Decifrazione cerebrale: Meta e Neuralink aprono nuovi scenari etici?

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  • Nel 2023, l'industria globale delle neuroscienze valeva circa 33 miliardi di dollari.
  • Meta ha presentato nuovi sistemi che trasformano l'attività cerebrale in parole e immagini.
  • A Hangzhou, operai cinesi monitorati con caschi EEG per individuare le loro emozioni.

Nel lontano 2017, quello che all’epoca conoscevamo come Facebook, oggi Meta, fece un annuncio che suonò allora come fantascienza: lo sviluppo di un dispositivo destinato a penetrare la roccaforte del nostro privato, la mente. L’ambizione era quella di un’interfaccia cervello-computer capace di processare i nostri pensieri a velocità vertiginose, nell’ordine di centinaia di scansioni al secondo, per <a class="crl" target="_blank" rel="nofollow" href="https://www.uts.edu.au/news/2023/12/portable-non-invasive-mind-reading-ai-turns-thoughts-text”>tradurli in testo scritto. Nonostante quel progetto specifico abbia imboccato la via del tramonto nel 2021, la spinta verso la decodifica del pensiero non è affatto arrestata. Negli ultimi mesi, infatti, Meta ha presentato nuovi sistemi che si avvalgono di intelligenza artificiale e magnetoencefalografia, strumenti sofisticati per interpretare l’attività cerebrale e trasformarla non solo in parole, ma addirittura in immagini visive. Questo rapido avanzamento tecnologico pone subito sul tavolo la questione cruciale della portata di tali strumenti.

Statistiche recenti: Nel 2023, l’industria globale delle neuroscienze è stata valutata circa 33 miliardi di dollari, e si prevede che supererà i 35 miliardi nel 2024, avvicinandosi ai 50 miliardi entro il 2028.
Fonte: Forbes Italia.

Mentre i dispositivi di tipo medico, come quelli sviluppati da Neuralink di Elon Musk, volti a ripristinare funzioni vitali o a migliorare la qualità della vita di pazienti con gravi paralisi, permettendo loro di interagire con un computer tramite il pensiero, sono sottoposti a rigide regolamentazioni, una vasta gamma di strumenti meno invasivi sfugge a normative specifiche.

Questi ultimi, non richiedendo procedure chirurgiche, si diffondono sul mercato con scopi che vanno ben oltre l’ambito medico. Immaginate dispositivi in grado di monitorare le vostre onde cerebrali durante le attività quotidiane, dalla meditazione al lavoro, raccogliendo dati preziosi sulla vostra attività mentale. E qui sorge il punto nevralgico: l’assenza di una legislazione chiara consente a queste aziende di raccogliere, analizzare e potenzialmente vendere i dati più intimi che possediamo, quelli che provengono direttamente dal nostro cervello. Si apre così una nuova frontiera del cosiddetto “capitalismo della sorveglianza”, dove il business non si accontenta più di tracciare i nostri click e le nostre preferenze online, ma punta a monetizzare i nostri stessi pensieri. Il quesito solleva una preoccupazione notevole: ci troviamo realmente a un passo da un’epoca in cui le nostre intimità psicologiche, più profonde e riservate, potrebbero diventare oggetto di commercio per i colossi tecnologici? Sfortunatamente, pare che la risposta sia affermativa; tale scenario sta emergendo con una rapidità disarmante.

Implicazioni etiche: la privacy mentale in pericolo

La prospettiva che i nostri pensieri più privati e inespressi possano diventare oggetto di analisi e compravendita per fini commerciali o, peggio ancora, di sorveglianza, si sta concretizzando a un ritmo che supera le più audite previsioni. Un’indagine condotta anni fa da una testata giornalistica cinese ha svelato come aziende produttrici di tecnologia stessero implementando caschetti dotati di sensori wireless in grado di monitorare costantemente le onde cerebrali dei dipendenti. Questi dati venivano poi trasmessi a sistemi di intelligenza artificiale con l’obiettivo di individuare picchi emotivi riconducibili a stati d’animo come ansia, depressione o rabbia. Un utilizzo inquietante della tecnologia per una forma di “sorveglianza cerebrale”. Non solo, strumenti analoghi venivano introdotti in alcune scuole per valutare il livello di attenzione e concentrazione degli studenti.

