Idf e stress post-traumatico: cosa rivela l’aumento dei suicidi?

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  • Oltre 1.100 soldati congedati dall'IDF tra ottobre 2023 e luglio 2025 per traumi psicologici.
  • Nel 2024, l'IDF ha registrato 21 suicidi, il numero più alto in oltre un decennio.
  • Supporto psicologico entro 24 ore dalla manifestazione di sintomi per i militari.

Cresce l’allarme per la salute mentale dei soldati israeliani

L’escalation del conflitto tra Israele e Hamas ha portato alla luce una crisi silenziosa ma devastante: il crescente numero di soldati dell’IDF (Forze di Difesa Israeliane) che lottano contro il disturbo da stress post-traumatico (PTSD). I dati, emersi da diverse fonti, dipingono un quadro allarmante della salute mentale dei militari, con ripercussioni profonde sia a livello individuale che sociale.

Secondo quanto riportato, oltre 1.100 soldati sono stati congedati dall’IDF tra l’ottobre 2023 e il luglio 2025 a causa di traumi psicologici legati al combattimento. Questo dato, di per sé preoccupante, è solo la punta dell’iceberg, poiché si stima che il numero reale di soldati a rischio di sviluppare PTSD sia significativamente più alto, raggiungendo potenzialmente le 100.000 unità.

La situazione è ulteriormente aggravata da un aumento dei suicidi tra i militari. Nel 2024, l’IDF ha registrato 21 suicidi, il numero più alto in oltre un decennio. *Nei primi mesi del 2025, si sono registrati almeno altri 17 decessi, la maggior parte dei quali riguardava riservisti rientrati dalle aree di conflitto. La scomparsa prematura di Daniel Edri, un militare che si è tolto la vita dopo aver lottato per mesi con le ferite psicologiche del conflitto, ha ravvivato il dibattito sulla necessità di urgenti modifiche al sistema di supporto per i veterani.

Un sistema sotto pressione: La risposta dell’IDF e del governo

Di fronte a questa crescente crisi, l’IDF e il governo israeliano hanno intensificato gli sforzi per fornire supporto psicologico ai soldati. Il Corpo Medico e la Direzione Tecnologica e Logistica dell’IDF hanno ampliato i servizi psicologici, creando cliniche specializzate come le Ta’atzumot, dedicate al trattamento dei soldati esposti a traumi durante il combattimento. È stata inoltre messa a disposizione una linea telefonica di emergenza per la salute mentale, attiva ininterrottamente, dedicata ai soldati e ai loro familiari.

Il governo ha istituito una commissione speciale, presieduta dal Maggior Generale Moti Almoz, incaricata di esaminare e aggiornare l’attuale struttura di supporto alla salute mentale per il personale militare in servizio e congedato. Uno degli obiettivi primari di tale commissione è semplificare l’identificazione dei sintomi dello stress da combattimento e facilitare l’accesso a cure tempestive.
Sul piano operativo, l’IDF ha introdotto protocolli di intervento più rapidi per garantire un’assistenza precoce. I militari ora ricevono supporto psicologico entro 24 ore dalla manifestazione di sintomi quali ansia, difficoltà a dormire o sensazione di distacco emotivo.

Cosa ne pensi?
  • È confortante vedere che l'IDF si stia muovendo… 😊...
  • Temo che i numeri siano sottostimati e che… 😔...
  • Forse dovremmo considerare il ruolo della società… 🤔...

Testimonianze dal fronte: L’esperienza dei soldati

Le testimonianze dei soldati che hanno combattuto a Gaza offrono uno sguardo crudo e senza filtri sulla realtà della guerra e sul suo impatto sulla salute mentale. Molti riferiscono di aver assistito a orrori indicibili, che li perseguitano anche dopo il ritorno alla vita civile.

Un giovane militare, che ha trascorso nove mesi nella Striscia di Gaza, confida di non riuscire più a riposare o a uscire di casa. “Una parte di me è rimasta là”, afferma. “Sento cose. Odori e rumori scatenano ricordi. È come se avessi perso una parte di me”.

Un ufficiale riservista, che ha prestato servizio in più fasi di combattimenti, sottolinea la difficoltà per i soldati di chiedere aiuto a causa dello stigma sociale. “Sia i combattenti che i loro superiori manifestano segnali di disagio a vari livelli, ma temono di cercare supporto, spiega.”

La storia di Eliran Mizrahi, un riservista di 40 anni che si è tolto la vita dopo essere tornato da Gaza, è un esempio tragico delle conseguenze devastanti del PTSD. I suoi familiari raccontano che, dopo aver servito a Gaza, Eliran era profondamente cambiato, segnato in modo indelebile da quanto aveva vissuto durante il conflitto contro Hamas.*

Oltre i numeri: Un imperativo morale

La crisi della salute mentale tra i soldati israeliani non è solo una questione statistica, ma un imperativo morale. È fondamentale che la società israeliana riconosca e affronti lo stigma che circonda i problemi di salute mentale, creando un ambiente in cui i soldati si sentano sicuri e supportati nel cercare aiuto.
L’IDF e il governo devono continuare a investire in risorse e programmi di supporto psicologico, garantendo che i soldati abbiano accesso a cure tempestive ed efficaci. È inoltre necessario promuovere una cultura della consapevolezza e della comprensione, in cui i problemi di salute mentale siano visti come una parte normale dell’esperienza umana, e non come un segno di debolezza.

Conclusione: Guarire le ferite invisibili

La guerra lascia cicatrici profonde, non solo sui corpi, ma anche nelle menti e nei cuori di coloro che la combattono. Il disturbo da stress post-traumatico è una ferita invisibile, ma non per questo meno reale o debilitante. Affrontare questa crisi richiede un impegno collettivo da parte della società, del governo e dell’IDF, per garantire che i soldati che hanno sacrificato tanto per il loro paese ricevano il supporto e le cure di cui hanno bisogno per guarire e ricostruire le loro vite.

Amici lettori, riflettiamo un attimo su quanto abbiamo letto. In psicologia cognitiva, sappiamo che i ricordi traumatici sono elaborati in modo diverso rispetto ai ricordi ordinari. Essi tendono a essere frammentati, vividi e intrusivi, causando un forte disagio emotivo. Questo spiega perché i soldati che hanno vissuto esperienze traumatiche in guerra possono avere difficoltà a dimenticare o a superare questi ricordi.

Un concetto più avanzato è quello della resilienza traumatica. Non tutti coloro che vivono un evento traumatico sviluppano il PTSD. Alcune persone riescono a riprendersi e a crescere dopo l’esperienza, grazie a fattori come il supporto sociale, la capacità di regolare le emozioni e la presenza di un significato nella vita.

Chiediamoci: cosa possiamo fare, come individui e come società, per promuovere la resilienza traumatica e per aiutare coloro che soffrono di PTSD a trovare la guarigione e la speranza? Forse, il primo passo è quello di ascoltare le loro storie con empatia e senza giudizio, offrendo loro uno spazio sicuro in cui possano esprimere le loro emozioni e trovare il sostegno di cui hanno bisogno.


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