- Dal 2019 al 2024, le nuove diagnosi di DCA sono aumentate del 64%.
- L'ospedale Bambino Gesù ha visto un aumento del 50% sotto i 10 anni.
- Ogni anno si registrano circa 4.000 decessi in Italia a causa dei DCA.
L’Italia è attualmente confrontata con una sfida silenziosa ma in continua espansione: i disturbi del comportamento alimentare (DCA). Patologie come l’anoressia nervosa, la bulimia e il binge eating disorder, ovvero disturbo da alimentazione incontrollata, non rappresentano ormai fenomeni isolati; bensì colpiscono decine di milioni di individui nel paese. Le statistiche sono eloquenti: oltre 3 milioni d’italiani convivono con tali condizioni patologiche. Questa realtà inquietante comporta esistenze alterate da profonde sofferenze e genera un peso considerevole sul sistema della salute pubblica nazionale. Tradizionalmente, l’insorgenza di tali disturbi era circoscritta a età comprese tra i 15 e i 25 anni; tuttavia, tale soglia sta rapidamente diminuendo, coinvolgendo sempre più soggetti minorenni. Tale anticipato impatto sulla salute sia fisica che mentale dei giovani contribuisce a rendere la situazione decisamente grave.
Il primo semestre del 2020 aveva già registrato una crescita sorprendente pari al 40% delle nuove diagnosi in ambito pediatrico rispetto al periodo annuale precedente; ulteriori dati recenti resi disponibili dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù sottolineano ulteriormente ed evidenziano questa preoccupante tendenza ascendente. Dal 2019 al 2024, le nuove diagnosi di DCA in questa struttura romana sono aumentate del 64%, con un incremento del 50% negli accessi di pazienti sotto i 10 anni e nella fascia 11-13 anni. Queste cifre non sono solo statistiche, ma raccontano storie di bambini e adolescenti la cui crescita e sviluppo vengono minacciati da una relazione distorta con il cibo e il proprio corpo. La prevalenza di anoressia e ARFID (disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo) è quella che preoccupa maggiormente gli specialisti. L’anoressia nervosa, in particolare, affligge circa l’1% della popolazione italiana, con oltre 540.000 casi stimati, di cui una stragrande maggioranza (90%) sono donne. Tuttavia, è fondamentale sottolineare che i DCA non sono una prerogativa femminile; anche gli uomini ne sono colpiti, e le percentuali sono in aumento anche tra loro.
Anno | Nuovi casi (stima) | Aumento percentuale dal 2019 |
---|---|---|
2019 | 680,569 | – |
2020 | 879,100 | 29%+ |
2023 | 1,680,456 | 40%+ |
La complessità di questi disturbi richiede un approccio multidisciplinare, che coinvolga medici, psicologi, nutrizionisti e altre figure professionali. La mancanza di consapevolezza riguardante i fattori che contribuiscono alla vulnerabilità delle persone e le difficoltà nel percepire i segni iniziali rappresentano una sfida fondamentale per la diagnosi anticipata. Tuttavia, questa sfida viene spesso ignorata. Le conseguenze del ritardo nella diagnosi e dell’accesso a trattamenti adeguati possono essere devastanti: si assiste così a un incremento del rischio di sviluppare complicazioni mediche severe, fino ad arrivare alla mortalità. I disturbi del comportamento alimentare (DCA), con particolare riferimento all’anoressia nervosa, presentano uno dei tassi più elevati di mortalità tra tutte le condizioni psichiatriche esistenti; ogni anno si registrano circa 4.000 decessi in Italia.[SuperABILE INAIL]. L’evidente gravità del fenomeno mette in rilievo la necessità improrogabile di modificare il corso degli eventi, richiedendo un intervento decisivo nell’affrontare questa crisi attraverso approcci mirati che riguardano la prevenzione, la diagnosi e il trattamento.
Radici profonde: l’influenza culturale e sociale sui DCA
La narrazione che spesso circonda i DCA, riducendoli a mere questioni di immagine corporea o a problemi “culturali”, sviaggia e ostacola la comprensione della loro profonda complessità. Se da un lato campagne di sensibilizzazione per contrastare stereotipi estetici e stimoli sociali negativi sono fondamentali, dall’altro è cruciale non cadere nella semplificazione e riconoscere la base clinico-biologica di queste patologie. La tendenza a sovrapporre concetti diversi come salute e politica, malattia e cultura, natura e ambiente, rischia di generare confusione e di impedire un approccio terapeutico mirato ed efficace.
