- Il 40-70% degli individui con disturbi psichiatrici ha subito traumi infantili.
- Nel 2023 è stato registrato un aumento dei comportamenti violenti tra adolescenti.
- L'educazione emotiva riduce l'aggressività e sviluppa strategie di coping.
Recenti fatti di cronaca hanno riportato in primo piano la complessa interazione tra disturbi della personalità, traumi pregressi e l’espressione di violenza, in particolare quella a carattere impulsivo. L’analisi di profili di individui resisi protagonisti di atti violenti, come nel caso di Massimiliano Mulas, un quarantacinquenne con un passato di reati a sfondo sessuale di notevole gravità, evidenzia una dimensione preoccupante: la persistenza della pericolosità sociale. La dottoressa Roberta Bruzzone, criminologa e psicologa forense, sottolinea la mancanza di percorsi terapeutici efficaci per certi tipi di disturbi parafilici, definendoli “istinti predatori irrefrenabili”. Questa prospettiva mette in discussione l’efficacia della riabilitazione in determinate circostanze, suggerendo la necessità di strategie di gestione del rischio a lungo termine anziché la mera detenzione dettata dalla durata della pena.
Il caso Mulas, così come altri episodi criminali esaminati dalla dottoressa Bruzzone, presenta analogie con profili come quello di Edgard Bianchi, il cosiddetto “stupratore dell’ascensore”, accomunati dalla presenza di disturbi parafilici e una tendenza a manifestare comportamenti disinibitori e impulsivi. Le ricerche più recenti evidenziano come svariati disturbi della personalità, tra cui spiccano il disturbo antisociale, il disturbo borderline e il disturbo narcisistico, siano strettamente legati all’insorgere di atti violenti nei rapporti interpersonali. Tale connessione implica un incremento sostanziale della probabilità di incorrere in problematiche sia fisiche che psicologiche, comprese condizioni quali la sofferenza cronica e i sintomi del PTSD. [State of Mind].
La discussione si allarga alla valutazione complessiva del soggetto deviante, sottolineando come spesso si agisca solo sulla base dei singoli reati, senza un’analisi olistica delle modalità di delinquere e della potenziale pericolosità futura. Questo approccio parcellizzato, secondo gli esperti, limita l’efficacia delle misure di prevenzione e controllo. Si propone una modifica legislativa che preveda la presunzione di pericolosità in tutti i casi di violenza sessuale, garantendo un monitoraggio dei soggetti anche dopo l’espiazione della pena. Il dibattito sull’efficacia di misure come la castrazione chimica rileva la sua inutilità per questi profili, poiché l’impulso non risiede primariamente nella sfera sessuale di per sé, ma nell’atto predatorio e nella difficoltà di gestire gli impulsi aggressivi.
Il disturbo esplosivo intermittente, classificato nel DSM-5 tra i “Disturbi dirompenti del controllo degli impulsi e della condotta”, fornisce un ulteriore tassello nella comprensione della violenza impulsiva. Il suddetto disturbo è contraddistinto da reazioni aggressive sproporzionate, le quali emergono in modo incontrollato rispetto agli eventi che le provocano. Queste reazioni sono accompagnate da un’intensa tensione emotiva che riesce a trovare un’unica via d’uscita nel comportamento violento. Le manifestazioni possono assumere forme verbali oppure fisiche e rivoltarsi tanto contro individui quanto nei confronti di animali o oggetti. Un aspetto cruciale riguarda l’incapacità di gestire efficacemente la rabbia combinata alla propensione a interpretare negativamente il contesto circostante. Sebbene non vi sia ancora un consenso completo riguardo alle origini precise del disturbo esplosivo intermittente, si ritiene possano esistere legami con esperienze pregresse dell’individuo, condizioni ambientali specifiche ed eventuali disfunzioni neurologiche o metaboliche implicate nella patologia stessa. Per procedere con una diagnosi adeguata è necessario escludere altri possibili disturbi psichiatrici attraverso apposite analisi condotte da esperti. Un altro trastorno di personalità frequentemente correlato a manifestazioni impulsive e aggressive è rappresentato dal disturbo bipolare; questo presenta una notevole variabilità nell’espressione clinica strettamente interconnessa allo stato affettivo dell’individuo stesso, rendendo l’impulsività un elemento clinicamente rilevante all’interno della malattia. Durante gli episodi maniacali, il rischio di comportamenti aggressivi, spesso di natura impulsiva, aumenta. Questa probabilità è ulteriormente amplificata dalla presenza di comorbidità, come disturbi da uso di sostanze o un pregresso comportamento aggressivo. Studi hanno evidenziato come pazienti bipolari ricoverati mostrassero livelli di violenza superiori rispetto a individui affetti da depressione, suggerendo una relazione tra impulsività e aggressività nel contesto di questa patologia. L’abuso di sostanze, molto comune nei pazienti bipolari, può essere visto come una forma di “automedicazione” o come una manifestazione comportamentale dell’impulsività stessa.