Caso di Hangzhou: a Hangzhou, in Cina, operai di una fabbrica sono stati dotati di caschi in grado di monitorare le loro emozioni durante il lavoro, utilizzando sensori EEG.

L’uso di questi dispositivi da parte di differenti imprese avvalendosi dell’appoggio statale ha suscitato serie inquietudini riguardanti la sfera privata mentale dei lavoratori.

Mentre ci sono regioni nel mondo dove l’ansia prevalente concerne il rischio d’impiego strumentale delle tecnologie a fini controllativi e sorveglivi, esistono invece contesti globali nei quali le paure si rivolgono verso il concreto pericolo che i nostri pensieri possano assumere la forma di beni commerciabili.

Un’indagine condotta dalla Neurorights Foundation – una realtà no profit impegnata nella salvaguardia della riservatezza dei dati cerebrali – ha rivelato come varie imprese operanti nel settore delle neurotecnologie siano già attivamente coinvolte nella raccolta e nella possibile cessione dei dati neurali degli utenti. Un’analisi approfondita sulle normative relative alla privacy e ai contratti stipulati da trenta tra queste compagnie ha svelato che a largo spettro molte potrebbero comunicare tali dati a terzi. Questo processo evoca inquietantemente quello osservabile nelle piattaforme sociali: esse possiedono infatti una conoscenza approfondita su di noi mediante le nostre interazioni digitali ma non riescono ad accedere alle funzioni cerebrali dirette. Un accesso a quest’ultima da parte di questi colossi aprirebbe scenari ancora più delicati in termini di manipolazione e sfruttamento.

È in risposta a questi nascenti rischi che il Colorado è diventato il primo stato americano ad aver varato un emendamento legislativo, includendo esplicitamente i dati neurali tra quelli protetti dalla legge sulla privacy. Questa mossa pionieristica, che affianca la protezione dei dati cerebrali a quella degli attributi biometrici come le immagini del volto e le impronte digitali, è un passo significativo verso la tutela di questa nuova forma di privacy. Altri stati come California e Minnesota stanno valutando legislazioni simili, mirando a proteggere la “privacy mentale” e a sanzionare le aziende che la violano. Tuttavia, il vero pioniere in questo campo a livello internazionale è il Cile che, già nel 2021, ha approvato una legge sui neurodiritti, equiparando i sistemi in grado di analizzare l’attività cerebrale a dispositivi medici e considerando i dati neurali alla stregua di organi umani, vietandone così l’acquisto e la vendita. Anche le Nazioni Unite si stanno finalmente avvicinando alle neurotecnologie concependole come una “questione di frontiera”, necessitando quindi di una revisione della nostra percezione riguardo ai diritti umani.

Tale spinta verso nuove normative trova origine soprattutto nel contributo fornito da studiosi quali Rafael Yuste, noto professore presso la Columbia University. Già circa dieci anni fa, all’interno del suo laboratorio sperimentale, Yuste evidenziò l’abilità nella manipolazione della percezione visiva nei topi; mediante il riscaldamento mirato con un laser su neuroni specifici riuscì a generare immagini volute nelle menti degli animali. Tale scoperta sollevò interrogativi sul possibile impiego simile in ambito umano e sulle conseguenze etiche ad esso collegate. Nel 2017 vi fu anche pubblicazione da parte dello stesso Yuste insieme ai suoi collaboratori su Nature, proponendo cinque principi fondamentali da considerarsi nell’affrontare i dilemmi etici emergenti dalle neurotecnologie: è necessario vietare sia l’archiviazione sia il commercio dei dati cerebrali; bisogna tutelarsi contro interventi indesiderati sull’identità personale; deve essere garantito il diritto individuale alla libertà decisionale; va assicurato accesso equo agli avanzamenti tecnologici legati al “potenziamento umano”, onde scongiurare incrementi nelle disparità sociali; infine serve stabilire che gli algoritmi utilizzati siano privi di bias.

Anche se tali proposte costituiscono una baza imprescindibile, pongono interrogativi complessi legati a tematiche sia filosofiche che giuridiche, in merito alla precisa definizione di nozioni fondamentali quali il libero arbitrio e l’identità personale.