Il movimento della body positivity, ad esempio, pur avendo il merito innegabile di promuovere l’inclusività e contrastare gli stereotipi, può involontariamente contribuire a comportamenti errati o ritardare la ricerca di aiuto professionale, quando non si distingue chiaramente tra l’accettazione del proprio corpo e la necessità di intervenire su condizioni che compromettono la salute fisica. Un peso corporeo eccessivo, come sottolineato dagli esperti, non deve mai essere motivo di vergogna, ma ignorarlo può portare a gravi complicanze metaboliche e cardiovascolari.
La storia stessa dei DCA dimostra che non sono un “prodotto della società moderna”. Sintomi e comportamenti compatibili con l’anoressia sono stati documentati in epoche e contesti culturali diversi, suggerendo che i modelli estetici contemporanei, pur agendo da fattori scatenanti o mantenenti, non sono la causa unica di queste patologie. Esiste una vulnerabilità individuale, una predisposizione che rende alcuni individui più suscettibili di altri allo sviluppo di un DCA di fronte a determinati stimoli ambientali. Comprendere questi fattori di vulnerabilità è cruciale per personalizzare gli interventi preventivi e terapeutici.
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L’imprescindibile ruolo della famiglia e della scuola
Nel variegato ed estremamente delicato contesto della prevenzione oltreché della diagnosi tempestiva dei DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare), si delineano chiaramente due attori fondamentali: la famiglia e il sistema scolastico, che rivestono ruoli essenziali nella battaglia contro queste patologie subdole. La dimensione familiare emerge quale primo scenario nel quale è possibile notare le avvisaglie preoccupanti; qui si ha l’opportunità di fornire un supporto imprescindibile. Indicatori come comportamenti anomali riguardanti l’alimentazione o una maniacale attenzione al peso corporeo insieme a improvvisi sbalzi emotivi o l’isolamento dagli altri dovrebbero diventare oggetto di attenta osservazione da parte dei genitori affinché possano apprendere a distinguere questi segnali con diligenza senza mai sottovalutarli. Fenomeni fisici quali una persistente sensazione di freddo oppure vertigini frequenti – non dimenticando nei casi delle ragazze le alterazioni del ciclo mestruale – potrebbero rivelarsi evidenze corporee inequivocabili dell’insorgere di problematiche alimentari. Risulta quindi fondamentale che i membri familiari acquisiscano consapevolezza circa tali indicativi onde poter reagire prontamente e intraprendere un percorso per ricevere supporto professionale.
La funzione svolta dalla scuola è ugualmente importante e completa gli sforzi della famiglia con eguale significato. Il corpo docente insieme al personale educativo riveste spesso il ruolo cruciale di primi osservatori esterni alla sfera familiare quando si tratta di percepire mutamenti nel comportamento degli allievi. È fondamentale implementare programmi progettati specificamente per aumentare la sensibilità, nonché interventi formativi sul tema dell’alimentazione che escano dalla superficialità: tali iniziative devono indagare le intricate questioni psicologiche legate ai temi del cibo e dell’immagine corporea; questo è essenziale per costruire consapevolezza ed eliminare lo stigma. Assicurarsi che ci sia un’atmosfera accogliente ed empatica permette agli studenti l’opportunità necessaria per manifestare apertamente le loro inquietudini senza timore del giudizio da parte degli altri. L’integrazione delle forze tra famiglie, istituti scolastici e sistemi sanitari deve essere considerata come assolutamente sine qua non, affinché possa crearsi una rete solida d’appoggio. Un approccio olistico in cui genitori ed educatori collaborano fianco a fianco con esperti è in grado realmente di incidere positivamente sulla vita dei giovani vulnerabili. Inoltre si assiste frequentemente a una difficoltà generale nell’identificazione della patologia; questa situazione è amplificata dalla scarsa comprensione da parte degli stessi soggetti affetti riguardo alla gravità dei loro sintomi: pertanto risulta vitale accelerarne l’addestramento nei membri del corpo docente così come fra i familiari coinvolti.
