Automedicazione a Cesena: perché i giovani ricorrono sempre più a sostanze psicoattive?

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  • Nel 2023, quasi il 40% dei giovani (15-19 anni) ha consumato sostanze psicoattive illegali.
  • L'uso di psicofarmaci tra i giovani è in crescita del 29% negli ultimi 5 anni.
  • I SerD assistono 132.200 individui, con un aumento del 55% per cocaina/crack.

In Emilia Romagna, con particolare riferimento alla città romagnola di Cesena, si profila un inquietante ed emergente problema sociale relativo ai giovani: la diffusione delle sostanze psicoattive insieme alla tendenza all’automedicamento. Questo aspetto non deve essere considerato semplicemente come una questione statistica; al contrario, è indicativo delle intricate dinamiche sociali che influenzano il panorama locale fino a riflettere problematiche globali legate al comportamento umano nelle sue sfaccettature psicologiche. L’indagine svolta – frutto sia delle testimonianze raccolte sia delle valutazioni degli specialisti – illumina una realtà in cui sostanze quali cocaina e hashish affermano la loro presenza nel vissuto quotidiano dei giovani adolescenti; diventano così mezzi ingannevoli quanto rischiosi utilizzati per affrontare le difficoltà tipiche del passaggio verso l’età adulta.

L’automedicazione emerge pertanto come uno strumento raffinato attraverso cui molti cercano scampo dalle paure esistenziali. Si rivela dunque come una parentesi temporanea dalla quale sfuggire alle aspettative gravose imposte dalla nostra società attuale.

I giovani, in questo scenario, si ritrovano a gestire un carico emotivo significativo, amplificato da fattori come la pressione sociale, le aspettative scolastiche e lavorative, e la costante esposizione mediatica. In questo contesto, l’assunzione di sostanze euforizzanti o sedanti, seppur apparentemente in grado di offrire un sollievo immediato, si rivela un sentiero scivoloso che conduce a un aggravamento delle condizioni preesistenti e alla genesi di nuovi, più gravi, disturbi. È un circolo vizioso: il disagio iniziale spinge all’uso, l’uso intensifica il disagio, e così via, in una spirale discendente che compromette il benessere psicofisico e minaccia lo sviluppo armonico della personalità.

Nel 2023, quasi il 40% dei giovani tra i 15 e i 19 anni ha consumato almeno una sostanza psicoattiva non legale, e l’uso di psicofarmaci tra i giovani è in crescita fino al 29% negli ultimi 5 anni. [Relazione annuale al Parlamento]

Le interviste con psicologi e psichiatri di Cesena hanno evidenziato come alla base di queste condotte vi sia spesso una fragilità emotiva non riconosciuta o mal gestita. Disturbi d’ansia, depressione, disturbi post-traumatici e difficoltà relazionali emergono come i principali motori di questa ricerca di “sollievo” chimico. I dati raccolti indicano un aumento preoccupante, negli ultimi cinque anni, delle richieste di aiuto per problematiche legate all’abuso di sostanze, con un picco significativo tra i giovani di età compresa tra i 15 e i 25 anni. Inizialmente, si fa spesso ricorso a sostanze “leggere” come l’hashish, percepite come meno dannose e più accettabili socialmente, ma il passaggio a droghe più pesanti come la cocaina o all’abuso di psicofarmaci, spesso prescritti per scopi terapeutici e poi deviati, è un percorso tutt’altro che infrequente. Quest’ultimo aspetto è particolarmente critico, poiché l’accesso relativamente facile a farmaci con potenziale d’abuso (come ansiolitici e sedativi ipnotici) rappresenta un ulteriore fattore di rischio in un contesto dove la consapevolezza dei pericoli è spesso sottovalutata.