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  • Sono preoccupato per le implicazioni sulla privacy... 😥...
  • E se potessimo usare questa tecnologia per migliorare... 🤔...

Implicazioni psicologiche: l’impatto sulla mente individuale e collettiva

L’avanzamento nel campo della “lettura del pensiero” da parte di Meta e altre entità non solleva solo questioni etiche relative alla privacy, ma tocca corde profondissime sull’impatto psicologico che tali capacità potrebbero avere sugli individui e sulla collettività. La possibilità che i nostri pensieri più intimi, le nostre emozioni non espresse, persino i nostri processi decisionali vengano decodificati e potenzialmente manipolati, rappresenta una minaccia senza precedenti alla nostra autonomia e al nostro senso del sé. Immaginiamo un mondo dove i nostri pensieri non sono più un santuario inaccessibile, ma un flusso di dati intercettabile e analizzabile. Cosa accadrebbe al nostro senso di controllo sulla nostra vita interiore? Come verrebbe influenzata la nostra percezione di libertà?

A livello psicologico, la consapevolezza che la nostra attività cerebrale possa essere monitorata potrebbe indurre un costante stato di auto-censura. Sarebbe un po’ come vivere perennemente sotto lo sguardo vigile di un osservatore invisibile, limitando spontaneità e forse persino la formazione di pensieri non conformi. La pressione a “pensare bene” potrebbe diventare opprimente, influenzando la creatività, l’innovazione e la capacità di esplorare liberamente idee non convenzionali. Inoltre, la decifrazione del pensiero potrebbe avere ripercussioni sulla nostra identità. Il modo in cui percepiamo noi stessi è strettamente legato alla nostra vita interiore, ai nostri pensieri, alle nostre emozioni. Se questi vengono resi “pubblici” o manipolati, si potrebbe verificare una frammentazione del sé, una difficoltà a distinguere ciò che è autenticamente nostro da ciò che ci viene indotto esternamente. Questo scenario è particolarmente rilevante nel contesto della salute mentale. La possibilità di diagnosticare preventivamente condizioni come depressione o ansia attraverso l’analisi dell’attività cerebrale, se da un lato apre promettenti prospettive per interventi precoci, dall’altro solleva interrogativi su chi avrebbe accesso a queste informazioni e come verrebbero utilizzate. La stigmatizzazione dei disturbi mentali potrebbe aggravarsi se le predisposizioni venissero rese visibili e potenzialmente giudicabili attraverso la lettura cerebrale. In aggiunta a quanto esposto precedentemente riguardo alle possibili applicazioni di tali tecnologie nel promuovere determinate azioni o ideazioni, si pone una serie di interrogativi inquietanti relativi al libero arbitrio. Se si riesce a dimostrare che stimoli diretti all’attività cerebrale possono generare reazioni comportamentali attese negli animali da esperimento, quale argine può resistere a un uso analogo nell’umanità? Potrebbe capitare che ciò venga impiegato anche a scopi commerciali o politico-motivazionali. Sebbene oggi sembri appartenere al dominio del fantastico, questo tipo di narrazione imprime una sfumatura sinistra su quello che sarà il nostro avvenire in termini di libertà personale. Il rischio concreto è quello della disgregazione dei confini mentali: perdere autonomia psichica potrebbe produrre conseguenze letali sulla sfera psicologica individuale: aria d’inquietudine, sospetto ingiustificato e veri e propri collassi esistenziali emergerebbero come inevitabili risultanze. L’intero fondamento dell’individualità umana – ovvero la possibilità innata d’esprimere pensieri ed emozioni liberamente – subirebbe profonde torsioni disruptive. Perciò diviene fondamentale garantire che ogni conversazione sugli effetti cognitivi derivati dalla tecnologia collegata alla lettura cerebrale proceda insieme allo sviluppo scientifico stesso, con l’inclusione imprescindibile degli addetti ai lavori: specialisti delle neuroscienze,… filosofi… oltre alla partecipazione attiva dei cittadini.