Oltre il visibile: vulnerabilità, traumi e percorsi di cura personalizzati
Esaminando i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), si pongono alla luce determinati elementi invisibili che costituiscono una vera e propria vulnerabilità personale. L’impatto dei traumi psicologici emerge prepotentemente quale fattore determinante, contribuendo sia all’insorgere sia al perdurare delle suddette patologie. Le evidenze offerte dalla psicologia cognitiva e comportamentale supportano l’idea che i DCA non derivino unicamente da errate decisioni personali o dalla semplice mancanza d’impegno; invece sono intimamente legati a schemi mentali disfunzionali ed emozioni compromesse. Fenomeni associabili allo spettro autistico – quali una ripetuta concentrazione mentale su interessi molto specifici – si rintracciano anche nei pazienti affetti da DCA; ciò conduce spesso a un’ossessione per il cibo o per l’attività fisica. Specialmente nelle adolescenti, le problematiche tendono a essere mimetizzate, attraverso meccanismi socializzati volti ad occultarle, rendendo così il processo diagnostico assai arduo.
Situazioni traumatiche verificabili tanto su scala personale quanto familiare fungono spesso da catalizzatori, particolarmente quando si sperimentano sentimenti d’abbandono o difficoltà nel formare relazioni stabili con le figure parentali essenziali. La proiezione di disagi emotivi nel cibo, rifiutandolo, è un esempio di come i DCA possano manifestarsi come risposta a esperienze dolorose e a una percezione di insicurezza nel proprio ambiente.
La complessità dei DCA rende l’intervento multidisciplinare non solo auspicabile, ma indispensabile. Psichiatri, psicologi, neuropsichiatri infantili, dietisti, specialisti in medicina interna, endocrinologi e cardiologi devono lavorare in sinergia per offrire un percorso di cura integrato e personalizzato. La terapia cognitivo-comportamentale (TCC) è uno degli approcci terapeutici più efficaci nel trattamento dei DCA, mirando a modificare i pensieri disfunzionali e i comportamenti correlati all’alimentazione e all’immagine corporea. Altri approcci, come la terapia familiare, sono cruciali, specialmente nei casi ad esordio precoce, in quanto coinvolgono l’intero nucleo familiare nel processo di guarigione. È fondamentale superare l’idea che esista un’unica “ricetta” per il recupero; il percorso terapeutico deve essere dinamico e adattato alle esigenze specifiche del paziente nelle diverse fasi del recupero. Parametri come peso, indice di massa corporea, massa grassa e muscolare, e marcatori di idratazione, devono essere monitorati costantemente per regolare l’assunzione calorica e proteica in modo personalizzato, garantendo un recupero non solo del peso, ma anche di una sana composizione corporea. L’accesso a cure specializzate è purtroppo ancora ostacolato da liste d’attesa, con tempi che possono arrivare fino a 13 mesi per cure adeguate. L’incremento dei centri dedicati, come quello evidenziato dalla mappatura dell’ISS, passando da 180 a 214 strutture in pochi mesi, è un segnale positivo, ma la strada verso una copertura adeguata e l’accesso tempestivo alle cure è ancora lunga.
La psicologia cognitiva ci insegna che i disturbi alimentari sono strettamente legati a schemi di pensiero rigidi e distorti riguardo al cibo, al peso e all’immagine corporea. Quando parliamo di questi schemi cognitivi, non possiamo ignorare come essi siano spesso influenzati dal contesto ambientale; diventano così delle vere “lenti” attraverso le quali ogni individuo osserva la propria realtà. Questo porta inevitabilmente a manifestazioni di comportamenti disfunzionali. Si potrebbe fare riferimento all’idea del filtro ottico: proprio come questo modifica colori e forme rendendoli distorti agli occhi dell’osservatore, similmente la persona vive una percezione errata della realtà esterna. I pensieri automatici negativi tendono quindi ad avvitarsi in circoli viziosi caratterizzati da episodi di restrizione alimentare oppure abbuffate seguite da comportamenti compensatori – ognuno dei quali rinsalda gli stessi schemi mentali iniziali già instaurati. Un argomento più elaborato introduce il concetto noto come embodiment cognizione; esemplifica quanto profondamente i nostri corpi plasmino i processi cognitivi ed emotivi stessi. Nel caso dei disturbi del comportamento alimentare (DCA), sussiste una relazione particolarmente complessa tra individuo ed esperienza corporea – collegata strettamente alle sensazioni fisiologiche come fame o sazietà – modificando radicalmente sia l’autopercezione sia le interazioni con tutto ciò che ci circonda. La riflessione sulle interconnessioni tra mente, corpo ed esperienze può offrirci uno spaccato prezioso sull’intreccio della fragilità umana accompagnata dai comportamenti enigmatici apparenti nel loro manifestarsi nella vita quotidiana.