- Allarme cybersecurity: nel 2024, +10% di dati personali nel dark web.
- Segnalati 978.957 avvisi di dati esposti nel dark web.
- Gli incidenti gravi sono aumentati dell'89% rispetto al 2023.
- Il 36,8% degli italiani ha ricevuto notifiche dal dark web.
- L'indirizzo e l'email sono la combinazione più ambita (+146%).
Il nuovo anno si presenta come uno snodo cruciale per la sicurezza informatica in Italia nel 2024. Stando alle osservazioni fornite dal CRIF Cyber Observatory, è emerso un incremento marcato pari al 10% rispetto ai sei mesi precedenti riguardo all’esposizione dei dati personali nel dark web. Tale crescita non risulta soltanto numerica; essa si distingue anche per una maggiore complessità qualitativa: informazioni più approfondite sono legate a soggetti specifici delle vittime stesse, il che trasforma i tentativi fraudolenti in rischi considerevolmente letali e subdoli.
Nella prima metà del 2024, gli avvisi correlati all’esposizione dei dati sul dark web hanno quasi toccato il milione: esattamente sono state segnalate circa 978.957 notifiche. Quest’elemento singolo contribuisce a offrire una visione chiara della dimensione del problema insieme alle difficoltà crescenti che sia i cittadini che le aziende devono affrontare nell’attuale contesto digitale.
Secondo quanto riportato dall’annuale rapporto dell’Agenzia Nazionale di Cybersecurity (Acn), l’Italia mostra segnali preoccupanti riguardo agli attacchi informatici subiti: sono stati monitorati ben “1.979 eventi cyber”, confrontabili con i valori dello scorso anno… 411 del 2023), 573 incidenti gravi confermati (+89%) e oltre 2.700 vittime, tra enti pubblici, imprese e operatori economici.
– 1.979 eventi cyber monitorati
– 573 incidenti gravi (+89% rispetto al 2023)
– 2.700 vittime tra enti pubblici e aziende
Parallelamente all’aumento degli alert sul dark web, la gravità massima delle minacce è cresciuta del 31,6% nel primo semestre del 2024. Questo indica che gli attacchi non sono solo più frequenti, ma anche più mirati e potenzialmente devastanti. Tecniche avanzate, come gli exploit zero-click che consentono l’esecuzione di codice malevolo tramite un semplice SMS senza alcuna interazione da parte dell’utente, si stanno diffondendo, amplificando ulteriormente la vulnerabilità degli individui.
Nonostante questo scenario allarmante, emerge un dato apparentemente positivo: un calo del 34% degli alert relativi all’esposizione di dati sul web pubblico nello stesso periodo, con 23. Nel primo semestre del 2024 sono state registrate ben 500 segnalazioni. Tale incremento può essere in parte ricondotto a normative sulla privacy sempre più rigorose, le quali hanno determinato una crescente regolamentazione e una sorveglianza intensificata da parte degli individui riguardo ai propri dati personali. Tuttavia, spostare la problematica dal web pubblico verso il dark web – uno spazio notevolmente meno controllabile – contribuisce ad aggravare ulteriormente la situazione rendendola ancor più intricata e pericolosa.
L’Italia occupa una posizione allarmante nelle graduatorie mondiali inerenti ai furti informatici dei dati sensibili. Nel corso dei primi sei mesi dell’anno corrente, circa 36,8% della popolazione italiana ha ricevuto almeno una notifica relativa ai propri dati rintracciati nel dark web. La nazione è giunta quinta per quanto concerne i furti avvenuti su email e password online ed occupa il settimo posto internazionale rispetto agli indirizzi email compromessi globalmente. In merito alle informazioni riguardanti le carte di credito manomesse, l’Italia figura alla diciottesima posizione nella lista globale: benché questo dato sia relativamente inferiore rispetto ad altri indicatori sopra citati, rimane comunque simbolo di un rischio ampiamente presente nel panorama digitale attuale.
