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Trauma e identità: l’analisi del cortometraggio ‘Le cose appuntite’ al Riff

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  • Il corto "Le cose appuntite" esplora il trauma dell'abduzione fetale e l'identità.
  • Nike colleziona unghie, simbolo di un trauma mai sanato.
  • Un paziente di 39 anni chiede a Nike se ha ucciso sua figlia.
  • La terapia di gruppo confonde realtà e rappresentazione.
  • Il terapeuta rivela che la madre di Nike voleva che morisse.

L’Esplorazione del Trauma e dell’Identità al Rome Independent Film Festival

Il Rome Independent Film Festival (RIFF) ha recentemente ospitato la proiezione di “Le cose appuntite”, un cortometraggio diretto dalla regista emergente Giulia Giordano. L’opera, della durata di quindici minuti, si immerge nelle zone più recondite della psiche, affrontando argomenti complessi come il trauma della nascita, la maternità concepita come dimensione psichica e la frantumazione dell’io. La pellicola intesse una narrazione che turba e al contempo emoziona, in cui cura, memorie e la percezione di sé si fondono in un continuo interscambio tra concretezza fisica ed espressione verbale.
La pellicola si evidenzia per la sua capacità di comunicare non solo attraverso dialoghi incisivi e stratificati, ma anche tramite silenzi, fluidi emotivi ed echi che aleggiano sulle parole. La scenografia, ideata da Sara Pantoni, trasforma gli scenari di vita in proiezioni della psiche, generando ambienti rarefatti e pregni di risonanze psicologiche.

Cosa ne pensi?
  • Un'analisi profonda e toccante, il film merita... 👏...
  • Trovo il tema dell'abduzione fetale forzato e... 🤔...
  • E se il vero trauma fosse la terapia stessa... 🤯...

La Ferita Originaria e l’Abduzione Fetale

Il punto cardine della narrazione de “Le cose appuntite” è incentrato sulla figura di Nike, la protagonista, interpretata da Maria Roveran, che partecipa a una terapia di gruppo per superare un trauma profondo: è stata vittima di “abduzione fetale”. Questo termine, preso in prestito dall’inglese, indica il sequestro o l’estrazione forzata del feto dall’utero materno. Nel caso di Nike, si tratta di un feto rifiutato, allontanato da una madre che, schiacciata dalla depressione, aveva chiesto che fosse “reciso da sé”. Non un gesto di desiderio, bensì di ripudio.

Il film esplora le ripercussioni di questo trauma sulla psiche di Nike, attraverso sequenze rapide, evocazioni spaventose e visioni deformate. La sua infanzia è caratterizzata da un gesto compulsivo e simbolico: collezionare le unghie dei compagni in una piccola scatola, con la giustificazione di far crescere dei microbi. Tale condotta rivela una cicatrice di un trauma mai sanato, un tentativo di dare un significato a una lesione interiore.

Tra Terapia e Teatro: la Ricerca dell’Identità

Durante la terapia, Nike incontra Soraja, che la chiama scherzosamente “la bambola del dottore”. I membri del gruppo terapeutico si cimentano in un’attività di role-playing, in cui ogni oggetto scelto, che sia una carta o un petalo, incarna una identità da assumere. Questa strategia narrativa confonde i limiti tra il contesto clinico e quello teatrale, tra ciò che è reale e ciò che è rappresentato, sia nella vita vera che nell’opera cinematografica.

La ricerca dell’identità diviene un tema centrale, scandagliato attraverso il lavoro di Nike in un centro diurno per persone adulte con disabilità. Un individuo che lei assiste, un uomo autistico di trentanove anni, la interpella chiamandola Alles, che è il nome della madre di Nike, e la interroga domandandole: “Poi sei riuscita a uccidere tua figlia?”. Questo incontro avvia un processo di riconsiderazione della sua origine, conducendo Nike a confrontarsi con la voce materna e a lanciare la scatolina delle unghie fuori dal finestrino, in un gesto di distacco e affrancamento.

La Rivelazione Finale e la Rinascita

Il culmine del film è segnato dalla rivelazione finale del terapeuta, che confessa a Nike che la madre, per paura di trasmetterle la depressione, persuase una donna ad estrarla prematuramente dall’utero, causandone la morte. Questa rivelazione infrange anche l’autorità del medico, mettendo in luce la natura deleteria della stessa condizione che si cerca di curare.
Nike, sospesa tra rigenerazione e annullamento, risponde asserendo: “Io voglio essere quel ragazzo autistico”. La scena conclusiva la mostra mentre corre lungo la costa, dove due donne sono alla ricerca di una bambina. Non è Nike a notare la piccola, ma è la bambina stessa a trovare Nike, assopita sulla sabbia, ridestandola con le sue piccole dita. Questo incontro simboleggia la possibilità di un nuovo inizio, di una rinascita attraverso l’accettazione del proprio vissuto.

Guarire Costruendo il Futuro: Una Riflessione Conclusiva

“Le cose appuntite” si configura come un’opera ambiziosa e coraggiosa, che affronta temi complessi con un linguaggio poetico e denso di simbolismi. Il film invita lo spettatore a riflettere sulla natura del trauma, sulla difficoltà di elaborare ferite profonde e sulla possibilità di guarire costruendo il futuro.

Il cortometraggio di Giulia Giordano ci ricorda che la nascita può essere vissuta come una ferita originaria, un trauma che segna profondamente la nostra identità. La maternità, in questo contesto, non è solo un fatto biologico, ma uno spazio psichico complesso, dove si intrecciano amore, rifiuto e paura. La terapia, il teatro e l’incontro con l’altro diventano strumenti per esplorare questo spazio e per ricostruire un’identità frammentata.

Una nozione base di psicologia cognitiva ci insegna che i traumi infantili possono influenzare profondamente la nostra percezione del mondo e le nostre relazioni interpersonali. Una nozione più avanzata ci spiega come la terapia EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) possa essere efficace nel rielaborare i ricordi traumatici e nel ridurre i sintomi associati.

Riflettiamo su come le nostre esperienze passate, anche quelle più dolorose, possano plasmare la nostra identità e sul potere che abbiamo di trasformare il dolore in crescita personale. Non si guarisce indagando il passato, ma costruendo il futuro.
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un suo assistito un uomo autistico di trentanove anni la chiama alles il nome della madre di nike e le domanda poi sei riuscita a uccidere tua figlia
>> Un individuo di trentanove anni con autismo, uno dei pazienti a cui Nike presta assistenza, la chiama Alles, ovvero il nome della madre di Nike, e le rivolge una domanda sconcertante: “Allora, sei riuscita a sopprimere tua figlia?”.

em non si guarisce indagando il passato ma costruendo il futuro
>> In realtà, la guarigione non si ottiene frugando nel passato, bensì edificando il domani.


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