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Gaza: come il trauma intergenerazionale alimenta il conflitto israelo-palestinese

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  • Il trauma a Gaza è storico, cumulativo e intenzionale, mirato a spezzare la volontà del popolo.
  • Il massacro del 7 ottobre 2023 ha rivitalizzato i terrori e le paranoie connessi alla Shoah.
  • Uno studio del 2025 evidenzia segni epigenetici distintivi in adulti e bambini siriani testimoni di violenze.

La situazione a Gaza, segnata da decenni di conflitto e violenza, ha generato una profonda sofferenza collettiva che trascende i confini geografici. Le esperienze di perdita, separazione e disumanizzazione impattano intere popolazioni, riverberandosi a livello globale e generando un’eco psichica che colpisce in particolare le nuove generazioni. Questo orrore, protrattosi per anni, interroga la coscienza collettiva e la psiche del nostro tempo, lasciando ferite profonde che si trasmettono attraverso le generazioni.

Il trauma collettivo in Palestina è storico, cumulativo e intenzionale, con l’obiettivo di spezzare la volontà del popolo e annientarne la capacità di agire. Questo trauma colpisce masse di individui, iniettando un senso di impotenza traumatica e danneggiando le relazioni all’interno della comunità. La violenza, interiorizzata, si riversa sui membri più vulnerabili, minando la fiducia e distruggendo un concetto collettivo positivo di sé. È cruciale ripristinare l’autonomia e la dignità delle persone colonizzate, facilitando il loro potere decisionale e la loro autostima tramite il supporto psicologico.

Trauma, Memoria e Violenza Collettiva: Un’Analisi Profonda

Il conflitto israelo-palestinese, con le sue radici profonde e complesse, solleva interrogativi urgenti sul rapporto tra trauma, memoria e violenza collettiva. La recente offensiva israeliana a Gaza e in Cisgiordania ha riattivato antiche ferite storiche e identitarie, portando a riflettere su come un trauma non elaborato possa trasmettersi da una generazione all’altra, generando risposte collettive difensive e distruttive. La ferocia dell’intervento a Gaza, con l’alto numero di vittime civili, ha scosso l’opinione pubblica mondiale, ma non ha avuto un analogo effetto in Israele, dove prevale una risposta autoassolutoria che giustifica l’uso della forza come unica risposta alla minaccia esistenziale.

Il trauma, sia individuale che collettivo, può ridestarsi quando un’esperienza simile produce un’impressione analoga a quella originale. Il massacro del 7 ottobre 2023 ha rivitalizzato i terrori e le paranoie connessi al grande trauma ebraico della Shoah, rafforzando il consenso alle posizioni della destra sionista. La Shoah, divenuta elemento fondativo dell’identità israeliana, può generare un “contratto narcisistico collettivo” in cui l’essere stati vittime diventa giustificazione assoluta di ogni forma di difesa. Questo può portare a una sacralizzazione della sofferenza che impedisce il lavoro di lutto e favorisce la ripetizione cieca del trauma attraverso cicli di difesa paranoide e violenza preventiva.

Numerosi studi clinici e storici evidenziano l’esistenza di una trasmissione del trauma psichico attraverso le generazioni. Un lavoro recente (Mulligan, 2025) ha evidenziato segni epigenetici distintivi in adulti e bambini siriani testimoni di violenze, con marcature presenti anche nella figlia e nei nipoti di una donna che aveva assistito a episodi di violenza negli anni ’80. Oltre gli aspetti biologici, l’influenza del trauma tra le generazioni si manifesta in maniera complessa nel contesto israeliano, dove la Shoah costituisce un pilastro identitario e politico.

Il concetto di “cripta psichica” descrive come il trauma non elaborato si deposita nell’inconscio delle generazioni successive come un “fantasma” che agisce da dentro. Il trauma diviene una sorta di mandato politico e ideologico, influenzando le scelte politiche e la propensione ad accettare l’uso della forza militare. La mancata elaborazione del trauma può rendere difficile distinguere tra autodifesa e repressione, sollevando interrogativi etici e psichici profondi sul confine tra sicurezza e dominio.

Cosa ne pensi?
  • È confortante leggere di riumanizzazione e ricostruzione... 😊...
  • L'articolo ignora le responsabilità di Hamas... 😠...
  • E se il trauma fosse uno strumento politico...? 🤔......

Riumanizzare la Sofferenza: Oltre il Trauma e la Resilienza

In un articolo del 2023, i medici Ghassan Abu Sitta e Rupa Marya sottolineano gli effetti deleteri della disumanizzazione in Palestina, un processo che ha consentito il bombardamento di ospedali e zone abitate, nonché il blocco di risorse essenziali. La disumanizzazione, parte integrante del processo coloniale, innesca circuiti neuronali che aggirano i centri cognitivi, fissando convinzioni difficili da cambiare. Il linguaggio disumanizzante normalizza la violenza e rende invisibili i massacri, trasformandoli in una forma di punizione meritata per gli “animali-umani”.