Le combinazioni di dati più ambite dai cybercriminali nel 2024 riflettono l’evoluzione delle tecniche di frode. La combinazione dell’indirizzo di residenza completo associato all’email è stata la più appetibile, rilevata nel 65,36% dei casi e con un aumento del 146% rispetto al secondo semestre 2023. Anche la combinazione di numero di telefono ed email ha registrato un incremento significativo del 142%, interessando il 37,22% dei casi. Questi dati sono particolarmente preziosi per gli attori malevoli che li utilizzano per condurre attacchi di ingegneria sociale sempre più mirati, come lo spear phishing, che si rivolge a bersagli specifici ed è, pertanto, più difficile da identificare. Attacchi come i BEC (Business Email Compromise) o la truffa del CEO, in cui i cybercriminali si spacciano per figure autorevoli per ottenere denaro o dati sensibili, sono in aumento e sfruttano proprio queste informazioni personali dettagliate.
Combinazione Dati | Percentuale Rilevata | Aumento Percentuale rispetto al 2023 |
---|---|---|
Indirizzo di residenza e email | 65,36% | +146% |
Numero di telefono ed email | 37,22% | +142% |
Se da un lato la combinazione di numero di carta di credito, dati di sicurezza e data di scadenza è diminuita leggermente nei primi sei mesi del 2024 (41,79% dei casi), rimane comunque un elemento di grande preoccupazione per il rischio di frodi finanziarie dirette. Inoltre, si osserva un crescente interesse per gli estremi dei documenti d’identità e altri codici identificativi personali, come il codice fiscale, che vengono utilizzati in combinazione con altri dati per richiedere servizi o effettuare acquisti fraudolenti.
Account e piattaforme a rischio e le implicazioni per la sicurezza nazionale
Nel corso del primo semestre del 2024 si è condotta un’analisi riguardante i conti maggiormente compromessi all’interno del dark web; in questo studio non sono stati considerati i servizi email. Si evidenzia pertanto una rivelazione significativa circa la manifestazione delle nuove vulnerabilità riscontrate: al vertice della classifica si trovano gli attivisti connessi ai servizi VPN (Virtual Private Network), detenendo una quota pari al 31%. Questi strumenti stanno conquistando crescente popolarità tra gli utenti privati poiché assicurano connessioni sicure e riservate; non sorprende quindi che attirino l’attenzione vorace dei criminal hacker, pronti a trarre vantaggio dell’ingresso in queste reti protette per attuare pratiche illecite ulteriormente avanzate. Seguono immediatamente nell’elenco i social network, incidendo su un buon 18%, sottolineando così quanto siano ritenute rilevanti le informazioni personali diffuse sulle relative piattaforme all’interno del commercio illecito dei dati. Occupano poi rispettivamente la quarta e quinta posizione gli account finanziari con un colpo d’occhio intorno al 10%, riferendosi alle diverse piattaforme dedicate ai pagamenti online oltre agli accordi presunti associabili ai siti di e-commerce, chiudendo infine con settori attestanti il settimo punto.
Afferrare tali credenziali sottratte tramite Internet equivale a possedere autentici tesori nel novero delle attività fraudolente compresi diversi tipi scorretti ed ingannevoli da portare avanti dai malintenzionati. Queste includono l’accesso non autorizzato agli account delle vittime, l’utilizzo fraudolento di servizi, l’invio di messaggi con richieste di denaro o link di phishing, la diffusione di malware e ransomware per estorcere o rubare denaro. *Il “fattore umano”, ovvero la disattenzione dell’utente, l’utilizzo di password deboli o la loro riutilizzazione su più account, continua a rappresentare una delle cause più comuni di compromissione dei dati*. Questo sottolinea l’importanza cruciale dell’educazione e della consapevolezza digitale per mitigare i rischi.
A livello geografico, oltre agli Stati Uniti in testa, Russia, Germania e Francia figurano tra i Paesi più colpiti dal furto di email e password online. L’Italia si posiziona al quinto posto, seguita dal Regno Unito. È interessante notare come il dominio .edu, ampiamente utilizzato da istituzioni accademiche, stia diventando sempre più diffuso sul dark web, indicando che un numero considerevole di indirizzi email di studenti e professori è esposto a rischi cyber. Per quanto riguarda lo scambio illecito di dati di carte di credito, l’Europa è al primo posto, con una crescita significativa del 107% rispetto al semestre precedente, seguita da Nord America e Asia. L’Italia si colloca al diciottesimo posto in questa classifica globale.
