

L’alba oscura della psiche digitale: quando il volto svela l’animo

Nel vortice ininterrotto dell’innovazione tecnologica, irrompe una notizia che, come un lampo in una notte stellata, rischiara e al contempo proietta ombre sul panorama della psicologia e della medicina moderna. Una recente ricerca internazionale ha squarciato il velo su una possibilità fino a poco tempo fa confinata alla fantascienza: leggere la mente attraverso l’analisi dei movimenti facciali, potenziata dall’intelligenza artificiale (IA). L’eco di questo esperimento, inizialmente condotto con successo sui topi, riverbera con implicazioni colossali per la comprensione delle strategie mentali umane, ma solleva, con identica forza, interrogativi cruciali sulla privacy e sull’etica di tale intrusione cognitiva.

L’esperimento si è concentrato sull’osservazione dettagliata dei micro-movimenti del muso e delle vibrisse nei topi, correlati a stati mentali specifici attraverso sofisticati algoritmi di machine learning. Questo ha aperto una “finestra” sulle dinamiche cerebrali che prima erano accessibili solo tramite tecniche invasive come la risonanza magnetica funzionale. Applicando tali principi all’ambito umano si rivela un’impresa affascinante: le complesse dinamiche muscolari facciali e le relative micro-espressioni hanno il potenziale per trasformare radicalmente tanto la diagnosi quanto il monitoraggio riguardo ai disturbi neurologici e psichiatrici come l’Alzheimer o il Parkinson o i disturbi dello spettro autistico. Pensate alla straordinaria opportunità che offre questa innovazione: comprendere i processi decisionali degli studenti analizzando le loro espressioni corporee oppure valutare gli effetti terapeutici mediante minimi cambiamenti riscontrati nei loro volti. Questo rappresenta ciò che viene definito come una concreta fenotipizzazione digitale, ossia un’impronta indissolubile fra linguaggio non verbale ed intrinsecamente connessa neurologicamente all’individuo stesso. Tuttavia tale progresso ci costringe ad affrontare questionamenti fondamentali: da una parte abbiamo sviluppi inauditi nella cura del benessere collettivo; dall’altra invece vi è il rischio concreto d’incorrere in abusi su aspetti privati dell’identità umana.

Grazie all’intelligenza artificiale — capace di analizzare enormi quantità di dati a ritmi sorprendenti ed evitando pregiudizi insiti nell’osservazione umana — vediamo emergere prospettive senza pari sulla discernibilità delle minime indicazioni elusive oppure invisibili. Attualmente, i programmi informatici dedicati al riconoscimento delle espressioni facciali (FER), sviluppati attraverso l’intelligenza artificiale come OpenFace 2.0, vengono utilizzati per rilevare indicatori di stress o depressione mediante un’analisi dettagliata delle specifiche unità di azione muscolare (AU) presenti sul viso umano. Un’indagine recente legata al progetto EmoPulse ha evidenziato l’efficacia di tali tecnologie nel monitoraggio dello stato mentale degli individui; questa ricerca integra informazioni emozionali in tempo reale con valutazioni psicometriche e si configura come un avanzamento significativo nell’ambito della salute mentale digitale.[EmoPulse]

A doctor interacting with patients through face recognition technology and AI

Un recente studio ha associato la “depressione sottosoglia”, uno stato di sintomi depressivi lievi e non clinici, ad alterazioni nei movimenti facciali. Questo studio, condotto su studenti universitari giapponesi, ha evidenziato come coloro con segni di depressione sottosoglia fossero percepiti da altri studenti come meno espressivi e meno piacevoli, suggerendo un impatto di questi sottili segnali sulla formazione delle impressioni sociali.

Questa frontiera, seppur promettente, è densa di implicazioni etiche. La capacità di una macchina di “leggere” intenzioni, stati d’animo o addirittura pensieri, senza il consenso esplicito dell’individuo, apre scenari inquietanti. Il rischio di profilazione comportamentale e predittiva senza trasparenza sui metodi di analisi è concreto. Pensiamo all’utilizzo di tali tecnologie in contesti lavorativi, giudiziari o militari, dove una diagnosi precoce potrebbe trasformarsi in una condanna preventiva. Il dilemma è profondo: sacrificheremo una parte della nostra integrità mentale in nome di progressi scientifici, o tracceremo una linea inviolabile a tutela della persona?