Nota Importante: Nel 2023, i Servizi per le dipendenze (SerD) hanno assistito 132. Un numero significativo di 200 individui si trova attualmente nel percorso di trattamento delle tossicodipendenze, registrando un incremento del 55% tra coloro che cercano supporto per problemi legati a cocaina e crack. [Corriere della Sera]

L’emergenza di questa problematica non si limita ai confini di Cesena, ma si configura come un campanello d’allarme nazionale, richiedendo un approccio olistico e integrato alla salute mentale, che vada oltre la semplice repressione e si concentri sulla prevenzione e sul supporto psicologico. Un approccio sinergico tra le istituzioni, il mondo della scholastica, le famiglie stesse e gli operatori nel campo sanitario si rivela indispensabile per interpretare i segni del malessere giovanile. Solo attraverso la creazione di reti solide e operative sarà possibile offrire ai ragazzi veri itinerari verso una vita sana, liberandoli dalle grinfie di una dipendenza insidiosa che si erge come un predatore invisibile sulla soglia del loro avvenire.

Le radici psicologiche e sociali del fenomeno

Nell’esplorazione delle dinamiche legate all’uso giovanile delle sostanze psicoattive insieme alla questione dell’automedicazione emergono questioni centrali riguardanti le loro sottili interconnessioni. È fondamentale esaminare come questi fenomeni affondino le proprie origini tanto nella sfera personale quanto nei contesti sociali. Le discipline psicologiche come la psicologia comportamentale e quella cognitiva forniscono chiavi interpretative utilissime: non emerge da esse semplicemente l’immagine del giovane ribelle alla ricerca del piacere immediato; bensì risulta evidente come spesso ci si trovi dinanzi a scelte disfunzionali adottate per gestire sensazioni quali senso d’inadeguatezza – ansia – vuoto esistenziale. Al centro vi è sempre la componente della pressione esercitata dal gruppo dei pari; particolarmente significativa è questa pressione nel panorama contemporaneo invaso dai social media con rappresentazioni idealizzate del successo. I giovani sono così continuamente sollecitati a misurarsi con criteri irraggiungibili che alimentano insicurezze interne mentre cercano disperatamente modi idonei a conformarsi ai dettami collettivi emersi dal loro ambiente sociale. A tal punto può verificarsi che il consumo di sostanze assuma le vesti della chiave d’accesso all’appartenenza, manifestandosi anche quale rituale iniziatico volto ad accrescere temporaneamente quelle sicurezze innate tanto elusive nei rapporti quotidiani.

Numerosi studi condotti su campioni di giovani, anche nel contesto specifico di Cesena, hanno mostrato una correlazione significativa tra l’abuso di sostanze e la presenza di disturbi mentali sottostanti non diagnosticati o non trattati. Ansia generalizzata, attacchi di panico, fobia sociale, disturbi depressivi maggiori e persino disturbi post-traumatici da stress (DPTS) spesso agiscono come catalizzatori di queste scelte. Un ragazzo o una ragazza che sperimenta un’ansia debilitante, ad esempio, potrebbe scoprire che l’uso di cannabis o di certi psicofarmaci attenua temporaneamente la sensazione di oppressione, inducendolo a replicare questa “soluzione” in modo sempre più frequente. Analogamente, chi soffre di traumi non elaborati potrebbe cercare nel torpore indotto dalle droghe un modo per anestetizzare il dolore emotivo e i ricordi intrusivi. Questo processo, apparentemente logico nella sua disfunzionalità, si cristallizza in un’abitudine che, nel tempo, altera la chimica cerebrale, rendendo sempre più difficile la disintossicazione e il recupero psicologico. La funzione della famiglia, insieme all’ambiente educativo, si configura come particolarmente cruciale. Un deficit comunicativo o l’assenza totale dello stesso, insieme alla presenza di conflitti interni alla famiglia, oppure all’eccessiva tensione posta sulle prestazioni, possono senz’altro favorire il sorgere dei comportamenti problematici. I professionisti del settore educativo e psicologico hanno messo in evidenza quanto sia essenziale predisporre programmi preventivi che vadano oltre la mera informativa riguardo ai rischi connessi all’uso delle sostanze stupefacenti; tali iniziative devono infatti incentivare lo sviluppo delle competenze sociali ed emotive (soft skills), includendo capacità fondamentali come quella nella gestione dello stress, nella comunicazione efficace e nel sapersi opporre alla pressione esercitata dai coetanei. Investimenti mirati su questi fronti sono indispensabili sin dalla scuola elementare fino alle superiori, al fine di alimentare nei giovani una resilienza utile ad affrontare le avversità quotidiane, evitando strade rischiose. Il contesto cesenate emerge quindi come un microcosmo esemplificativo delle necessità di tutta una generazione: desiderio genuino d’ascolto sostenuto da disponibilità concreta verso il benessere individuale.