La situazione in Italia nel primo semestre 2024 evidenzia un aumento degli alert relativi al furto di dati monitorati sul dark web. Il 90,7% degli utenti che ha ricevuto almeno un avviso riguardava dati rilevati su questo ambiente oscuro del web, mentre solo il 9,3% era relativo a dati esposti sul web pubblico. Le fasce di età maggiormente colpite sono quelle tra i 51 e i 60 anni (25,8%), seguite da quelle tra i 41 e i 50 anni (25,5%) e dagli over 60 (25,5%). Gli uomini rappresentano la maggioranza degli utenti interessati dagli alert (64,0%).
- 51-60 anni: 25,8%
- 41-50 anni: 25,5%
- Over 60: 25,5%
Geograficamente, le regioni con il maggior numero di alert ricevuti nei primi sei mesi dell’anno sono il Lazio (18,7%), la Lombardia (13,8%), la Sicilia e la Campania (entrambe 8,5%). Nonostante ciò che si potrebbe pensare inizialmente, MOLISE, SICILIA, LOMBARDIA, UMBRIA e VALLE D’AOSTA emergono come le regioni con l’incidenza massima delle notifiche se si considerano i residenti. Le località che mostrano un numero elevato delle persone sottoposte ad avvisi comprendono principalmente il Centro (32.4%) e il Nord (38.9% nel complesso); tuttavia è importante notare come a livello percentuale sia stata registrata una maggiore risposta da parte degli abitanti delle zone del Nord Ovest rispetto a quelle del Nord Est.
Nella prima metà dell’anno 2024, invece, i dati più frequentemente individuabili nell’open web italiano rivelavano un predominio dei codici fiscali (63.1%), seguiti dalle email (28.8%), mentre i numeri telefonici (5.4%), username (1.7%) e indirizzi civici (<1%) costituivano fattori secondari. Nel contesto oscuro della rete, dall’altro lato, nelle analisi effettuate erano principalmente le credenziali email quelle messe in risalto, seguite dai numeri telefonici e dai codici fiscali. Stabilire legami tra queste informazioni crea evidentemente un panorama inquietante per possibili frodi legate a fenomeni come phishing o smishing.
Infine, bisogna sottolineare che lo scambio illecito dei dati personali, insieme alla violazione degli account, non interessa soltanto soggetti individuali, però influiscono pure sulla dimensione istituzionale, fondando dubbi sostanziali circa l’integrità della sicurezza nazionale. Un recente attacco alla sicurezza nazionale in Italia ha messo in luce vulnerabilità critiche, con il furto di informazioni sensibili a livello governativo, inclusa la compromissione delle email del Presidente Sergio Mattarella. Questo episodio, avvenuto sei mesi fa, ha sollevato serie preoccupazioni sulla protezione delle comunicazioni istituzionali e ha evidenziato la necessità urgente di rafforzare le misure di cybersicurezza per prevenire la compromissione di informazioni vitali per la sicurezza del Paese.
- Ottimo articolo! Finalmente qualcuno che affronta il tema della cybersecurity......
- Articolo un po' allarmistico, forse si poteva dare più spazio alle soluzioni......
- Interessante notare come l'aumento della consapevolezza sulla privacy sposti il problema......
- 🛡️ Cybersecurity nel 2024: siamo davvero più vulnerabili di quanto pensiamo?......
- 📉 Calo degli alert sul web pubblico: un segnale positivo o solo un'illusione?......
- 🤔 E se la vera minaccia fosse la nostra incapacità di gestire l'eccesso di informazioni?......
Informazione, disinformazione e i loro effetti sulla psicologia cognitiva
Nell’era dell’abbondanza informativa, la distinzione tra informazione autentica e disinformazione, comunemente nota come ‘fake news’, diventa sempre più labile. Questo scenario complesso ha profonde implicazioni sulla psicologia cognitiva, influenzando la nostra capacità di elaborare, filtrare e comprendere il mondo che ci circonda. Secondo studi recenti, la disinformazione non è solo una minaccia per la correttezza delle opinioni individuali, ma rappresenta un rischio concreto per la salute mentale e la stabilità sociale.
