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Bullismo e cervello: come le prepotenze scolpiscono la mente di vittime e carnefici

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  • Il bullismo altera l'amigdala e la corteccia prefrontale nel cervello.
  • Il progetto IMAGEN ha scoperto modifiche strutturali nel cervello degli adolescenti.
  • Tra il 15% e il 22% degli studenti tra i 12 e i 18 anni subisce bullismo.

Il bullismo, fenomeno purtroppo ubiquo e insidioso nelle dinamiche sociali, in particolare durante l’adolescenza, non lascia tracce solo nell’anima o nella memoria emotiva; il suo assalto crudele può letteralmente riscrivere segmenti della nostra architettura cerebrale. Non è una metafora, ma una realtà che affonda le radici nella scienza della neuroplasticità. Consideriamo il caso di Ciro, un ragazzo di sedici anni la cui esperienza di vittima di bullismo funge da doloroso, ma illuminante, punto di partenza per indagare come l’aggressione sistematica e prolungata possa scolpire il cervello, sia di chi la subisce sia di chi la perpetra.

La neuroplasticità, la straordinaria capacità del cervello di modificarsi continuamente in risposta all’esperienza, è la chiave per comprendere questi processi. Ogni interazione, ogni trauma, ma anche ogni atto di gentilezza o apprendimento, induce alterazioni a livello sinaptico e strutturale. Nel caso in cui si viva in uno stato di costante aggressione psicologica o fisica—comprendente derisioni e isolamento—il cervello sviluppa meccanismi per affrontare questa incessante sensazione di minaccia.

Questa modifica però presenta effetti collaterali notevoli. In chi subisce tali esperienze traumatiche ripetute, un’eccessiva esposizione allo stress può provocare risposte sia fisiologiche che neurologiche in grado non solo di compromettere le normali funzioni, ma anche di stravolgere l’integrità strutturale di zone cerebrali vitali. L’amigdala — centrale nella gestione del timore e delle emozioni — tende ad attivarsi oltre misura; diventa quindi molto sensibile a stimoli identificabili come pericolosi anche molto tempo dopo aver interrotto l’esperienza del bullismo stesso. Parallelamente ad essa si osserva una diminuzione dell’attività o della dimensione della corteccia prefrontale — responsabile dei processi decisionali complessi come pianificare eventi futuri oppure moderare gli impulsi – arrecando conseguenze dirette sulla funzionalità globale del soggetto interessato. Tale separazione tra amigdala (che offre risposte rapide ed emotive) e area frontale del cervello (che si occupa invece della razionalità) chiarisce perché vi sia una crescita nei casi legati all’ansia generalizzata, così come negli accessi acuti di panico e nelle problematiche associate alla gestione dello stress quotidiano per le vittime coinvolte.

Studi longitudinali e casi clinici come quello ipotetico di Ciro suggeriscono una correlazione significativa tra l’esposizione a traumi precoci, inclusi quelli relazionali come il bullismo severo e cronico, e lo sviluppo di sindromi post-traumatiche da stress (PTSD). Il cervello di chi ha subito bullismo può rimanere in uno stato di allerta elevata, con conseguenti problemi di sonno, irritabilità, difficoltà di concentrazione e la tendenza a rivivere l’esperienza traumatica attraverso flashback intrusivi. L’ippocampo, struttura fondamentale per la memoria e la regolazione dello stress, può subire una riduzione volumetrica, compromettendo la capacità di consolidare nuovi ricordi e di distinguere in modo efficace tra pericoli passati e sicurezza presente. Questo può contribuire a un senso persistente di insicurezza e alla difficoltà di costruire relazioni interpersonali sane.

Recenti studi hanno dimostrato che i cambiamenti strutturali nel cervello, associati all’esperienza del bullismo, sono simili a quelli riscontrati in esperienze traumatiche come la violenza domestica, suggerendo che il bullismo rappresenta un grave problema di salute pubblica globale. Un esempio è il progetto IMAGEN, che ha scoperto modifiche strutturali nel cervello di adolescenti vittime di bullismo, inclusa l’amigdala e la corteccia prefrontale, aree cruciali per la regolazione emotiva e il comportamento di risposta.

