- A 41 anni, Ema Stokholma si definisce «felice, libera e felicemente sola» dopo aver affrontato traumi infantili.
- La fuga da casa a 15 anni ha segnato l'inizio del suo percorso di liberazione e guarigione.
- La psicoterapia ha permesso di «neutralizzare almeno al 90%» la negatività accumulata nel passato.
Nel panorama mediatico attuale, una figura risalta per la sua schietta onestà nel trattare temi complessi come il trauma infantile e le sue ripercussioni a lungo termine: Ema Stokholma. La conduttrice radiofonica e scrittrice, all’età di 41 anni, si descrive come una donna
“felice, libera e felicemente sola”, una condizione raggiunta dopo un lungo e doloroso percorso di confronto con un’infanzia segnata da violenze e abusi. La sua testimonianza, condivisa in diverse occasioni pubbliche e nel suo libro “Per il mio bene“, edito da
Harper&Collins, vincitore del Premio Bancarella 2021, è diventata un catalizzatore per riflettere sull’impatto profondo che le esperienze traumatiche subite in età evolutiva possono avere sullo sviluppo cerebrale e sul comportamento in età adulta.
Autore: Ema Stokholma
Editore: Harper&Collins
Anno: 2021
Il racconto di Ema Stokholma non è solo una storia personale di resilienza, ma anche un potente monito per la società sull’importanza di riconoscere e affrontare le conseguenze dei traumi infantili, che non si limitano a una dimensione psicologica, ma lasciano impronte indelebili sul
corpo e sul sistema nervoso, influenzando profondamente la salute mentale e le relazioni interpersonali. La sua narrazione di una “madre controllante” e di un ambiente domestico assimilabile a un “film horror”, come da lei stessa descritto, evidenzia la gravità della
deprivazione emotiva e fisica sperimentata.
Questo contesto di violenza quotidiana, che includeva percosse, ha plasmato la sua crescita in un modo che, come lei stessa ipotizza, avrebbe potuto portare lei e suo fratello a diventare addirittura “due serial killer”, un’affermazione forte che sottolinea la consapevolezza della distruttività di
tali esperienze. La sua fuga da casa all’età di 15 anni rappresenta il culmine di un’esperienza intollerabile, un passo decisivo verso la ricerca di salvezza e autonomia. Questo percorso di liberazione è stato sostenuto da anni di analisi, che le hanno permesso di elaborare il dolore,
ricostruire l’autostima e neutralizzare gran parte della negatività accumulata.
La sua storia si intreccia con quella di molti altri individui che hanno affrontato traumi simili, rendendola un simbolo di speranza e un punto di riferimento per chi cerca di superare le proprie ferite. La risonanza delle sue parole è amplificata dal fatto che un passato così drammatico
non è solo una questione di sofferenza individuale, ma un fenomeno che impatta la struttura stessa del cervello, come la scienza sta sempre più documentando. Il trauma in età evolutiva, infatti, non è una semplice ferita emotiva, ma un vero e proprio “superpotere” che plasma la
neuroplasticità, in grado di riorganizzare le funzioni del sistema nervoso in risposta a eventi avversi. Questa capacità del cervello, se da un lato offre possibilità di recupero, dall’altro mette in luce quanto sia cruciale intervenire tempestivamente per mitigare gli effetti negativi di
tali esperienze.
L’infanzia e la neuroplasticità: come il trauma modella il cervello
Numerosi studi nel campo della neuropsicologia hanno evidenziato che il trauma infantile non si limita a un fenomeno temporaneo; al contrario, esso rappresenta una forza potente capace di
rimodellare l’architettura cerebrale in modo duraturo. La neuroplasticità, ovvero l’eccezionale abilità del cervello di adattarsi e ristrutturarsi secondo le esperienze vissute, mostra un’intensità particolare durante gli anni dell’infanzia. Tale realtà rende i
bambini altamente suscettibili agli effetti devastanti degli abusi. Infatti, le primissime fasi dello sviluppo svolgono un ruolo cruciale nell’evoluzione delle strutture neuronali adibite alla regolazione emotiva e alla memoria, oltre a quelle responsabili della risposta allo
stress. Esperienze traumatiche riscontrate nei primi anni di vita – similmente a quanto accaduto a Ema Stokholma – possono generare cambiamenti profondi all’interno di questi ambiti critici, sottoponendoli a uno squilibrio funzionale notevole.