L’eccesso di informazioni, o information overload, come definito dal premio Nobel Herbert Simon, genera una “povertà d’attenzione”. La nostra mente, in grado di elaborare un massimo di 120 bit di informazione al secondo, viene costantemente bombardata da quantità di dati enormemente superiori. Questa sovrabbondanza, lungi dal facilitare le decisioni, le rende più complesse e faticose, portando a una condizione di sovraccarico cognitivo. Più informazioni riceviamo, meno riusciamo a prestare attenzione in modo selettivo, e più cose dobbiamo considerare, maggiore è la fatica nel valutare elementi complessi con troppe variabili. Il risultato è che, spesso, cerchiamo scorciatoie che ci mettano al riparo da questa intollerabile fatica.
Il sovraccarico cognitivo si manifesta anche quando, di fronte a troppi dati da valutare, facciamo fatica a comprendere e prendere la decisione giusta. Secondo uno studio di Microsoft del 2016, la finestra temporale d’attenzione per chi naviga in rete si è ridotta a soli 8 secondi, contro i 12 secondi dell’anno 2000. Questo dato, sebbene discusso, suggerisce una progressiva diminuzione della nostra capacità di mantenere l’attenzione, resa ancora più difficile dalla crescente quantità di stimoli a cui siamo esposti.
La competizione per catturare la scarsa attenzione delle persone è diventata feroce, spesso giocata su emozioni forti come rabbia e paura, titoli sensazionalistici e notizie false. Questo porta a un inquinamento cognitivo, un “rumore di fondo” costante che intasa il nostro sistema sensoriale. Gli stimoli-spazzatura, spesso più potenti ed efficaci della media, riescono a catturare la nostra scarsissima attenzione, esponendoci a una percezione distorta e ansiogena della realtà. D’altra parte risulta evidente come numerosi stimoli che ci giungono contengano delle richieste sia esplicite che implicite, quali “guarda”, “scopri”, “impara” o “condividi!”, costringendoci così a effettuare innumerevoli piccole scelte quotidiane talvolta insignificanti e generando una notevole fatica cognitiva.
L’abitudine incessante ad affrontare contenuti caratterizzati da elevate dosi drammatiche—principalmente trasmessi tramite reportage negativi—può dar vita a una forma di desensibilizzazione emotiva, con conseguente ridotto livello d’engagement. Tale situazione è espressione del doomscrolling, ovvero quella condotta impulsiva volta all’esplorazione continua d’informazioni allarmanti sul web; tale processo è capace non solo di provocare, ma anche di accrescere stati d’ansia e tensione psicologica.
Allo stesso modo va sottolineato come il bisogno insoddisfatto d’informarsi possa emergere sottoforma di compulsione alla raccolta indiscriminata d’informazioni online priva di uno scopo definito; ciò compromette le nostre facoltà decisionali incrementando al tempo stesso la confusione mentale. È evidente dunque che tali dinamiche—accelerate dall’architettura intrinsecamente progettata per favorire interazioni prolungate sulle piattaforme digitali—hanno ripercussioni rilevanti sulla nostra salute psichica nonché sul nostro equilibrio emozionale, soprattutto tra i segmenti più giovani della popolazione. Il continuo contatto con contenuti problematici ed energizzanti, tra cui i brief video, sollecita attivamente il nostro sistema cerebrale dedicato alla ricompensa, fomentando un ciclo compulsivo nella ricerca incessante di ulteriori informazioni. Tale dinamica genera una crescente tolleranza nei confronti del materiale negativo e compromette la nostra capacità di reagire in maniera appropriata ai fattori stressogeni. Questa vicenda conduce a uno stato identificabile come brain rot, caratterizzato da un appesantimento cognitivo che ostacola la possibilità di mantenere un equilibrio emotivo salutare e funzionale.