Non meno inquietante è l’impatto del bullismo sui bulli stessi. Sebbene possa sembrare controintuitivo, anche l’atto di infliggere sofferenza può “modellare” il cervello, seppure in modi diversi e ugualmente disfunzionali. Un comportamento aggressivo e prepotente, se ripetuto e non corretto, può essere rinforzato a livello neurale. Le aree cerebrali legate all’empatia, come alcune porzioni della corteccia prefrontale mediale e del giro frontale inferiore, possono mostrare una minor reattività o connettività. Questo deficit empatico non è necessariamente una condizione di partenza, ma può svilupparsi o accentuarsi a causa della sistematica disconnessione emotiva necessaria per infliggere dolore agli altri senza provare rimorso. L’abitudine alla sopraffazione e alla coercizione può rafforzare i circuiti della ricompensa associati al dominio e all’esercizio del potere, anche se tale potere si basa sulla sofferenza altrui. Tale situazione può sfociare in tratti di personalità antisociali, nonché provocare disturbi della condotta durante la fase evolutiva del soggetto; tali problematiche hanno la possibilità di persistere anche nell’età adulta, mutando così in modelli relazionali deleteri oppure, nei casi più estremi, dando origine a attitudini criminose. L’incapacità di identificare e reagire adeguatamente agli stati emotivi altrui complica notevolmente le interazioni sociali che dovrebbero fondarsi sulla reciprocità e sul rispetto. All’interno di questo scenario, la neuroplasticità rappresenta non solo un aspetto positivo volto al benessere o alla riabilitazione individuale, ma si configura altresì come un fattore attraverso cui modelli comportamentali disfunzionali possono sedimentarsi col passare del tempo.

Dalle cicatrici invisibili alla possibilità di guarigione

L’impatto profondo e duraturo del bullismo sulla struttura e sulla funzione cerebrale, evidenziato dalle ricerche sulla neuroplasticità, sottolinea l’urgenza di approcci terapeutici mirati e innovativi. La buona notizia è che la stessa neuroplasticità che permette al trauma di lasciare un’impronta negativa offre anche una via potenziale per la guarigione e il cambiamento. Se il cervello può essere modificato dall’esperienza negativa, può esserlo anche da esperienze positive e terapeutiche. È qui che convergono psicologia cognitiva, psicologia comportamentale e le più recenti scoperte nel campo delle neuroscienze.

Le terapie basate sulla neuroplasticità puntano a “riallenare” il cervello, a creare nuove connessioni neurali più funzionali e a indebolire quelle associate alle risposte maladattive scatenate dal trauma. Per le vittime di bullismo, l’obiettivo primario è spesso la regolazione emotiva e la riduzione dell’ipervigilanza tipica del PTSD e dei disturbi d’ansia. Tecniche come la Cognitive Behavioral Therapy (CBT), particolarmente efficace nell’identificare e modificare i pensieri disfunzionali (“sono in pericolo”, “il mondo è ostile”, “sono inadeguato”) che mantengono attivo lo stato di allerta, possono aiutare a ristrutturare le risposte cognitive ed emotive agli stimoli ambientali.

CBT e Bullismo: La CBT è nota per la sua efficacia nel trattamento di depressione e ansia, che sono frequenti nelle vittime di bullismo. Attraverso la modifica dei pensieri disfunzionali, gli individui possono migliorare la loro resilienza e affrontare più efficacemente le interazioni sociali.

Un altro approccio promettente è la EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing), una terapia che utilizza movimenti oculari o altre forme di stimolazione bilaterale alternata per aiutare il cervello a elaborare ricordi traumatici in modo più adattivo. L’EMDR sembra facilitare la comunicazione tra l’amigdala e la corteccia prefrontale, permettendo al ricordo traumatico di essere “archiviato” correttamente nel sistema mnestico, riducendone l’intensità emotiva disturbante. Le esperienze di bullismo, spesso frammentate e caricate di emozioni negative intense, possono essere elaborate in modo da perdere parte del loro potere invalidante.

Per affrontare l’ansia sociale e i problemi di autostima che spesso affliggono le vittime, possono essere utili terapie di esposizione graduale, in cui l’individuo viene aiutato ad affrontare gradualmente situazioni sociali temute in un ambiente sicuro e controllato. Questo permette di “iscrivere” la risposta emotiva associata a contesti sociali, dimostrando al cervello che non tutte le interazioni sono pericolose e che è possibile gestirle in modo efficace. Ogni piccola vittoria, ogni interazione positiva, contribuisce a rafforzare nuovi circuiti neurali associati alla resilienza e alla fiducia. L’allenamento delle abilità sociali e l’assertività possono ulteriormente supportare questo processo, fornendo strumenti comportamentali per navigare in contesti sociali complessi.

L’intervento sui bulli presenta sfide diverse. Qui l’obiettivo è promuovere l’empatia e modificare i comportamenti aggressivi. Terapie individuali e di gruppo possono focalizzarsi sull’identificazione e sulla gestione della rabbia, sull’apprendimento di strategie prosociali per risolvere i conflitti e sullo sviluppo della capacità di perspective-taking, ovvero mettersi nei panni dell’altro. Programmi di riabilitazione per giovani aggressori spesso includono componenti che mirano specificamente a stimolare le aree cerebrali sottoutilizzate legate all’empatia e alla cognizione sociale, ad esempio attraverso esercizi di gioco di ruolo o discussioni guidate sulle conseguenze emotive delle proprie azioni sugli altri.