Le modifiche riguardano non solo fattori strutturali ma anche funzionali: aree cerebrali come l’ippocampo, fondamentale per la memoria e la modulazione delle emozioni, e l’amigdala, chiave nell’elaborazione dei timori, possono risultare alterate. Diversi studi documentano
come soggetti adulti con passati traumatici presentino spesso un ippocampo ridotto rispetto alla norma adulta; tale caratteristica è associata a maggiori difficoltà nell’amministrazione delle emozioni, così come a una propensione aumentata verso disturbi psichiatrici.
Allo stesso tempo, l’amigdala può diventare iperattiva, rendendo l’individuo costantemente in uno stato di allerta, anche in assenza di pericoli reali. Questa “ipervigilanza” è una risposta adattativa al trauma, ma a lungo andare può generare ansia cronica e fobie. I bambini traumatizzati
possono, quindi, sviluppare risposte allo stress anomale. L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), responsabile della produzione di cortisolo, l’ormone dello stress, può diventare disregolato, portando a elevati livelli di cortisolo nel sangue, con conseguenze dannose per il corpo e
la mente. Questa costante esposizione allo stress cronico non solo altera le strutture cerebrali ma può anche influenzare lo sviluppo cognitivo, compromettendo l’attenzione, la concentrazione e le capacità di apprendimento.
La neuroplasticità, sebbene sia un “superpotere” che offre straordinarie capacità di recupero, può anche
preservare la connettività funzionale in modi che rinforzano risposte disfunzionali acquisite durante il trauma. Ciò significa che il cervello si adatta per sopravvivere a condizioni avverse, ma queste “strategie di sopravvivenza” possono poi ostacolare un funzionamento sano
in contesti più sicuri. La storia di Ema Stokholma, con la sua abitudine di “dipingere” il proprio corpo con tatuaggi come forma di riappropriazione dopo un’infanzia di controllo e un lavoro di modella non scelto, è un esempio di come il corpo diventi un campo di battaglia per le
conseguenze del trauma. I tatuaggi erano per lei un simbolo di libertà, un modo per affermare il controllo su se stessa quando si sentiva “controllata” dalla madre e dal mondo esterno. Tuttavia, questa necessità, originariamente motivata dal trauma, è stata superata.
La sua attuale decisione di rimuovere i tatuaggi, a dimostrazione di una ritrovata libertà e un desiderio di non averne più bisogno, è un ulteriore segno di guarigione e di ridefinizione della propria identità, anche se il processo di rimozione è descritto come un “dolore enorme” che la porta a
“rimandare”. Il fenomeno della neuroplasticità si rivela pertanto non solo come un elemento essenziale per comprendere l’impatto del trauma sul cervello umano, ma si configura altresì come una
luce salvifica nel cammino verso la guarigione. È attraverso interventi psicoterapeutici altamente specializzati che si può attingere a questa straordinaria potenzialità cerebrale al fine di facilitare una
ristrutturazione efficace delle reti neurali, permettendo così agli individui di affinare nuove modalità reattive e riuscire a mettere alle spalle le sofferenze accumulate nel passato.
- Ema Stokholma è un esempio di resilienza e speranza... ❤️...
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Il percorso di resilienza e la ridefinizione dell’identità
Il cammino di Ema Stokholma verso la serenità è un esempio eloquente di resilienza e di come sia possibile ridefinire la propria identità dopo anni di sofferenza. Attraverso
un’analisi protratta nel tempo, come da lei stessa dichiarato, è riuscita a trasformare la “zavorra” del passato in una consapevolezza più profonda di sé. Il suo “2024 è stato un anno bellissimo” e i suoi “40 sono stati bellissimi”, afferma, sottolineando un punto di svolta nella
sua vita. Non è solo la scomparsa della rabbia a caratterizzare questo cambiamento, ma una ricostruzione dell’autostima e un benessere profondo che non aveva mai sperimentato prima in maniera così costante.
La psicoterapia, in questo contesto, ha fornito gli “strumenti per capire quella negatività e neutralizzarla almeno al 90%”. Questo significa che, anche se le ferite del passato non scompaiono del tutto, è possibile imparare a gestirle in modo da non essere più sopraffatti da “dolore e
sofferenza profondi e irragionevoli”. La sua amicizia con Andrea Delogu, descritta come una “più grande amica”, rappresenta un ulteriore pilastro di supporto emotivo, un luogo sicuro “con lei mi sfogo, piango, mi dispero. E supero”. Questo aspetto sottolinea l’importanza delle reti di
supporto sociale nella guarigione dal trauma, offrendo un contenitore per le emozioni e una sponda per l’elaborazione del vissuto.