Informazioni sugli sviluppi recenti: Digital health technologies, particularly in response to COVID-19, have greatly enhanced how we track psychological and emotional well-being, exemplified by innovations such as telehealth solutions and AI-driven diagnostics, which are rapidly becoming integral in assessing mental health issues.

IA e la psiche: un dialogo tra efficienza e vulnerabilità

La comparsa dell’intelligenza artificiale nell’ambito della salute mentale non costituisce più un concetto speculativo relegato al futuro; essa rappresenta invece un fenomeno attivo in continua trasformazione. Negli ultimi anni abbiamo osservato un aumento significativo degli strumenti progettati con intelligenza artificiale, i quali si propongono come elementi rivoluzionari nella sfera dell’assistenza psicologica: questi dispositivi offrono opportunità oltre la mera automazione dei processi standardizzati. Tra tali strumenti possiamo menzionare sofisticati algoritmi per l’apprendimento automatico, chatbot interattivi ed esperienze immersive tramite realtà virtuale; un’accelerazione della loro implementazione è stata indotta anche dal lockdown dovuto alla pandemia COVID-19 che ha reso evidente quanto fosse fondamentale disporre di approcci digitalizzati per garantire continuità nell’accessibilità alle cure.

Oggi le modalità terapeutiche hanno superato il concetto tradizionale delle sole sedute remote; attualmente vi sono sistemi sofisticati capaci di analizzare variabili linguistiche e comunicative come testi scritti ed espressioni facciali, cruciali nel riconoscimento dei precursori dei disturbi psichici. Le prospettive future ci pongono davanti a diagnosi anticipate e piani terapeutici su misura ideali, così come l’introduzione del terapeuta digitale; sebbene quest’ultimo non possa mai sostituire completamente il contatto umano, sostiene tuttavia gli specialisti durante lo svolgimento delle loro pratiche cliniche. [Digital health interventions 2023]. All’interno delle applicazioni caratterizzate da un’elevata innovazione si evidenziano i modelli predittivi multifattoriali che amalgamano informazioni provenienti da diverse fonti: dalla genetica a fattori ambientali specifici; dalle abitudini quotidiane alle influenze sociali legate alla salute. L’intelligenza artificiale ha la capacità unica di risalire al grado in cui ciascun individuo possa manifestare disturbi psicologici, facilitando così diagnosi tempestive ed elaborate strategie d’intervento. Per esempio, dati relativi a aspetti genetici possono suggerire vulnerabilità latenti; simultaneamente fattori come traumi subiti oppure periodi prolungati d’isolamento sociale arricchiscono le valutazioni operative aumentando considerevolmente la precisione nell’individuazione dei disturbi.

In parallelo all’approccio statistico tradizionale emerge anche l’analisi vocale che rivela cambiamenti significativi nelle sfumature vocaliche del parlato—tonalità e timbro—that possono servire come spie rivelatrici dell’ansia o della depressione presente nell’individuo. Tali metodologie conferiscono a questa disciplina uno standard qualitativo ineguagliabile insieme a una rapidità esecutiva impossibile da ottenere mediante osservazione umana convenzionale; ciò semplifica sia il monitoraggio dei sintomi sia l’anticipazione potenziale delle ricadute future.

Nonostante ciò, la straordinarietà efficiente non manca di complessità. Infatti, le procedure in atto nella creazione degli algoritmi risultano frequentemente intricate ed elusive, dove si pongono problematiche riconducibili tanto alla sfera della sicurezza informatica quanto all’esistenza intrinseca di pregiudizi. Gli algoritmi, essendo il frutto di dati forniti all’uomo e di programmazione umana, possono riflettere e amplificare i pregiudizi preesistenti nella società, con conseguenze discriminatorie. È un concetto riassunto efficacemente nella massima “garbage in – garbage out”: se i dati di addestramento sono inquinati o parziali, i risultati saranno altrettanto distorti.

Questo è particolarmente evidente nei sistemi di riconoscimento facciale, che spesso mostrano difficoltà nel riconoscere individui con la pelle scura o di sesso femminile, come dimostrato da studi significativi. Il tema dei bias algoritmici, quindi, non è un mero tecnicismo, ma un problema etico che si traduce in vere e proprie discriminazioni e ingiustizie sociali.

A digital face of an unknown person with circuit board elements embedded.