Abu Sitta e Marya chiedono di riformulare il ruolo etico dei medici in tempi di disumanizzazione e genocidio, sostenendo che è loro dovere riumanizzare i palestinesi. Questo processo di riumanizzazione è collegato alla decolonizzazione, un esercizio importante che avvicina alla giustizia e al riscatto dalla violenza coloniale e imperialista. La riumanizzazione è una forma di ricablaggio neuropolitico, un lavoro di riformulazione dei concetti di guarigione, vita e liberazione dei corpi e delle menti.

La struttura trauma/resilienza, spesso utilizzata per comprendere la sofferenza, presenta dei limiti in quanto può essere strumentalizzata politicamente ed economicamente. Il trauma è diventato l’oggetto di sofferenza globale per eccellenza, ma nel contesto palestinese è stato criticato come imperialista, apolitico e incompatibile con la temporalità della violenza. La resilienza, come duplice aspetto del trauma, può disumanizzare, rappresentando i palestinesi come soggetti puramente eroici la cui sofferenza rimane invisibile.

La riumanizzazione richiede di rompere con le strutture globali militarizzate e di concentrarsi sugli spazi di guarigione intimi e locali, dove condividere l’esperienza del dolore, la perseveranza nel sopravvivere e la conoscenza del lutto. Riumanizzare comporta un impegno profondo sulle concezioni locali di corpo e mente, riaffermando il valore della conoscenza e della cultura. Questo lavoro consiste nel ricomporre l’anima e il sé, un atto di riumanizzazione psicologica, politica e comunitaria.

Ricostruire la Mente Collettiva: Un Futuro Condiviso

Di fronte alla devastazione fisica e psichica a Gaza, è imperativo ricostruire la mente collettiva, il senso di appartenenza all’umano e la possibilità di immaginare un futuro condiviso. Il dolore condiviso e la trasmissione del trauma attraverso le generazioni influiscono profondamente sullo sviluppo emotivo, il senso di appartenenza e la costruzione dell’identità. È necessario raccogliere le macerie psichiche e ricomporre fiducia, parola e pensiero.

È essenziale riconoscere la tragedia di Gaza come un genocidio, una condizione irrinunciabile affinché il popolo palestinese possa intraprendere il complesso percorso di elaborazione della violenza subita.

La comunità professionale degli psicologi ha il dovere di preservare la riflessione e di offrire spazi di elaborazione e di supporto, affinché i bambini e gli adolescenti possano ritrovare fiducia nella continuità della vita psichica e nella possibilità di un mondo vivibile.

La lezione che emerge da Gaza è universale: la colonizzazione può infliggere profonde ferite a un popolo, ma i popoli colonizzati cercano di riaffermare la propria dignità e umanità. La solidarietà, la compassione e la gentilezza sono risposte appropriate a questo male, e i gesti di solidarietà, anche quelli più semplici, sono psicologicamente significativi per i palestinesi.

Amici, riflettiamo un attimo su quanto abbiamo letto. Una nozione base di psicologia cognitiva ci dice che i traumi, soprattutto quelli collettivi, possono alterare profondamente i nostri schemi mentali, influenzando il modo in cui percepiamo il mondo e interagiamo con gli altri. Immaginate, ad esempio, come la costante esposizione alla violenza possa portare a una generalizzazione della paura e della sfiducia, rendendo difficile la costruzione di relazioni sane e la partecipazione attiva alla vita sociale.

Ora, spingiamoci oltre. Una nozione avanzata di psicologia comportamentale ci suggerisce che i comportamenti appresi in risposta a un trauma possono essere trasmessi alle generazioni successive attraverso meccanismi di modellamento e rinforzo. Questo significa che i figli e i nipoti di chi ha subito un trauma possono manifestare comportamenti simili, anche senza aver vissuto direttamente l’esperienza traumatica. Pensate, ad esempio, a come la paura e la diffidenza possano essere interiorizzate e trasmesse attraverso il linguaggio, le pratiche educative e le dinamiche familiari.

Questo ci porta a una riflessione personale: come possiamo, come individui e come società, contribuire a interrompere questo ciclo di violenza e trauma? Come possiamo creare spazi di ascolto e di elaborazione che permettano alle persone di affrontare il dolore e di ricostruire un senso di speranza e di futuro? La risposta non è semplice, ma è fondamentale iniziare a porci queste domande e a cercare soluzioni concrete.


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