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L’impatto sulla salute mentale e le prospettive di intervento

La problematica dell’abuso delle sostanze psicoattive non deve essere considerata una soluzione temporanea per le difficoltà personali; piuttosto essa emerge come un catalizzatore che amplifica il malessere psicologico giovanile. Le implicazioni negative sull’equilibrio mentale degli adolescenti sono profondamente preoccupanti. Nella città di Cesena – così come in vari altri contesti simili – i professionisti della salute riscontrano una crescente incidenza della cosiddetta doppia diagnosi: fenomeno nel quale la dipendenza da sostanze si sovrappone a patologie psichiatriche già presenti o provoca la loro insorgenza. Un chiaro esempio è dato dalla cocaina, che ha il potere di aggravare i sintomi ansiosi oltre a scatenare episodi paranoici; similmente anche il consumo I racconti provenienti dai giovani coinvolti nei percorsi di recupero offrono spunti significativi. Numerosi partecipanti riferiscono un primo periodo contrassegnato da sollievo apparente, seguito però da un’intensificazione del senso d’isolamento nonché della vergogna fino alla disperazione profonda. Le relazioni interpersonali subiscono deterioramenti significativi; contestualmente il rendimento sia scolastico che lavorativo diminuisce in modo drasticamente: la vita quotidiana diventa così una spirale incessante attorno alla ricerca dell’sostanza accoppiata a tentativi spesso infruttuosi per interrompere l’abuso stesso. L’aspetto del trauma assume qui due dimensioni fondamentali: esistono infatti i traumi già presenti prima dell’inizio dell’uso della sostanza stessa—e quelli aggiuntivi causati dall’esperienza legata alla dipendenza quali possono essere le esperienze congiunte d’umiliazione o anche episodi violenti. È chiaro dunque che l’ambito medico relativo alla salute mentale è costretto ad affrontare l’urgenza di elaborare metodologie terapeutiche sempre più elaborate e individualizzate per gestire questa intricata rete fra consumo tossicomanico, disordini psichiatrici ed eventi traumatici vissuti.

Anche riguardo alle opportunità operative nella città di Cesena nonché nell’intero contesto nazionale italiano c’è la necessità urgente di riconsiderare le strategie politiche sanitarie e sociali adottate finora.

È essenziale incrementare l’accessibilità dei servizi dedicati alla salute mentale giovanile, rendendoli più facilmente fruibili e meno soggetti a pregiudizi. Si deve contemplare un ampio ventaglio d’interventi: dalla terapia cognitivo-comportamentale (CBT), mirata alla modifica dei modelli mentali disfunzionali, fino alla terapia dialettico-comportamentale (DBT), adatta nella regolazione delle emozioni forti. Parimenti importante è l’investimento in iniziative preventive all’interno delle scuole e nelle comunità locali; tali programmi dovrebbero andare oltre le semplici informazioni ed educare allo sviluppo personale attraverso scambi comunicativi liberi da giudizi severi. Gli insegnanti, gli esperti del settore sanitario e il nucleo familiare hanno bisogno della formazione necessaria per individuare tempestivamente segnali inequivocabili di malessere nei ragazzi. L’unione tra queste diverse forze sociali rappresenta un elemento cruciale per creare una rete solidale efficiente capace non solo d’offrire opzioni autentiche dai sentieri del recupero ma anche d’incoraggiare una riscoperta del significato profondo della libertà rispetto alle dipendenze. L’unica via percorribile è quella che ci consente di interrompere il ciclo ripetitivo dell’automedicazione, regalando così prospettive nuove a tutta questa generazione in cerca d’illuminazioni future.

