- Circa il 33% dei dipendenti italiani è a rischio di burnout.
- Il 73% dei dipendenti dichiara stress o ansia legati al lavoro.
- Il 37% ha cercato supporto psicologico per lo stress.
- Oltre il 25% dei lavoratori soffre della «sindrome da corridoio».
- L'86% degli italiani iperconnessi sperimenta stress e ansia.
- Aziende con supporto psicologico risparmiano fino a 136 miliardi.

L’ombra dello stress sul lavoro in Italia
Un filo sottile di ansia e frustrazione serpeggia nelle aziende italiane, un malessere che si insinua tra le scrivanie e gli schermi, toccando un numero crescente di lavoratori. Le indagini recenti descrivono un quadro preoccupante: si stima che circa un terzo dei dipendenti italiani sia a rischio di burnout, quella condizione di esaurimento emotivo, distacco e ridotta realizzazione personale legata allo stress cronico sul luogo di lavoro. Questo dato non sorprende se si considera che una percentuale ancora maggiore, intorno al 73%, dichiara di aver sperimentato sensazioni di stress o ansia direttamente connesse all’attività lavorativa. La difficoltà nel bilanciare impegni professionali e vita privata affligge circa il 77% dei lavoratori, mentre quasi l’80% ammette di sentirsi frequentemente sopraffatto dalle responsabilità quotidiane e oltre il 70% percepisce una pressione eccessiva durante l’orario di lavoro.
Statistiche sul Burnout in Italia (2023) | % |
---|---|
Dipendenti a rischio di burnout | 33% |
Dipendenti che dichiarano stress o ansia | 73% |
Dipendenti sopraffatti dalle responsabilità | 80% |
Dipendenti che chiedono supporto psicologico | 37% |
Questa condizione di malessere diffuso non risparmia nessuno, coinvolgendo dirigenti, impiegati e operai, sebbene i giovani sembrino particolarmente vulnerabili, con quasi la metà che denuncia sensazioni estreme di disagio. Il mancato supporto da parte dei datori di lavoro acuisce il problema per una larga fetta di dipendenti, così come la percezione di un ambiente lavorativo che non sempre promuove un sano benessere. Lo stress incide sulla capacità di concentrazione e, in una percentuale non trascurabile di casi (circa il 37%), ha portato i lavoratori a cercare supporto psicologico o counseling professionale.
“Le aziende hanno la grande opportunità e la responsabilità di fare scelte etiche e inclusive della sfera psicologica.” – Mario Alessanda
Questo scenario impone alle aziende una riflessione profonda: in un mercato in cui attrarre e trattenere talenti è sempre più cruciale, le aspettative dei lavoratori si trasformano, ponendo il benessere olistico, fisico e psicologico, al centro delle priorità. La nota “sindrome da corridoio”, definita come l’incapacità di distinguere tra le diverse sfere della vita, esercita un’influenza deleteria sulle prestazioni lavorative, coinvolgendo più del 25% dei lavoratori che trasportano nel contesto professionale i propri dilemmi personali. Inoltre, incide sulla sfera personale in modo ancor più drammatico: circa il 36% delle persone non è in grado di escludere dal proprio ambiente domestico le inquietudini originate dall’attività professionale.
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I costi dell’iper-connessione: impatti sulla salute mentale nel XXI secolo
L’inarrestabile avanzata della tecnologia digitale ha ridefinito le modalità di interazione, informazione e lavoro, portando con sé innegabili vantaggi ma anche nuove sfide per il benessere psicologico. L’iper-connessione, la tendenza a essere costantemente online e raggiungibili, si è trasformata in un fattore di rischio per la salute mentale, generando fenomeni come l’ansia da notifica, la pressione sociale dei social media e la Fear of Missing Out (FoMO), la paura di perdersi eventi o opportunità. Questo stato di costante allerta e sovrastimolazione sensoriale non è un fenomeno esclusivamente giovanile; sebbene le nuove generazioni siano particolarmente esposte, anche gli adulti sperimentano le conseguenze negative dell’uso eccessivo dei dispositivi digitali.

Un recente studio evidenzia che l’86% degli italiani che utilizza frequentemente device digitali ha segnalato sensazioni di stress, ansia e sintomi depressivi causati dall’iper-connessione. Questo costo sociale è manifestato con il deterioramento significativo delle relazioni interpersonali. Infatti, fenomeni come l’isolamento sociale stanno crescendo in parallelo con l’aumento del tempo trascorso online.
