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Disturbo post-traumatico da stress nell’IDF: cosa sta causando l’aumento dei casi?

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  • Dal 7 ottobre 2023, oltre 1.100 soldati IDF dimessi per PTSD.
  • Richieste di assistenza psicologica dei riservisti aumentate di 10 volte.
  • Nel 2024, 21 militari si sono tolti la vita.

L’ombra del trauma incombe sull’esercito israeliano: un’analisi approfondita della crisi di salute mentale tra le truppe.

L’impatto psicologico del conflitto israelo-palestinese si palesa con forza drammatica, evidenziando un numero allarmante di militari israeliani che combattono contro il disturbo da stress post-traumatico (PTSD) e altri seri problemi di salute mentale. I dati emersi negli ultimi tempi dipingono uno scenario inquietante, sollevando interrogativi urgenti sulla preparazione e sulla capacità di reazione del sistema di sostegno psicologico dell’esercito israeliano (IDF).

L’escalation del disturbo da stress post-traumatico: un’emergenza silenziosa

A partire dal 7 ottobre 2023, data che ha segnato l’inizio dell’ultimo conflitto tra Israele e Hamas, più di 1.100 soldati dell’IDF sono stati dimessi a causa del PTSD. Questa cifra, già di per sé sconcertante, rappresenta solo la parte visibile di una crisi ben più radicata. Le stime suggeriscono che decine di migliaia di militari israeliani potrebbero rischiare di sviluppare PTSD a lungo termine, con conseguenze devastanti per il loro equilibrio psichico e il loro benessere generale.

La situazione è resa ancor più critica da un incremento notevole delle richieste di assistenza psicologica da parte dei riservisti. Precedentemente al conflitto, il numero di riservisti in cerca di supporto era di circa 270 all’anno. Ora, questo numero è balzato a circa 3.000, con un aumento di oltre dieci volte. Questo aumento esponenziale non solo dimostra la violenza degli scontri, ma anche una più ampia consapevolezza e una minore stigmatizzazione della ricerca di aiuto psicologico.

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  • Forse concentrarsi sulla prevenzione sarebbe più efficace... 🤔...

Suicidi e la necessità di riforme urgenti

Nel 2024, il numero di militari che si sono tolti la vita ha raggiunto quota 21, il numero più alto registrato nell’ultimo decennio. Già quest’anno, si contano almeno altri 17 suicidi, perlopiù tra i riservisti tornati dai teatri di guerra.

La tragica vicenda di Daniel Edri, un soldato che si è suicidato dopo mesi di lotta contro le conseguenze psicologiche della guerra, ha riaperto la discussione sull’impellente necessità di cambiamenti nel sistema di assistenza ai veterani. I familiari di Edri sono convinti che l’esperienza in guerra abbia distrutto il ragazzo e che le autorità israeliane non abbiano fornito un sostegno adeguato.

Per fronteggiare questa grave escalation, il governo ha creato una commissione speciale, guidata dal Maggior Generale Moti Almoz, con il compito di analizzare e riformare l’attuale struttura di supporto psicologico per i soldati, sia in congedo che in servizio. Questo organo consultivo include psicologi militari, esperti legali e rappresentanti del Ministero della Difesa. Uno dei suoi obiettivi principali è agevolare l’identificazione precoce dei segnali di stress da combattimento e rendere più facile l’accesso a terapie tempestive.

Le iniziative dell’IDF e le sfide future

L’IDF ha avviato diverse iniziative per affrontare la crisi di salute mentale tra le sue truppe. Tra queste, la creazione di cliniche Ta’atzumot, dedicate alla cura dei soldati in servizio attivo esposti a traumi durante il combattimento, e l’istituzione di una linea telefonica di assistenza per la salute mentale, attiva 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, per i soldati e le loro famiglie.

Inoltre, l’Unità di risposta allo stress da combattimento, gestita in collaborazione dall’IDF e dal Ministero della Difesa, è in fase di potenziamento, con l’apertura di nuove sedi nel nord e nel sud del paese e la creazione di un nuovo centro nazionale per i soldati di carriera e le loro famiglie, che fornisce supporto psicologico e medico completo.
Malgrado questi sforzi, le sfide future rimangono consistenti. La crescente domanda di assistenza psicologica mette a dura prova le risorse disponibili e la necessità di contrastare lo stigma associato alla salute mentale rimane una priorità.

Un impegno collettivo per la salute mentale dei soldati

La crisi di salute mentale tra i soldati israeliani necessita di un impegno congiunto da parte dell’esercito, del governo e della società civile. È essenziale investire in risorse appropriate, migliorare l’accesso alle cure e promuovere una cultura di accettazione e sostegno per coloro che lottano contro i traumi psicologici. Soltanto attraverso un approccio integrato e coordinato sarà possibile affrontare questa sfida complessa e garantire il benessere dei soldati che hanno servito il loro paese.

La resilienza psicologica non è una caratteristica innata, ma una capacità che si può coltivare e rafforzare tramite interventi mirati e un ambiente di sostegno. Riconoscere e affrontare i traumi psicologici è un dovere morale nei confronti di coloro che hanno sacrificato la propria salute mentale per la sicurezza del paese.

Amici, riflettiamo un attimo su questo tema delicato. In psicologia cognitiva, sappiamo che i traumi possono alterare profondamente i processi di pensiero e la percezione della realtà. Un concetto base è che l’esposizione a eventi stressanti può portare a schemi di pensiero disfunzionali, come la ruminazione e la catastrofizzazione.
A un livello più avanzato, la neuroplasticità ci insegna che il cervello è in grado di riorganizzarsi e adattarsi anche dopo esperienze traumatiche. _Questo significa che, con il giusto supporto terapeutico e un ambiente favorevole, è possibile recuperare e ricostruire una vita significativa anche dopo aver subito traumi profondi._ Pensate a come possiamo contribuire, nel nostro piccolo, a creare una società più consapevole e accogliente verso chi soffre di disturbi mentali.


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