La perizia psichiatrica su Walter Pitteri, imputato per l’omicidio della moglie, ha messo in luce una personalità con “tratti narcisistici impulsivi”. Sebbene sia stato escluso un vizio di mente tale da compromettere l’incapacità di intendere e di volere al momento del fatto, la descrizione del profilo evidenzia la presenza di caratteristiche di personalità che possono predisporre a reazioni violente e non mediate. Il caso di Fabrizio Corona e il dibattito sul disturbo borderline di personalità riaprono la riflessione sulla complessità di queste patologie, caratterizzate da una marcata instabilità del sé e un funzionamento interpersonale compromesso. L’affettività negativa, l’antagonismo e l’agire impulsivo per gestire stati di vuoto o caos emotivo sono tratti distintivi che possono sfociare in comportamenti autolesivi, abuso di sostanze o tentativi di suicidio.
L’influenza dei traumi infantili e dell’esposizione alla violenza
La ricerca scientifica evidenzia in modo sempre più marcato la correlazione tra traumi vissuti nell’infanzia e l’emergere di comportamenti aggressivi e violenti in età adulta. Le esperienze traumatiche precoci, che vanno oltre i “grandi traumi” come incidenti o violenze dirette, includono anche la trascuratezza emotiva e affettiva (“neglect”). Questa mancanza di cura e di sintonizzazione emotiva da parte delle figure di riferimento durante i primi dieci anni di vita, periodo cruciale per lo sviluppo cerebrale, può lasciare cicatrici biologiche e psicologiche durature. Eventi come la perdita di un genitore, il bullismo o la malattia in famiglia, se non adeguatamente supportati, possono anch’essi costituire traumi infantili.
La letteratura scientifica è concorde nell’affermare che esperienze traumatiche infantili aumentano significativamente il rischio di sviluppare disturbi psichici in età adulta, tra cui disturbi della personalità (in particolare il disturbo borderline), disturbi d’ansia e depressione. Sebbene non tutti gli individui traumatizzati sviluppino patologie, il trauma funge da importante fattore di rischio che richiede un’indagine approfondita nel percorso clinico del paziente adulto.
L’aspetto più “rivoluzionario” delle recenti scoperte riguarda la biologia del trauma, con studi di epigenetica che dimostrano come traumi gravi possano indurre modificazioni nell’espressione genetica, trasmissibili anche alle generazioni successive. Queste alterazioni possono influenzare, in particolare, i geni legati alla risposta allo stress. I traumi infantili non elaborati possono manifestarsi nell’età adulta sotto diverse forme, anche non direttamente riconducibili all’evento originario, come disagio emotivo, difficoltà relazionali, attacchi di panico, depressione o sintomi psicosomatici. È fondamentale che i professionisti della salute mentale esplorino la storia del paziente per identificare e trattare questi traumi “silenziosi”.
L’esposizione alla violenza, in particolare in ambito familiare (violenza assistita), rappresenta un’altra forma di trauma che incide profondamente sullo sviluppo psicofisico del minore. Vivere in un ambiente instabile e caratterizzato da violenza tra le figure di riferimento genera nel bambino paura, confusione e disagio. Questo stress continuo può compromettere il corretto sviluppo delle strutture cerebrali deputate alla regolazione emotiva e al controllo degli impulsi (corteccia prefrontale). L’iperattivazione dell’amigdala, deputata alla percezione della paura, non viene adeguatamente bilanciata dalla corteccia frontale, portando a un’eccessiva attenzione ai segnali di pericolo e a una riduzione delle capacità di apprendimento e socializzazione. Se non si interviene precocemente con un supporto mirato, questi bambini possono manifestare comportamenti aggressivi e devianti in preadolescenza, associandosi a bande e utilizzando la violenza come unica modalità di relazione. Questo disagio non trattato costituisce un terreno fertile per lo sviluppo di patologie psichiche e aumenta la probabilità di diventare adulti violenti. L’esposizione alla violenza nella comunità durante l’adolescenza è riconosciuta come un grave problema di salute pubblica, con influenze significative sul comportamento.