Le ricerche indicano che l’iper-connessione può contribuire a problemi come l’ansia, la depressione e l’isolamento sociale. La costante esposizione a vite apparentemente perfette sui social media innesca un senso di inadeguatezza e frustrazione, alimentando la percezione di non essere all’altezza degli standard sociali. Questa pressione sociale, unita alla necessità di essere sempre reattivi nel contesto lavorativo contemporaneo, contribuisce a uno stato di tensione continua.
“Il tecnostress, ovvero lo stress da uso smodato delle nuove tecnologie, ha effetti collaterali sulla salute fisica e mentale delle persone.” – Craig Brod
Inoltre, può ridurre l’interesse per le interazioni sociali dirette, privilegiando quelle online. Le conseguenze toccano anche l’ambito fisico: rendere difficoltoso il passaggio da uno stile di vita sedentario a uno caratterizzato dall’esercizio diventa sempre più complesso. Il sonno subisce influssi negativi e c’è la possibilità di una connessione con condizioni quali l’obesità. È interessante notare come le fasce d’età più avanzate siano ugualmente presenti nel panorama dei social media, sfatando così l’idea che la FoMO rappresenti una problematica esclusiva della gioventù.
Per affrontare questa intricata questione, è essenziale promuovere la consapevolezza riguardo a un utilizzo equilibrato della tecnologia digitale e incentivare strategie efficaci per gestire lo stress. Iniziative mirate a contrastare il disturbo da iper-connessione forniscono strumenti utili per comprendere meglio le proprie emozioni, affrontare ansia e tensione psicologica, potenziare i legami interpersonali e abbracciare stili di vita più salutari.
Il ruolo cruciale del welfare aziendale e del supporto psicologico
Di fronte alla crescente incidenza dello stress e del burnout, le aziende sono chiamate a giocare un ruolo attivo nella promozione del benessere dei propri dipendenti. Investire in programmi di welfare aziendale non è più un’opzione ma una necessità strategica per attrarre e trattenere i talenti, migliorare la produttività e creare ambienti di lavoro sani. Questi programmi dovrebbero includere servizi di supporto per la salute mentale, come consulenze individuali o di gruppo con professionisti qualificati.

Le aziende che offrono supporto psicologico ai dipendenti rivelano un aumento della produttività e una diminuzione dell’assenteismo, evidenziando un ritorno economico sugli investimenti fatti nel benessere dei lavoratori. Secondo recenti studi, le aziende che adottano tali prassi possono risparmiare fino a 136 miliardi di euro in costi legati all’assenteismo per malattia e burnout.
“Il 68% dei dipendenti afferma che il benessere psicologico dovrebbe essere una priorità per la propria azienda. Il fine principale consiste nel creare un ambiente protetto ed esclusivo dove i collaboratori possano affrontare le proprie difficoltà personali e professionali. Ciò serve non solo a diminutire gli effetti nocivi dell’ansia & dello stress, ma anche ad ottimizzare le prestazioni sul lavoro. Le sessioni sono disponibili sia in presenza che attraverso piattaforme online; questo approccio mira a garantire massima accessibilità ed elasticità. Diverse realtà imprenditoriali mettono inoltre in campo servizi d’emergenza attivi ventiquattro ore al giorno per gestire situazioni critiche dal punto di vista emotivo; ciò comprende supporto alle famiglie inteso ad ampliare il concetto stesso del benessere oltre la singola figura del dipendente.
I programmi volti alla salute mentale comprendono non solo consulenze dirette ma anche workshop finalizzati alla diffusione delle buone pratiche quotidiane quali corsi nutritivi oppure incontri mirati alla gestione dello stress mediante tecniche avanzate come la mindfulness. Promuovere una maggiore attività fisica è spesso possibile grazie all’istituzione di convenzioni con centri fitness oppure creando appositi spazi ricreativi nelle aziende stesse; tali iniziative tendono significativamente ad aumentare la vitalità mentalmente orientata verso una maggiore efficienza sul lavoro mentre rafforzano le relazioni interpersonali tra membri del team.
L’introduzione della flessibilità nelle modalità operative risulta fondamentale: modalità quali orari su misura, lavoro concentrato settimanale oppure telelavoro contribuiscono sostanzialmente nel facilitare un equilibrio sostenibile fra impegni privati e professionali: ciò incide positivamente sull’evitare sentimenti d’oppressione contribuendo simultaneamente al miglioramento generalizzato del clima organizzativo.
I programmi di assistenza ai dipendenti (PAD) offrono un ventaglio articolato di servizi destinati a sostenere i lavoratori: dal counseling specificamente orientato ad affrontare problematiche personali fino all’assistenza legale o economica.