La questione diventa ancora più pregnante quando si pensa alla potenziale profilazione dell’interessato, un processo che, a partire dai dati facciali o vocali, può tracciare reazioni emotive, preferenze e addirittura influenzare decisioni. La necessità di regolamentazione è impellente. Quadri normativi chiari, validazione trasparente dei modelli di IA e sforzi continuativi di ricerca e sviluppo sono prioritari. Le istituzioni globali, come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), sono chiamate a stabilire linee guida etiche e operative, basate sull’esperienza mondiale e sulla ricerca scientifica.

Attenzione: I bias negli algoritmi di intelligenza artificiale e nei sistemi di riconoscimento facciale rappresentano un grande rischio per la giustizia e l’equità sociale.

GDPR e il dilemma del consenso nella scansione del volto

L’emergenza delle tecnologie dedicate al riconoscimento facciale insieme a quelle biometriche suscita riflessioni complesse; si potrebbe paragonare questa situazione a quella del mitologico Giano Bifronte. Infatti offre vantaggi indiscutibili: elevate capacità di safety ed efficacia nell’autenticazione delle identità umane attraverso tratti biologici distintivi estremamente difficili da contraffare. Tuttavia si fa strada anche una contraddizione preoccupante: se questi strumenti vengono implementati senza opportune misure protettive potrebbero compromettere seriamente la riservatezza individuale così come i diritti fondamentali sanciti per ogni essere umano.

All’interno del panorama legislativo attuale è opportuno citare il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR), strumento europeo concepito con l’intento manifesto di armonizzare queste dinamiche opposte mettendo sempre al centro l’individuo stesso.

Entrato in vigore il 25 maggio 2018, questo regolamento definisce l’immagine del volto come dato biometrico, termine che fa riferimento ai dati personali derivanti da trattamenti tecnici specifici riguardanti le peculiarità fisiche o fisiologiche che permettono di identificare inequivocabilmente ciascun individuo. La disposizione contenuta nell’articolo 9 comma 1 del GDPR stabilisce un divieto generalizzato sul trattamento delle informazioni biometriche. Tale norma consente deroghe solamente sotto precise condizioni: quando sia necessaria a fini d’interesse pubblico significativo, per garantire la sicurezza sociale e collettiva oppure per tutelare diritti vitali dell’interessato o soggetti terzi; inclusa anche l’attività giudiziaria.

Nel settore occupazionale, il ricorso ai dati biometrici è lecito soltanto se ritenuto indispensabile. I vari Stati membri hanno facoltà di imporre norme più severe; esempio emblematico ne è dato dal recente articolo 2-septies del D. Lgs. 196/2003 che impone l’adozione di apposite misure protettive promosse dal Garante della Privacy.

Alla base delle questioni esposte giace il tema centrale della consensualità. Il consenso necessario al trattamento delle informazioni biometriche deve manifestarsi come esplicito e libero: deve essere specifico ed inequivocabile, escludendo ogni forma passiva come silenzi volontari o scelte predisposte automaticamente! La situazione si complica ulteriormente in presenza di tecnologie quali il riconoscimento facciale adoperato in luoghi aperti al pubblico, dove ottenere tale assenso può rivelarsi assai problematico oltre ad essere talvolta non formalmente obbligatorio.

Rischi associati all’uso delle tecnologie di riconoscimento facciale:
  • Profilazione non autorizzata
  • Monitoraggio costante degli individui
  • Difficoltà nel garantire la sicurezza dei dati trattati

Le Linee guida del Comitato della Convenzione 108 del Consiglio d’Europa, adottate il 28 gennaio 2021, sottolineano l’importanza di bilanciare efficienza algoritmica, assenza di falsi positivi e negativi, e la sicurezza dei dati raccolti. Qualsiasi violazione in questo ambito, infatti, non può essere corretta, data la natura immodificabile del dato biometrico.

Le autorità di regolamentazione europee, come l’EDPB (European Data Protection Board) e l’EDPS (European Data Protection Supervisor), hanno espresso una netta opposizione all’uso generalizzato del riconoscimento facciale in tempo reale negli spazi pubblici, richiedendo un divieto totale. Tale applicazione, a loro avviso, “legittimerebbe l’identificazione biometrica in spazi accessibili al pubblico e significherebbe la fine dell’anonimato in quei luoghi”, mettendo in discussione l’essenza stessa delle libertà fondamentali.

A digital face with privacy information and icons on the screen.
Informazioni Aggiuntive: È fondamentale che vengano stabilite chiare normative governative non solo per proteggere gli individui ma anche per garantire che i sistemi di intelligenza artificiale operino in modo etico e trasparente.