Studi evidenziano una correlazione tra condizioni ambientali avverse e un aumento della violenza nelle società umane. In questa prospettiva, l’indagine conoscitiva del Parlamento italiano sul degrado materiale, morale e culturale nella condizione dei minori, con focus sulla diffusione di aggressività e violenza, assume particolare rilevanza. L’obiettivo è quello di approfondire le cause e individuare strategie di intervento efficaci.
Il fenomeno della “zoocriminalità minorile”, ossia il maltrattamento e l’uccisione di animali da parte di minori, è un indicatore specifico di pericolosità sociale e un predittore di future condotte devianti e criminali, come stalking, bullismo, violenza domestica, stupri e omicidi. La non adeguata interpretazione o banalizzazione di questi atti da parte dell’ambiente (famiglia, scuola, istituzioni) costituisce un fattore di rischio che favorisce l’escalation della violenza. Al contrario, una risposta competente e un trattamento personalizzato possono contenere l’impulso violento e prevenire future aggressioni verso altri animali o persone.
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Fattori ambientali e modelli di ruolo violenti
L’ambiente in cui un individuo cresce e si sviluppa gioca un ruolo cruciale nella manifestazione di comportamenti aggressivi e violenti, in particolare tra i giovani. I risultati di ricerche neuroscientifiche indicano che anomalie strutturali e funzionali nel cervello, insieme a stress prolungato o ripetuto, possono contribuire all’insorgere di questi comportamenti.
Ma anche la qualità del contesto ambientale a livello microscopico e macroscopico ha effetti significativi a lungo termine sul comportamento di bambini e adolescenti. Le difficoltà economiche familiari possono rappresentare una causa di disagio che spinge i ragazzi verso la criminalità. Altri fattori sociali determinanti includono l’influenza dei pari, la presenza di gruppi devianti e l’esposizione a un ambiente che normalizza comportamenti aggressivi. Quartieri caratterizzati da degrado materiale, morale e culturale possono creare un contesto favorevole alla violenza giovanile.
La malavita organizzata, ad esempio, utilizza la “pedagogia nera”, coinvolgendo i minorenni in atti di crudeltà verso gli animali, per reclutarli e addestrarli a diventare criminali. Questo dimostra come un ambiente deviante possa sfruttare e indirizzare l’aggressività fin dalla giovane età. L’esposizione alla violenza nella comunità, come la violenza assistita in famiglia, è un fattore di rischio significativo per lo sviluppo di comportamenti problematici in adolescenza. Vivere in un contesto in cui la violenza è presente contribuisce a creare un modello di comportamento che può essere interiorizzato e riprodotto. In questa ottica si comprende come i modelli di comportamento aggressivo rivestano un’importanza cruciale. Secondo quanto avanzato dalla teoria dell’apprendimento sociale, gli individui tendono ad assimilare atteggiamenti, incluse le manifestazioni di aggressività, mediante l’osservazione dei loro riferimenti sociali. Quando figure significative come genitori o amici espongono condotte violente in modo costante tramite forme mediali o nella vita quotidiana, c’è una maggiore inclinazione a replicarle.
Diverse indagini scientifiche hanno messo in luce un legame diretto tra l’esposizione ai contenuti mediatici intrisi di brutalità e una propensione elevata verso comportamenti tanto distruttivi quanto offensivi. Alcuni studi indicano chiaramente come quella della violenza trasmessa dalle televisioni possa accrescere svariati impulsi aggressivi; tuttavia è essenziale notare che tale influenza può essere temperata da variabili quali tratti caratteriali specifici e dal contesto in cui ci si trova inseriti socialmente. Un panorama socioculturale predisposto a giustificare ed esibire tali condotte per mezzo dell’affermazione positiva del modello devianti genera una seria minaccia al rispetto reciproco.