Valorizzare adeguatamente il contributo apportato dai collaboratori mediante programmi formali ed equi ha l’effetto di incrementare non solo la loro motivazione ma anche la fedeltà, oltre a migliorare complessivamente l’atmosfera aziendale. È cruciale prestare attenzione alla salute fisica attraverso visite mediche periodiche insieme ad attività preventive mirate. In aggiunta, nel caso dei dipendenti operanti da remoto o secondo modelli ibridi, diventa essenziale fornire sostegno specifico: ciò comporta l’accessibilità a piattaforme digitali, incontri online adeguati e una garanzia rispetto alla disponibilità dell’equipaggiamento tecnico necessario per massimizzare le performance lavorative ed equilibrarne gli aspetti professionali con quelli privati.Verso un’etica del benessere nel mondo del lavoro
Le statistiche riguardanti lo stress lavoro-correlato e il burnout presentano un quadro articolato per quanto concerne l’Italia; qui l’iper-connessione insieme alle sempre più opprimenti pressioni professionali si amalgamano con veri strati di sofferenza emotiva e aspetti psicologici. Questi dati non rappresentano semplicemente cifre o percentuali: essi rispecchiano la realtà tangibile vissuta da milioni di individui.
Un principio fondamentale della psicologia comportamentale pertinente a questa questione è la teoria dello stress, secondo cui lo stress va oltre il mero disagio. Esso costituisce una risposta fisiologica ed emozionale del corpo agli stimoli esterni (stressor) considerati pericolosi o gravosi. Nello spazio lavorativo contemporaneo vi sono vari fattori scatenanti: dai carichi lavorativi insostenibili fino all’imposizione della disponibilità permanente attraverso i mezzi tecnologici.
Quando tali fattori persistono nel tempo senza un’adeguata capacità degli individui di gestirli efficacemente, ci si ritrova dentro uno stato cronico di tensione mentale capace infine di generare quella sindrome nota come burnout. La risposta comportamentale a questi stimoli stressanti può manifestarsi in vari modi, dalla procrastinazione all’irritabilità, fino all’isolamento sociale.
Sul piano della psicologia cognitiva, possiamo addentrarci nel concetto di distorsioni cognitive legate al lavoro. Di fronte a situazioni stressanti, la nostra mente tende a interpretare la realtà in modi non sempre oggettivi. Altra distorsione frequente è l’iper-generalizzazione, che porta a credere che un singolo insuccesso in un’attività lavorativa si estenderà inevitabilmente a tutte le altre. Queste distorsioni cognitive non solo aumentano il livello di stress percepito, ma influenzano anche i nostri comportamenti, rendendo ancora più difficile affrontare le sfide lavorative in modo efficace.
Glossario:
- Burnout: Esaurimento emotivo e fisico causato da stress lavorativo cronico.
- Iperconnessione: Stato di essere costantemente connessi alla tecnologia, che può portare a stress e ansia.
- Sindrome da corridoio: La difficoltà nell’impermeabilizzare gli ambiti lavorativo e privato genera effetti deleteri su entrambi i fronti.
Una ponderazione approfondita su tali dinamiche evidenzia l’intimo rapporto fra la nostra identità personale e le mansioni alle quali siamo assegnati. In un contesto sociale dove l’identificazione avviene principalmente attraverso ruoli occupazionali specifici, vivere insuccesso o complicazioni nella carriera può significare minacciare sia l’autoefficacia percepita sia l’autovalutazione individuale. Sotto questa luce, ciò che si definisce burnout emerge come qualcosa d’oltrepassante rispetto al semplice affaticamento collegato all’attività professionale; si presenta infatti come una vera crisi dell’identità, una frattura tra l’essenza del nostro io autentico e i requisiti esterni imposti dal mondo del lavoro.
Questa condizione invita a una seria riflessione sull’urgenza di edificare le nostre fonti di soddisfazione personale sopra fondamenti diversificati più resilienti; fondamentalmente distaccandosi dalla mera dimensione lavorativa.
È imperativo cominciare ad apprezzare tutte le molteplici dimensioni dell’esistenza umana: affinché possano fiorire interazioni relazionali significative al di fuori delle occupazioni quotidiane, investire tempo nelle nostre passioni personali diventa cruciale mentre rivalutiamo quello spazio interiore nel quale risiedono i nostri reali meriti—quest’ultimi non dipendendo esclusivamente dall’evoluzione della carriera professionale. Solo in questo modo sarà possibile dar vita a un’esistenza caratterizzata da un migliore equilibrio e da una robusta resilienza, in grado di far fronte alle sollecitazioni imposte dall’attuale panorama lavorativo, senza cedere sotto il giogo dello stress e dell’iperconnessione obbligatoria.