La delicata trama della mente e l’ombra digitale

Il percorso intrapreso nell’esplorazione delle potenzialità offerte dall’intelligenza artificiale nel campo della salute mentale ci presenta due strade distinte: opportunità straordinarie affiancate a timori inquietanti. L’abilità di analizzare i volti umani come se fossero libri aperti permette non solo di cogliere le micro-espressioni, ma anche di risalire a stati emotivi, intenzioni e addirittura forme latenti di malattia; si tratta dunque della creazione rimarcabile – forse utopistica – di una nuova era nella diagnosi medica e terapeutica.

La ricerca in psicologia cognitiva e comportamento riconosce chiaramente che ogni atto del pensiero o dell’emozione trova manifesta espressione nelle reazioni corporee. La nostra figura corporea – soprattutto quella del viso – diviene così uno specchio complesso dei nostri processi interiori; i segni corporei delle nostre esperienze interiori sono indelebilmente impressi nelle espressioni facciali. Queste ultime vanno oltre l’atto comunicativo: rappresentano infatti indicatori irrefrenabili dei nostri mondi psichici reconditi.

L’applicazione dell’intelligenza artificiale nell’analisi d’importanza cruciale svela dettagli sopiti nei sentimenti umani grazie all’incredibile finezza degli algoritmi attuali, permettendo quindi uno sviluppo profondo della conoscenza riguardante l’interiorità individuale. Pensate ad esempio a come un terapeuta, o anche un amico, cerca di “leggere” nel volto dell’altro un segno di disagio, una preoccupazione, una gioia nascosta. L’IA eleva questa capacità umana a un livello esponenziale, offrendo una ricchezza di dati che può illuminare aspetti della psiche prima inaccessibili.

Tuttavia, proprio questa capacità di svelare l’inconscio, o perlomeno il non detto, attraverso l’analisi facciale, solleva una questione fondamentale per la salute mentale e per la nostra libertà individuale. Pensiamo alla nozione avanzata della “mente estesa”, un concetto che suggerisce come i nostri processi cognitivi non risiedano esclusivamente nel cervello, ma si estendano e interagiscano con l’ambiente circostante e gli strumenti che utilizziamo. Se il nostro smartphone o un algoritmo di IA diventano un’estensione della nostra mente, acquisendo e interpretando i nostri micro-movimenti facciali, possiamo davvero affermare di essere ancora padroni della nostra intimità cognitiva?

In un mondo dove la tecnologia può monitorare costantemente le nostre espressioni, anche senza il nostro esplicito consenso, si delineano scenari in cui la profilazione comportamentale e la sorveglianza diventano pervasive, con il rischio di influenzare decisioni importanti che riguardano la nostra vita, dai rapporti lavorativi alle sentenze giudiziarie. La domanda che rieccheggia è: siamo disposti a delegare una parte così intima di noi stessi a un algoritmo, per quanto perfetto e imparziale possa apparire?

Note sulle Considerazioni Etiche: La combinazione dell’IA e della salute mentale sottolinea la necessità di un approccio etico e responsabile, garantendo che le tecnologie siano utilizzate per supportare e non per compromettere la libertà individuale.

L’intelligenza artificiale non deve essere vista come un rivale o un sostituto dell’intelligenza umana, ma come un partner. Dobbiamo coltivare quelle competenze squisitamente umane, come la compassione, la creatività, il pensiero critico e l’intuizione, che nessuna macchina potrà mai replicare. Il futuro ideale è ibrido, un equilibrio armonioso tra il potenziale computazionale dell’IA e la profondità dell’esperienza umana. È un invito a una riflessione collettiva e individuale, a costruire un futuro in cui la scienza e la bioetica dialoghino senza sosta, per assicurare che la conoscenza diventi liberazione e non strumento di controllo, nella piena tutela del prezioso e inviolabile santuario della nostra persona.

Glossario:
  • Intelligenza Artificiale (IA): simulazione dell’intelligenza umana in sistemi e macchine.
  • Riconoscimento Facciale: tecnologia che identifica o verifica un individuo attraverso l’analisi delle caratteristiche facciali.
  • GDPR: Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati dell’Unione Europea.
  • Fenotipizzazione Digitale: processo di definizione delle caratteristiche e degli stati di un individuo mediante l’analisi dei dati raccolti.

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