Oltre il dato neurale: una riflessione sulla sorveglianza totale

Mentre il dibattito pubblico e legislativo si concentra giustamente sulla protezione dei dati neurali come nuova frontiera della privacy, è fondamentale ampliare lo sguardo e considerare le implicazioni di un controllo sempre più capillare sulla nostra vita digitale e, potenzialmente, mentale. La neuroetica e la bioetica sono chiamate a fornire un quadro concettuale solido per navigare questa complessa realtà. La questione non riguarda solo ciò che accade all’interno del nostro cervello fisico, ma come le tecnologie emergenti interagiscono con la nostra cognizione, le nostre emozioni e il nostro comportamento in senso lato. La psicologia cognitiva, con la sua attenzione ai processi mentali come percezione, memoria e ragionamento, offre strumenti cruciali per comprendere come la decifrazione del pensiero potrebbe influenzare la nostra capacità di elaborare informazioni, formare giudizi e prendere decisioni.

Gli obiettivi fondamentali della Raccomandazione UNESCO sull’etica della neurotecnologia includono:
  • Integrazione dell’etica in tutte le fasi dello sviluppo e dell’utilizzo delle neurotecnologie;
  • Protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali;
  • Promozione del dialogo multidisciplinare e inclusivo.

Considerando che le interazioni digitali che compiamo oggi sono già sfruttate per trarre inferenze sui nostri stati mentali e influenzare le nostre scelte – dall’acquisto del prodotto giusto alla lettura della notizia più appropriata – il possesso diretto dell’attività cerebrale potrebbe innalzare questa capacità manipolativa a vertici inimmaginabili.

Nella psicologia comportamentale, uno dei principi basilari è quello del “modellamento”, dove si osserva come gli atteggiamenti siano guidati tanto dall’ambiente quanto dalle conseguenze delle azioni intraprese. Nel caso in cui emergano tecnologie adatte alla lettura dei pensieri integrate con meccanismi premiali o punitivi (anche se impliciti, come l’esposizione facilitata a certi contenuti rispetto ad altri), ci ritroveremmo davanti al fenomeno del modellamento della nostra sfera cognitiva; ciò significherebbe un orientamento forzato verso idee ed emozioni preferite dai controllori della tecnologia stessa. Tale possibilità solleva preoccupazioni profonde circa la libertà d’espressione e la pluralità delle opinioni.

Riflettiamo sul tema delicato dei traumi assieme alla salute mentale. Per gli individui colpiti da eventi traumatici, il processo di elaborazione e integrazione delle esperienze dolorose riveste un ruolo cruciale nel ripristino del benessere psichico. La preoccupazione riguardo alla possibilità che i propri pensieri legati al trauma possano venire estrapolati da estranei o addirittura manipolati è sorgente d’ansia profonda e può compromettere gravemente l’iter terapeutico intrapreso. È opportuno notare come anche gli ambiti medici connessi alla salute mentale—che poggiano su una conoscenza approfondita dei meccanismi cerebrali e delle relative anomalie—si vedrebbero costretti ad affrontare ulteriori dilemmi etici qualora tali informazioni neurologiche diventassero oggetto di commercio oppure fossero impiegate in maniera non finalizzata alla terapia. Chi sarà responsabile della vigilanza sull’utilizzo appropriato dei suddetti dati affinché siano impiegati soltanto nell’interesse del paziente? In quale modo sarà protetta la fragilità psicologica degli individui già segnati da debolezze mentali?

In aggiunta, alcuni studiosi critici all’interno della disciplina della neuroetica affermano come limitarsi ai soli aspetti relativi ai dati neuronali rappresenterebbe una grave sottovalutazione dell’importanza della salvaguardia globale delle nostre informazioni personali, indipendentemente dalla fonte da cui provengono. I social media insieme ai motori di ricerca possiedono una mole impressionante d’informazioni riguardanti le nostre vite personali e sfruttano questi dati per orientare le nostre decisioni quotidiane. In tale contesto, ciò che potrebbe apparire come un scioccante controllo mentale, è in verità una condizione già instaurata nella nostra società contemporanea. La capacità di interpretare il nostro pensiero si configura come un ulteriore strumento – ancorché più intimo e invadente – all’interno dell’sorveglianza capillare. Di fronte a questo scenario emerge così la necessità cruciale di discutere riguardo alla privacy individuale e alla salvaguardia dell’autonomia personale: due principi fondamentali da difendere durante quest’epoca caratterizzata da una sempre maggiore connettività ed esplorazione dei dati.Mantenere l’equilibrio tra l’avanzamento tecnologico, quindi, risulta essenziale affinché la nostra umanità venga preservata assieme alla libertà che ci contraddistingue.