Oltre la superficie: la complessità dell’animo e il potere della mente

In questo universo di ombre e dipendenze, di fughe e tentativi di aggrapparsi a qualcosa che offra sollievo, si cela una verità fondamentale: la mente umana è un organo di straordinaria complessità, e i suoi meccanismi, sebbene a volte dolorosi, celano un potenziale immenso. Una nozione base della psicologia cognitiva ci insegna che i nostri pensieri, credenze e schemi mentali influenzano profondamente le nostre emozioni e i nostri comportamenti. Nel caso dell’automedicazione, spesso i giovani sviluppano pensieri distorti riguardo alla loro capacità di affrontare le difficoltà o credenze errate sul potere “curativo” delle sostanze. Riconoscere e modificare questi schemi è il primo passo per spezzare il ciclo. Non è la realtà oggettiva a determinarci, ma la nostra interpretazione di essa. E, talvolta, quella interpretazione può essere così dolorosa da spingerci a cercare un’anestesia.

Approfondendo una nozione più avanzata, la psicologia comportamentale ci introduce al concetto di rinforzo negativo. Questo meccanismo spiega come un comportamento (l’assunzione di una sostanza) che riduce o elimina uno stimolo sgradevole (ansia, dolore emotivo, pressione sociale) tende a essere ripetuto. La sostanza agisce come un “salvatore” temporaneo, fornendo un sollievo immediato, ma nel lungo termine crea una dipendenza, trasformando quello che era un rimedio in un problema ancora più grande. Comprendere questo meccanismo non è solo un esercizio accademico, ma una chiave potente per la cura: significa insegnare ai giovani nuove strategie di coping, più adaptive ed efficaci, che non si basino su un sollievo effimero, ma sulla costruzione di una resilienza autentica.

Di fronte a queste complessità, la riflessione personale diventa non solo opportuna, ma necessaria. Quante volte, nella nostra vita, abbiamo cercato una scorciatoia, un modo più semplice per affrontare un dolore, una delusione, una pressione? Certo, le sostanze psicoattive rappresentano un’accelerazione pericolosa di questa tendenza, ma il principio resta lo stesso. Ogni volta che evitiamo il confronto con le nostre fragilità, perdiamo un’occasione per conoscerci, per sviluppare forza interiore e per crescere. La storia di Cesena, e dei suoi giovani alle prese con il circolo vizioso dell’automedicazione, ci interpella tutti. Ci invita a interrogare non solo le istituzioni e la società, ma anche noi stessi. Siamo sufficientemente presenti? Ascoltiamo con attenzione? Offriamo un modello di gestione delle difficoltà che sia costruttivo e non basato sulla fuga? Forse, la vera cura inizia proprio qui, nella capacità di accogliere il disagio, il nostro e quello altrui, come parte integrante dell’esperienza umana, e di trasformarlo in un’opportunità per riscoprire il potere intrinseco della nostra mente e la forza della nostra volontà. Affrancarsi da qualunque dipendenza significa celebrare la libertà più profonda: quella di essere pienamente se stessi, con tutte le luci e le ombre, padroni del proprio destino.

Glossario:
  • Psicoatti: sostanze che influenzano la attività mentale, emotiva e comportamentale.
  • Automedicazione:: si riferisce all’uso indiscriminato, da parte dei pazienti, di farmaci o sostanze senza la necessaria supervisione di un professionista sanitario, volto ad alleviare i sintomi manifestati.
  • Nuove Sostanze Psicoattive (Nsp):: indicate come quelle sostanze chimiche artificiali, le cui classificazioni legali non sono state ancora stabilite da enti governativi competenti.
  • Fentanyl:: è un oppiaceo artificiale altamente potente, impiegato nel contesto terapeutico per la gestione del dolore, purtroppo risulta frequentemente oggetto di abuso a causa delle sue virtù euforiche riconosciute.

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