La rinnovata sensazione di libertà di Ema Stokholma si manifesta in diverse aree della sua vita. Non solo è “libera dai pensieri” e “mai giudicante”, ma anche economicamente autonoma, sottolineando la fortuna di “vivere in questo Paese facendo le cose che faccio (e che amo)”. Questa
indipendenza economica e professionale è un elemento cruciale nel processo di autorealizzazione e di superamento del senso di incapacità o dipendenza che spesso accompagna le vittime di abusi. La sua decisione di voler
cancellare i numerosi tatuaggi che ha sul corpo è uno degli aspetti più emblematici di questa trasformazione. Se in passato i tatuaggi erano un “modo per riappropriarmi del mio corpo e affermare la mia libertà” – un atto di ribellione contro la “madre controllante” e un lavoro
di modella che non sentiva suo – ora questa necessità è svanita.
La sua frase “Non ho più bisogno dei tatuaggi; adesso faccio quello che voglio”, rivela una profonda accettazione e un desiderio di cancellare le vestigia di un passato che la non definisce più. Sebbene la rimozione sia un processo “un dolore enorme”, il desiderio di una pelle “senza disegni”
simboleggia la sua volontà di andare oltre e di abbracciare una nuova fase della sua vita, in cui la libertà è intrinseca e non ha bisogno di rappresentazioni esterne.
La figura di Ema Stokholma, come Madrina della Festa del Cinema di Roma, e la sua partecipazione a eventi come Sanremo 2025, dove sarà un’inviata eccellente, mostrano un’integrazione e un successo professionale che contrastano fortemente con il buio della sua infanzia. Questo
percorso, da un contesto di “abusi” e “traumi indelebili” a una vita professionale e personale appagante, è
un messaggio di speranza e un’incoraggiamento per chiunque si trovi ad affrontare le conseguenze di un passato doloroso.
Il cervello che guarisce: Implicazioni per la salute mentale
La storia di Ema Stokholma e le correlazioni con la neuroplasticità e il trauma infantile offrono spunti cruciali per comprendere la salute mentale in una prospettiva ampia e integrata. Dal punto di vista della psicologia cognitiva, è fondamentale riconoscere che
i traumi infantili non lasciano solo ferite emotive, ma creano schemi di pensiero e credenze distorte che influenzano profondamente il modo in cui l’individuo percepisce se stesso, gli altri e il mondo. Questi “bias cognitivi” possono portare a interpretare situazioni neutre
come minacciose, a dubitare del proprio valore o a sentire un’incapacità di controllare gli eventi.
La psicoterapia cognitiva, come parte del percorso di Ema, ha la funzione di aiutare a identificare e ristrutturare questi schemi disfunzionali, promuovendo una visione più realistica e funzionale. A un livello più avanzato, la neuroplasticità in relazione al trauma ci porta a considerare il concetto
di
“resilienza neurobiologica”. Non si tratta solo di “sopportare” il trauma, ma della capacità del cervello di adattarsi e recuperare funzioni dopo un danno o un’esperienza avversa.
Nel caso di traumi infantili prolungati, l’organismo sviluppa meccanismi di difesa che possono diventare controproducenti in un ambiente sicuro. Tuttavia, la neuroplasticità consente, attraverso interventi mirati come la psicoterapia basata sul trauma (ad esempio l’EMDR o la terapia
sensomotoria), di “riscrivere” le memorie traumatiche e di rafforzare le connessioni neurali associate a risposte più adattative. È un processo che richiede tempo e impegno, ma che dimostra come il cervello non sia una struttura statica, ma un organo dinamico capace di guarire.
La lezione di Ema Stokholma ci spinge a riflettere:
quanto spesso le nostre reazioni inconsapevoli, i nostri “momenti di dolore e sofferenza profondi e irragionevoli”, sono in realtà echi di un passato non elaborato? La sua testimonianza, la sua analisi e la sua amicizia con Andrea Delogu fungono da cardini su cui ha poggiato la sua
rinascita. Ci mostra che anche quando le cicatrici interne sembrano indelebili, il cammino verso la libertà e la gioia è possibile, e che talvolta, proprio quando non si cerca più di mascherare le ferite esteriori con tatuaggi, si trova la vera forza per abbracciare la propria essenza più
autentica.
- Il cervello del bambino traumatizzato: cosa accade davvero? – Psicologia Pediatrica
- Neuroplasticità: il superpotere dei bambini – Formazione Continua in Psicologia
- Traumi psicologici nei bambini: quali conseguenze? – State of Mind
Glossario
- Neuroplasticità: la capacità del cervello di modificarsi e adattarsi in risposta a esperienze e apprendimenti.
- EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing): una terapia psicologica utilizzata per trattare il trauma.
- PTSD (Disturbo da Stress Post-Traumatico): un disturbo mentale che può svilupparsi dopo aver vissuto o assistito a un evento traumatico.