Tipo di Terapia Descrizione
CBT Identifica e modifica pensieri disfunzionali, migliorando la regolazione emotiva.
EMDR Facilita l’elaborazione di ricordi traumatici attraverso stimolazione bilaterale.
Terapia d’Espressione Utilizza l’arte per elaborare emozioni e traumi emotivi.
Formazione alle abilità sociali Migliora interazioni e relazioni, affrontando deficit comunicativi.

Le potenziali terapie basate sulla neuroplasticità non si limitano agli approcci psicoterapeutici classici. La ricerca sta esplorando l’uso di neurofeedback, una tecnica che permette agli individui di imparare a modulare la propria attività cerebrale in tempo reale, ad esempio aumentando l’attività nelle aree prefrontali o riducendo l’iperattività amigdala. Anche l’esercizio fisico, noto per i suoi effetti neuroprotettivi e per la capacità di promuovere la neurogenesi e la sinaptogenesi, è considerato un coadiuvante fondamentale nei percorsi di guarigione dal trauma. L’attività fisica regolare può migliorare l’umore, ridurre l’ansia e lo stress e supportare attivamente i processi di neuroplasticità riparativa.

Si stima che tra il 15% e il 22% degli studenti tra i 12 e i 18 anni sperimenta forme di bullismo, mostrando necessità urgenti di interventi preventivi e di supporto psicologico.

Il bullismo lascia ferite profonde, ma la scienza ci dimostra che queste ferite non sono necessariamente permanenti e inalterabili. La comprensione dei meccanismi di neuroplasticità offre nuove speranze e direzioni per interventi più efficaci, orientati non solo a gestire i sintomi psicologici, ma anche a ripristinare, per quanto possibile, un funzionamento cerebrale più sano.

Cosa ne pensi?
  • Questo articolo mi ha aperto gli occhi sul bullismo... 🤩...
  • Sono scettico sull'idea che il bullismo 'scolpisca' il cervello... 🤔...
  • E se il bullismo fosse un sintomo di una società malata... 💔...

Il peso del contesto sociale e temporale

Non si può analizzare l’impatto del bullismo e la sua interazione con la neuroplasticità senza considerare il contesto sociale e temporale in cui il fenomeno si manifesta e le sue conseguenze si dispiegano. Il bullismo non è un evento isolato, ma spesso una dinamica relazionale persistente, inserita in un ambiente (scolastico, sportivo, online) che può facilitarla o contrastarla. La risposta del cervello e la direzione della neuroplasticità sono potentemente influenzate non solo dalla natura dell’aggressione, ma anche dalla presenza o assenza di fattori protettivi.


Un ambiente scolastico supportivo, con insegnanti attenti e pronti a intervenire, o una rete sociale di pari empatica e inclusiva, possono modulare significativamente l’impatto traumatico del bullismo. La presenza di almeno un adulto di riferimento fidato, in grado di offrire ascolto e sostegno, è un fattore protettivo cruciale per i giovani vittime. A livello neurologico, questo supporto sociale esercita un’influenza significativa abbattendo l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), il quale rappresenta il principale sistema di reazione allo stress presente nell’organismo. Inoltre, esso favorisce un aumento della sintesi ormonale, specie per quanto riguarda l’ossitocina, molecola intrinsecamente legata sia ai processi d’affiliazione che all’alleviamento dell’ansia. Perciò, possiamo concludere che vivere la sensazione di essere notati e sostenuti gioca un ruolo fondamentale nel favorire una neuroplasticità diretta verso la resilienza anziché verso la fragilità.

In concomitanza con ciò, la durata e la gravità dell’esperienza di bullismo si rivelano fattori cruciali nell’influenzare il grado delle modificazioni neuronali subite. Un singolo episodio traumatico potrebbe avere effetti cerebrali sostanzialmente distinti rispetto a periodi prolungati contraddistinti da vessazioni continue. Il bullismo ricorrente genera uno stato costante d’allerta negli individui coinvolti, sottraendo risorse neurali ed inducendo adattamenti strutturali e funzionali più evidenti. Questi cambiamenti risultano talvolta così marcati da rendere difficile il loro recupero successivo. In particolare, durante le finestre critiche dello sviluppo cerebrale, soprattutto in adolescenza, caratterizzate da intense ristrutturazioni sinaptiche, si osserva una maggiore vulnerabilità dei giovani agli effetti duraturi derivanti da simili esperienze traumatiche.

Il bullismo online (cyberbullismo) ha aggiunto una dimensione nuova e complessa, aumentando ulteriormente le vulnerabilità legate alla salute mentale degli adolescenti. La pervasività del cyberbullismo può intensificare il senso di impotenza e vergogna, aggravando la risposta allo stress.