Bias cognitivi e la frammentazione della realtà nell’era digitale
In un contesto di sovraccarico informativo e disinformazione dilagante, la nostra mente ricorre a bias cognitivi, ovvero distorsioni sistematiche nei processi di pensiero che influenzano profondamente la nostra interpretazione della realtà. Questi bias, spesso automatici e inconsci, ci aiutano a gestire la complessità del mondo, ma possono contemporaneamente condurre a conclusioni errate e a una visione frammentata della realtà.
Uno dei bias più rilevanti in questo scenario è il bias di conferma, la tendenza a cercare, interpretare e ricordare informazioni che confermano le nostre convinzioni preesistenti, ignorando o sminuendo quelle che le contraddicono. In un ambiente saturo di informazioni, questo bias ci porta a selezionare attivamente i contenuti che si allineano con le nostre idee, rinforzando le nostre convinzioni e creando delle “bolle informative” che ci isolano da prospettive diverse. Questo, unito agli algoritmi delle piattaforme digitali che tendono a mostrarci contenuti simili a quelli con cui abbiamo interagito in passato, contribuisce a una radicalizzazione su isole di contenuto “nostre”, impoverendo la nostra esposizione a nuove idee e limitando le possibilità di contaminazione intellettuale. Uno degli effetti cognitivi più rilevanti da considerare è il bias della frammentazione della memoria, che si riferisce alla nostra propensione a trattenere esclusivamente porzioni parziali degli eventi, spesso interpretandole in maniera errata. In aggiunta a ciò, l’attuale contesto digitale caratterizzato dalla ricezione rapida e disordinata delle informazioni (come nel caso delle notifiche immediate, dei titoli intriganti e dei video brevi) alimenta una rappresentazione inaccurata e scoordinata del mondo circostante. Sembra quasi che ci vengano offerte solamente piccole tessere di un puzzle senza fornirci una visione globale o gli strumenti necessari per metterle insieme adeguatamente. Tale situazione complica notevolmente il processo decisionale critico e la comprensione delle complessità intrinseche ai temi affrontati.
Inoltre, la crescente polarizzazione politica rappresenta una manifestazione tangibile dei bias cognitivi operanti in forma collettiva all’interno del panorama sociale contemporaneo; i mezzi di comunicazione social svolgono un ruolo cruciale in questo contesto assieme alla diffusione mirata di notizie false. I pregiudizi interni ai gruppi tendono ad intensificare le convinzioni condivise tra i membri dello stesso schieramento politico; al tempo stesso i bias di conferma inducono ciascun individuo a inseguire dati che rafforzino le proprie credenze politiche riducendo al minimo l’apertura verso punti di vista divergenti o antagonisti. Questo contribuisce a creare una realtà polarizzata, in cui la comprensione reciproca e il dialogo costruttivo diventano sempre più difficili.
La presunta “dissociazione di idee” in contesti politici, spesso oggetto di polemiche, potrebbe essere interpretata in parte attraverso il lente della psicologia cognitiva. Sebbene il termine “dissociazione” abbia connotazioni cliniche, l’idea che esista una mancanza di coerenza o connessione nei pensieri o nelle affermazioni può essere correlata alle difficoltà cognitive legate al sovraccarico informativo e ai bias. In un ambiente in cui le informazioni sono frammentate e contraddittorie, mantenere una linea di pensiero perfettamente coerente e priva di apparenti incongruenze può diventare estremamente sfidante, specialmente quando si affrontano argomenti complessi e multidimensionali. Affrontare questa frammentazione cognitiva e promuovere la coerenza diventa una sfida cruciale nell’era digitale.
Sfide e strategie per promuovere il pensiero critico e la coerenza cognitiva
In un’epoca caratterizzata dal sovraccarico informativo, dalla disinformazione e dalla crescente polarizzazione, promuovere il pensiero critico e la coerenza cognitiva diventa una sfida fondamentale per gli individui e per la società nel suo complesso. Il pensiero critico, ovvero la capacità di analizzare e valutare le informazioni in modo obiettivo e razionale, è l’antidoto più efficace contro la manipolazione e la disinformazione. Tuttavia, in un contesto in cui la nostra attenzione è costantemente sotto attacco e i bias cognitivi distorcono la nostra percezione, sviluppare e mantenere un pensiero critico efficace richiede uno sforzo consapevole e strategie mirate.