Il labirinto della coscienza: una prospettiva psicologica

Il concetto stesso della “lettura del pensiero” ci conduce verso ambiti intriganti ma anche inquietanti riguardo all’ essenza della nostra psiche. Nell’ambito della psicologia cognitiva si considera il pensiero come una manifestazione intricata; esso implica vari stadi, quali l’elaborazione delle informazioni oltre alla creazione dei concetti necessari per affrontare problematiche quotidiane e giungere a decisioni consapevoli. L’attività mentale non può essere ridotta a un semplice flusso lineare; piuttosto essa si manifesta attraverso reti complesse nelle nostre modalità espressive neuronali – dai linguaggi verbali alle evocazioni visive fino alle sensazioni e alle associazioni mentali. Attualmente, ciò che comprendiamo dell’attività cerebrale risulta ancora nella fase interpretativa: traducendo i segnali neuronali in forme più accessibili ai nostri schemi cognitivi. È cruciale evidenziare come la totalità delle operazioni cerebrali elettriche o chimiche non esaurisca il fenomeno mentale; resta infatti presente una dimensione soggettiva e un’esperienza cosciente inafferrabile dalla mera analisi quantitativa degli eventi neurologici. Questi punti ci portano verso fondamenta centrali nella disciplina psicologica: ossia credere fermamente nell’idea che la mente sia tutt’altro rispetto a una “tabula rasa”, bensì rappresenta invece uno spazio vitale vivace influenzato da esperienze accumulate nel corso del tempo provenienti dal nostro ambiente sociale oltre ai meccanismi biologici interni.

Approfondendo un concetto più avanzato, possiamo fare riferimento alla teoria della cognizione incarnata, che suggerisce che i nostri processi mentali non sono confinati esclusivamente nel cervello, ma sono strettamente legati al corpo e all’ambiente in cui viviamo. Ciò significa che il pensiero non è solo un fenomeno “cerebrale”, ma è influenzato dalle nostre sensazioni fisiche, dalle nostre azioni e dal contesto circostante. Le tecnologie di lettura del pensiero, concentrandosi sull’attività neurale, potrebbero cogliere solo una parte di questo processo integrato. Questo ci spinge a riflettere: se la nostra mente è così intrinsecamente legata al nostro corpo e alle nostre interazioni con il mondo, cosa significa realmente “leggere il pensiero”? Si stanno leggendo solo gli impulsi neurali o si sta cercando di cogliere un aspetto più ampio e sfuggente della nostra esperienza interiore?

La potenziale invasione dello spazio mentale ci invita a interrogarci profondamente sulla natura della nostra libertà individuale e sulla definizione di privato. Se la nostra ultima roccaforte, il nostro pensiero inespresso, diventa accessibile, in che misura possiamo considerarci veramente liberi? Questa non è una mera questione tecnologica, ma una riflessione esistenziale che tocca le fondamenta di ciò che significa essere umani. Come individui, siamo chiamati a essere consapevoli dei rischi e a partecipare attivamente al dibattito etico e legislativo per garantire che queste tecnologie vengano sviluppate e utilizzate in modo responsabile. La posta in gioco è alta: la tutela della nostra mente, il santuario ultimo della nostra individualità e della nostra libertà.

Glossario:
  • Neurotecnologie: Tecnologie che interagiscono direttamente col sistema nervoso, utilizzate per registrare o alterare l’attività cerebrale.
  • Neurodiritti: Diritti emergenti volti a proteggere la privacy mentale e l’integrità psicologica.
  • Interfaccia cervello-computer: Sistemi tecnologici che agevolano la comunicazione diretta fra il sistema neurologico umano e dispositivi informatici.
  • Autonomia: Poteri decisionali conferiti all’individuo per operare senza pressioni o influenze dall’esterno.

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