È importante notare che l’impatto del bullismo non si esaurisce con la fine dell’esperienza aggressiva diretta. Le alterazioni neurali e i pattern comportamentali associati possono persistere nell’età adulta, influenzando le dinamiche relazionali, la salute mentale e persino le traiettorie professionali. Adulti che sono stati vittime di bullismo in gioventù presentano tassi più elevati di depressione, ansia, difficoltà a mantenere relazioni stabili e problemi di autostima. Analogamente, gli adulti che sono stati bulli in adolescenza mostrano una maggiore propensione a comportamenti aggressivi, problemi con la giustizia e difficoltà a stabilire legami empatici.

Fattori Protettivi e Rischi Descrizione
Ambiente Scolastico Supportivo Insegnanti pronti a intervenire e supporto tra pari.
Supporto di Adulti Presenza di adulti fidati che offrono ascolto e sostegno.
Durata del Bullismo Maggiore gravità e durata aumentano l’impatto traumatico.

La comprensione dettagliata di Ciro e il suo percorso, se fosse completamente documentato, fornirebbero dati preziosi: a che età è iniziato il bullismo? Quanto è durato? Di che tipo è stato? Quali fattori di protezione o di rischio erano presenti nel suo ambiente? Quali sono state le conseguenze immediate e quali si manifestano a distanza di tempo? Solo un’analisi così minuziosa può gettare luce sui complessi intrecci tra esperienza, ambiente e neuroplasticità, aiutando a personalizzare gli interventi e a aumentarne l’efficacia. La lotta contro il bullismo, interpretata attraverso la promozione di contesti sociali che siano tanto sani quanto inclusivi fin dalla prima infanzia, si presenta come un fattore determinante. Questo approccio è essenziale non solo per garantire un immediato benessere psicologico, ma si rivela altrettanto cruciale per facilitare uno sviluppo cerebrale dei giovani che sia al contempo sano e dotato della giusta resilienza.

Un delicato equilibrio della mente

Il tema del bullismo e delle sue ripercussioni neurobiologiche si inserisce prepotentemente nel panorama moderno della psicologia e della medicina legate alla salute mentale, stimolando riflessioni profonde sulla natura umana, la resilienza e la capacità di cambiamento. È un ambito in cui le neuroscienze offrono spiegazioni biologiche a fenomeni che per troppo tempo sono stati considerati esclusivamente psicologici o sociali, rafforzando l’idea di una mente incarnata, inseparabile dal suo substrato cerebrale.

Nell’ambito della psicologia cognitiva, l’esperienza di bullismo fornisce un esempio lampante di come schemi mentali disfunzionali (“il mondo è cattivo”, “io non valgo”) possano formarsi e consolidarsi. Questi schemi, una volta radicati, filtrano e interpretano le nuove esperienze in modo distorto, perpetuando circoli viziosi di ansia e isolamento. La terapia cognitiva mira proprio a identificare e sfidare questi schemi, offrendo al cervello l’opportunità di costruire nuove mappe cognitive più rappresentative della realtà e meno auto-sabotanti.

Dal punto di vista della psicologia comportamentale, il bullismo può essere visto come un complesso sistema di rinforzi. Per il bullo, il comportamento aggressivo può essere rinforzato dall’acquisizione di potere o di attenzioni, mentre per la vittima, risposte di evitamento o sottomissione possono essere rinforzate dalla momentanea cessazione dell’attacco, perpetuando però un ciclo di paura e passività. Le terapie comportamentali, come l’addestramento all’assertività, lavorano per interrompere questi cicli disfunzionali, insegnando nuove risposte comportamentali che promuovono l’autonomia e la sicurezza.

Approfondendo una nozione base della psicologia cognitiva, possiamo dire che il bullismo intacca il nostro senso di sé e la nostra attribuzione causale. Le vittime tendono ad attribuirsi la colpa (“è colpa mia se vengo bullizzato”), sviluppando un’immagine negativa di sé. La terapia aiuta a riformulare queste attribuzioni, riconoscendo che la responsabilità dell’aggressione è del bullo, non della vittima, e a ricostruire un senso di autostima positivo, basato su qualità intrinseche e non sull’approvazione esterna o sull’assenza di attacchi.

Glossario:
  • Neuroplasticità: la capacità del cervello di modificare le proprie connessioni in risposta all’esperienza.
  • PTSD: Disturbo Post-Traumatico da Stress, condizione psicologica che si sviluppa dopo aver vissuto eventi traumatici.
  • CBT: Cognitive Behavioral Therapy, approccio terapeutico che mira a modificare pensieri e comportamenti disfunzionali.


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