Una delle strategie fondamentali per contrastare il sovraccarico informativo e promuovere il pensiero critico è la regolazione dell’esposizione informativa. Questo significa essere consapevoli della quantità e della qualità delle informazioni che riceviamo e adottare un approccio più selettivo. Limitare il tempo trascorso sui social media, disattivare le notifiche non essenziali e scegliere fonti di informazione affidabili e diversificate sono passi importanti per ridurre il “rumore di fondo” e liberare risorse cognitive per un’elaborazione più approfondita delle informazioni. È come applicare un “filtro cognitivo” tra noi e il mondo dell’informazione, analogamente ai filtri che usiamo per proteggere i nostri dispositivi digitali.
Un’altra strategia cruciale è lo sviluppo di abilità di valutazione delle fonti. In un mondo in cui chiunque può pubblicare online, è essenziale saper riconoscere le fonti credibili da quelle inaffidabili. Questo implica verificare l’autorevolezza dell’autore, la presenza di prove a supporto delle affermazioni, la data di pubblicazione e la possibilità di confrontare le informazioni con altre fonti indipendenti. Promuovere la media literacy, ovvero l’alfabetizzazione ai media, è fondamentale per fornire agli individui gli strumenti necessari per navigare nel complesso panorama informativo digitale.
Per contrastare i bias cognitivi e la frammentazione della realtà, è importante coltivare la consapevolezza dei propri bias. Riconoscere che le nostre percezioni e i nostri giudizi possono essere influenzati da pregiudizi inconsci è il primo passo per mitigare gli effetti. Questo richiede un’auto-riflessione onesta e la disponibilità a mettere in discussione le proprie convinzioni. Inoltre, esporsi volutamente a prospettive diverse e confrontarsi con idee che contrastano le nostre può aiutarci a superare le “bolle informative” e ad ampliare la nostra comprensione del mondo. Questo non significa accettare acriticamente tutte le idee, ma piuttosto comprenderne le ragioni e valutarle in modo obiettivo.
Promuovere la coerenza cognitiva richiede anche uno sforzo attivo per integrare le informazioni frammentate. Invece di lasciarci sopraffare dalla quantità di dati disorganizzati, possiamo cercare di connettere i punti, identificare modelli e costruire una narrità coerente. Questo implica dedicare tempo alla riflessione, all’analisi e alla sintesi delle informazioni, piuttosto che limitarsi a una fruizione superficiale e passiva. È come cercare di costruire l’immagine completa del puzzle, anche quando i pezzi sono sparsi e apparentemente non correlati.
Infine, è importante riconoscere che il pensiero critico e la coerenza cognitiva non sono abilità innate, ma devono essere coltivate e praticate regolarmente. Questo richiede un impegno continuo nell’apprendimento e nello sviluppo personale. La scuola e le istituzioni educative hanno un ruolo cruciale nel promuovere queste abilità fin dalla giovane età, insegnando ai ragazzi non solo cosa pensare, ma soprattutto come pensare. In un’epoca definita dal “data smog”, investire nel pensiero critico e nella coerenza cognitiva è un investimento essenziale per la nostra salute mentale, la nostra capacità di prendere decisioni informate e la salute delle nostre democrazie.
Riflessioni conclusive sul benessere cognitivo nell’era digitale
Nell’era del sovraccarico informativo, la polemica politica sulla “dissociazione di idee” può essere svelata come un sintomo eloquente delle sfide che la nostra mente incontra nel processare una quantità schiacciante di informazioni e, talvolta, contraddittorie. Non stiamo parlando di alterazioni cliniche della psiche, ma di quel fenomeno, sempre più diffuso, in cui la coerenza interna del discorso sembra vacillare sotto la pressione di un flusso ininterrotto di stimoli. È un richiamo alla nostra condizione di esseri cognitivamente oberati, costretti a navigare un mare disorganizzato di dati, opinioni e narrazioni spesso in conflitto tra loro.