Le ricorrenze annuali della Giornata Mondiale della Rabbia del 28 settembre insieme alla Giornata Intermazionale contro la Violenza sulle Donne del 25 novembre richiamano con urgenza all’analisi delle problematiche vigenti riguardo a queste tematiche così rilevanti per ciascuna comunità umana contemporanea. Le iniziative della Polizia di Stato e delle Prefetture, come l’attivazione di sportelli d’ascolto per le vittime di violenza, rappresentano passi importanti nella prevenzione e nel contrasto. Tuttavia, per affrontare efficacemente la violenza giovanile, è necessario un approccio multidimensionale che agisca sui diversi fattori di rischio, inclusi quelli ambientali e sociali.
La prevenzione della violenza impulsiva e giovanile richiede l’implementazione di strategie mirate. L’educazione emotiva a scuola, ad esempio, insegna ai bambini e agli adolescenti a riconoscere, comprendere e gestire le proprie emozioni, inclusa la rabbia. Questo può aiutare a sviluppare strategie di coping efficaci e a ridurre l’aggressività.
La collaborazione tra i servizi territoriali (sanitari, sociali, educativi), come sottolineato da esperti nel campo, è essenziale per intercettare precocemente i bisogni sommersi e garantire risposte tempestive e appropriate a bambini e adolescenti a rischio. Un impegno significativo in ambiti quali la prevenzione, l’educazione e i servizi di assistenza risulta essenziale per interrompere il perpetuo ciclo della violenza, promuovendo al contempo la creazione di una società più sicura.
Interventi di prevenzione e strategie di contrasto
Affrontare il problema della violenza giovanile d’impulso necessità di uno schema complesso ed interdisciplinare che trascenda le semplicistiche misure repressive per mirare alle cause fondamentali del fenomeno stesso. Analizzando vari studi sull’argomento si evidenzia come i fattori predisponenti siano plurimi ed intrecciati; questa varietà impone l’attuazione di interventi su diverse scale: da quella personale alla dimensione familiare fino ad arrivare agli ambiti scolastici, comunitari e sociali.
In particolare, nel contesto individuale è essenziale lavorare sulla regolazione delle emozioni così come sugli impulsi istintivi. La formazione emotiva emerge quale strumento cruciale già dai primissimi anni scolastici, con lo scopo di educare bambini ed adolescenti nel riconoscimento, comprensione e gestione degli stati interiormente affettivi. È essenziale affrontarne uno in particolare: la rabbia. Essa risulta una risposta fondamentale nelle dinamiche aggressivo-impulsive; apprendere forme costruttive per comunicarla, insieme allo sviluppo di efficaci meccanismi d’adattamento, possono drasticamente diminuire l’incidenza della violenza esplosiva. Tra le varie metodologie indicate risultano utilissime pratiche quali il problem solving, tecniche finalizzate al rilassamento o ancora la terapia EMDR; tali metodi sono cruciali nell’ambiente terapeutico affinché supportino gli individui nel trattamento dei traumi passati, oltre alla revisione completa degli atteggiamenti problematicamente disfunzionali.
A livello familiare, è cruciale supportare i genitori nello sviluppo di pratiche educative positive e nella creazione di un ambiente relazionale sicuro e responsivo. La violenza assistita, in particolare, richiede interventi mirati sul bambino esposto al trauma, ma anche un lavoro di prevenzione primaria attraverso la formazione genitoriale. Insegnare ai genitori a sintonizzarsi emotivamente con i figli, a riconoscere i segnali di disagio e a promuovere una sana comunicazione emotiva è fondamentale per una corretta crescita psicofisica.
La scuola può anche contribuire a creare un ambiente inclusivo e sicuro, contrastando fenomeni come il bullismo e il cyberbullismo, che costituiscono forme di violenza tra pari con significative conseguenze psicologiche. L’adeguamento sistematico delle misure preventive così come concepite nel piano elaborato dal Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM) costituisce un progresso significativo verso obiettivi vitali.
In ambito comunitario, oltre che nella sfera sociale, si rivela imprescindibile affrontare il deterioramento ambientale che alimenta tendenze alla violenza giovanile. Tale azione dovrebbe includere strategie volte al potenziamento delle condizioni socio-economiche, alla lotta contro l’influenza negativa dei gruppi deviantisti, nonché alla diffusione disinteressata d’ideali costruttivi attraverso figure emblematiche non aggressive. La coscienza collettiva circa gli effetti deleteri della violenza di genere, accompagnata dalla riflessione sui danni causati dai traumi infantili—suscitata da iniziative informative ad opera della UNICEF e altri organismi—è indispensabile per combattere appunto la sottovalutazione o persino la trivializzazione contestuale a tali attitudini nocive.