La situazione è complicata dal fatto che non tutte le informazioni hanno lo stesso valore. Il dark web, con il suo crescente mercato di dati rubati, e la disinformazione dilagante sul web “visibile”, contribuiscono a un inquinamento cognitivo che rende arduo distinguere il vero dal falso, il rilevante dall’irrilevante. In questo caos, i nostri bias cognitivi, quelle scorciatoie mentali che di solito ci aiutano a prendere decisioni rapide, possono trasformarsi in trappole, guidandoci verso la conferma delle nostre convinzioni preesistenti e allontanandoci da una comprensione sfaccettata della realtà. Il perpetuarsi di questo circolo vizioso gioca un ruolo fondamentale nella frammentazione della percezione che abbiamo dell’universo circostante ed accentua ulteriormente quella polarizzazione che investe tanto l’ambito politico quanto quello sociale.
Ci troviamo così ad affrontare il ‘doomscrolling’, assieme alla crescente dipendenza dalla ricerca incessante d’informazioni; entrambe rappresentano manifestazioni patologiche della complessa gestione dei contenuti oggi a disposizione. Queste condotte danno origine a stati d’ansia prolungata ed a livelli cronici di stress. I principi della psicologia comportamentale ci avvertono che tali pratiche possono evolvere in modalità compulsive sotto l’influenza strutturale delle piattaforme digitali stesse: ciò impatta negativamente sulla qualità della concentrazione individuale oltre ad ostacolare risposte adeguate agli stimoli ambientali esterni. In tale contesto, il mantenimento del benessere mentale si rivela collegato indissolubilmente all’efficacia con cui riusciamo a dominare il flusso d’informazioni in maniera equilibrata.
A tale proposito non va dimenticato (non riguarda soltanto) la protezione dei nostri dati personali dalle violazioni: deve comprendere altresì tutele nei confronti dell’eccesso informativo circa aspetti cognitivi deterioranti. The challenge looms large yet is not insurmountable; it mandates deliberate efforts both at an individual and collective level.È essenziale elaborare metodologie dirette al controllo dello spettro mediatico al quale siamo sottoposti ogni giorno: esercitandoci nel pensiero critico riguardo alle fonti informative (con l’obiettivo preciso) di riconoscere eventuali pregiudizi presenti sul tema.
Per dare vita ad una comprensione integrata più ampia, è cruciale combinare le tessere isolane d’informazione (dai vari contesti) per dar forma ad una visione più articolata & coerente rispetto alla realtà contemporanea! È fondamentale investire nell’alfabetizzazione digitale, così come nello sviluppo del pensiero critico sin dall’età precoce. Fornendo ad ogni individuo gli strumenti adeguati per orientarsi con giudizio nella vastità delle informazioni disponibili, si ottiene una piccola conquista contro disordini e manipolazioni.
La riflessione su tali questioni impone di valutare l’impatto significativo che l’ambiente informativo esercita sulla psiche umana. Ci stimola ad assumere uno sguardo analitico non soltanto nei confronti delle fonti esterne, bensì anche riguardo ai nostri meccanismi cognitivi interni. Questo rappresenta una chiamata all’umiltà cognitiva, evidenziando come le nostre percezioni siano frequentemente influenzate o distorte da fattori esterni. In una società in cui tutto reclama incessantemente la nostra attenzione, talvolta l’atto più rivoluzionario consiste nel fermarci brevemente: respirare profondamente e indagare sui veri pensieri personali che possediamo realmente. Tale pratica di attenzione consapevole, accompagnata da una deliberata pausa mentale, può costituire il primo passo verso la ricostruzione di quella realtà spezzettata attorno a noi: affrontando ogni idea o sentimento singolarmente fino a ottenere chiarezza mentale.
- Report completo dell'Osservatorio Cyber CRIF-Mister Credit, con dati dettagliati sul dark web.
- Relazione annuale ACN 2024 con dati e analisi sulla cybersicurezza italiana.
- Comunicato stampa CRIF sull'aumento degli attacchi informatici e furti dati.
- Dati ufficiali ACN sugli incidenti cyber gestiti in Italia nel 2024.