Un’efficace integrazione fra i molteplici servizi presenti nel territorio (sani, socialmente impegnati ed educativi, insieme alle forze dell’ordine) risulta vitale affinché si possa realizzare un approccio complessivo nella gestione degli individui vulnerabili assieme alle loro famiglie. Un monitoraggio precoce delle necessità latenti evidenzia poi l’urgenza d’instaurare punti d’ascolto, mentre un’accentuata implementazione negli iter diagnostici sarà utile affinché si possano fronteggiare le manifestazioni più gravi della violenza, assicurando al contempo il benessere sia mentale che fisico degli interessati. Al termine di questa analisi, è chiaro che la violenza impulsiva tra i giovani rappresenta un caso intricato che si nutre di diversi elementi: da una parte troviamo delle vulnerabilità personali, come disturbi della personalità o caratteristiche biologiche; dall’altra, si aggiungono esperienze traumatiche legate a eventi dell’infanzia o all’esposizione a situazioni violente. Inoltre, ci sono anche variabili ambientali e sociali in gioco: il contesto familiare nonché quello comunitario e i modelli da imitare. Per affrontare realmente questa problematica è necessario fare leva su uno sforzo collettivo ed effettuare significativi investimenti nelle politiche per la prevenzione sia primaria sia secondaria; oltre a ciò, è imprescindibile promuovere la salute mentale ed operare attivamente contro il degrado sociale.
Una riflessione sulla violenza e la sua prevenzione
Nel profondo del nostro essere, l’essere umano porta con sé la capacità di provare un’ampia gamma di emozioni. Tra queste, la rabbia emerge come una forza potente, una reazione primordiale a ciò che percepiamo come ingiustizia, minaccia o frustrazione. È un segnale, un campanello d’allarme che ci avvisa che qualcosa non va, che i nostri bisogni non sono soddisfatti o i nostri confini violati. In sé, la rabbia non è né buona né cattiva; è semplicemente un’energia che necessita di essere riconosciuta e gestita.
A un livello più avanzato, la psicologia comportamentale e la neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza ci rivelano come le esperienze precoci, in particolare i traumi infantili e l’esposizione alla violenza, possano modellare il nostro cervello e le nostre risposte emotive. La nostra capacità di regolare le emozioni e controllare gli impulsi non è innata, ma si sviluppa nel tempo, influenzata dalle interazioni con l’ambiente e dalle figure di riferimento. Un ambiente sicuro e responsivo, relazioni positive e modelli di ruolo sani sono fondamentali per la formazione di un sano equilibrio emotivo. Al contrario, traumi non elaborati possono lasciare “cicatrici” invisibili, predisponendoci a reazioni disregolate e a difficoltà nella gestione della rabbia.
Riflettere sulla violenza, in particolare sulla violenza giovanile e impulsiva, ci invita a guardare oltre l’atto stesso e a esplorare le sue radici profonde. Non si tratta semplicemente di una “ragazzata” o di un impulso isolato, ma spesso dell’espressione di un disagio interiore, di un trauma irrisolto o di un’incapacità di gestire emozioni intense. La prevenzione, in questo senso, non può limitarsi a misure repressive; deve agire a monte, promuovendo la salute mentale fin dalla prima infanzia, offrendo supporto a famiglie in difficoltà e creando ambienti sicuri e nutrienti per lo sviluppo dei bambini e degli adolescenti. L’educazione all’empatia, accompagnata dalla capacità di gestire le emozioni e promuovere la risoluzione pacifica delle controversie, rappresenta un investimento essenziale per il nostro avvenire. Questo approccio si configura come una mossa determinante per interrompere il ciclo di violenza attuale ed edificare una comunità più compassionevole nonché resiliente.
L’emozione della rabbia, quando viene esaminata attentamente e canalizzata in maniera positiva, ha la potenzialità di fungere da motore per il cambiamento sociale oltre a proteggere i nostri diritti; al contrario, se trascurata o male amministrata, rischia di infliggere danni sia a noi stessi che agli altri. La decisione è nelle nostre mani.