- L'Oms segnala che 42.000 persone a Gaza hanno riportato ferite.
- Oltre un milione di bambini a Gaza necessita di salute mentale.
- Secondo l'Unicef, 1 bambino su 3 a Gaza aveva bisogno di cure.
- Uno studio ha rivelato che il 38% degli alunni soffre di stress da trauma.
- Il 93% dei bambini e adolescenti soffre la fame.
L’impatto devastante della guerra sui bambini di Gaza
La Striscia di Gaza, una delle aree più densamente popolate al mondo, è da decenni teatro di un conflitto che ha lasciato cicatrici profonde non solo sull’infrastruttura fisica, ma soprattutto sulla psiche dei suoi abitanti. Tra le vittime più vulnerabili di questa crisi prolungata spiccano i bambini, la cui salute mentale è stata irrimediabilmente compromessa. Le testimonianze raccolte sul campo e gli studi di esperti evidenziano un quadro di sofferenza acuta e persistente, con conseguenze che si proiettano ben oltre l’attuale generazione.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha lanciato un allarme significativo, segnalando che, al 3 ottobre 2025, ben 42.000 persone a Gaza hanno riportato ferite, una cifra che, seppur drammatica, non include l’indicibile tributo in termini di traumi psicologici. Si stima che oltre un milione di bambini a Gaza necessiti urgentemente di servizi di salute mentale, un dato che rivela l’entità di una vera e propria epidemia silenziosa.
I continui bombardamenti e gli spostamenti forzati espongono i bambini e le bambine palestinesi a un pericolo costante, minacciando le loro esistenze e generando in loro profonda paura e ansia, con un forte impatto sulla loro salute mentale.
Il continuo bombardamento, l’insicurezza alimentare estrema e i ripetuti sfollamenti forzati hanno creato un ambiente in cui la salute mentale degli abitanti della Striscia ha subito un deterioramento senza precedenti. Questi bambini vivono in uno stato di tragedia infinita, data la loro vulnerabilità e incapacità di proteggersi dagli attacchi e dalle conseguenze sociali del conflitto.
Una madre, Amal, con quattro figli tra i 7 e i 14 anni, ha descritto la salute mentale dei suoi bambini non come deteriorata, ma “completamente annientata”. Con l’inizio della guerra, sono subentrati terrore, urla, e pianti. Alcuni dei suoi figli faticano ora a concentrarsi su compiti basilari, dimenticano quanto appena detto o accaduto. Sua figlia, che un tempo amava disegnare scene conviviali e la vita, ora rappresenta soldati, sangue e guerra. Queste narrazioni non sono isolate, ma rappresentano la norma per una generazione cresciuta sotto l’ombra costante della violenza. Un ragazzo di 15 anni a Gaza, ad esempio, ha già vissuto cinque guerre, ognuna delle quali ha portato con sé perdite e paure. I traumi subiti sono di natura complessa e multipla. I bambini sono esposti a bombardamenti, vedono le loro case e scuole distrutte, perdono familiari e subiscono gravi lesioni fisiche, inclusa la perdita di parti del corpo. La costante incertezza su dove si trovino i propri cari e sul proprio futuro genera uno stress tossico, che ha un impatto devastante sulla loro salute fisica e mentale. Molti bambini palestinesi sfollati in Egitto sono tormentati da incubi, rabbia, enuresi notturna e ansia, sintomi evidenti di un disturbo da stress post-traumatico (PTSD) o, come suggerito da alcuni psicologi, di un “continuo stress” poiché non esiste un “dopo” in un conflitto ciclico.
Secondo l’UNICEF, prima del precedente conflitto del 2021, un bambino su tre a Gaza aveva bisogno di cure per i traumi legati al conflitto. È probabile che i numeri siano aumentati a seguito dei recenti attacchi, e le condizioni generali riguardanti la salute mentale dei bambini di Gaza siano destinate a peggiorare.
La Società Psicoanalitica Italiana ha lanciato un allarme, evidenziando che il trauma in corso durerà per generazioni. Questo “trauma collettivo” è diverso da quanto comunemente compreso in occidente; non è un evento isolato, ma un’esperienza continua che si tramanda di generazione in generazione. Dalla Nakba del 1944, la popolazione palestinese è stata incessantemente esposta a immagini di morte e perdita, impedendole di elaborare il trauma e portandola a uno stato di “impotenza appresa”, dove si realizza di non avere alcun controllo sulla propria vita.

La riabilitazione psicosociale: sfide e strategie
Nell’ambito di una realtà così intricata ed oppressiva si rivela imprescindibile l’intervento in ambito psicologico e psicosociale; questo non è semplicemente desiderabile ma deve essere considerato vitalizio. La dimensione della riabilitazione psicosociale rappresenta uno dei fondamenti necessari per affrontare le ripercussioni durature che queste esperienze traumatiche inducono soprattutto sui bambini. Tuttavia tale attuazione si scontra con svariate difficoltà; fra queste si evidenziano una grave scarsità delle risorse disponibili, la mancanza di politiche coordinate tra i ministeri competenti e il frazionamento amministrativo causato dall’occupazione.
Malgrado l’Autorità Palestinese abbia provveduto alla redazione delle linee guida destinate alla pianificazione degli interventi in questione, diffusa risulta purtroppo l’impossibilità ad assicurare il giusto sostegno a ogni minorenne coinvolto; ciò accade principalmente come conseguenza della sottocapitalizzazione, associata ad assenze significative in merito all’adozione di un approccio multidimensionale coerente. In questo contesto difficile risultano determinanti le iniziative promosse dalle Organizzazioni Non Governative (ONG), che forniscono importanti prestazioni sanitarie essenziali per assistere coloro che ne hanno bisogno. Diverse ONG sono riuscite inoltre a formare gruppi dedicati al processo riabilitativo inclusivi delle più varie figure professionali come psicologi, assistenti sociali, psichiatri ed operatori del settore sociale. Questo approccio multifunzionale si è dimostrato più efficiente degli interventi ministeriali, sebbene la maggior parte dell’assistenza sia fornita da enti di beneficenza, meno strutturati ma più radicati nelle comunità.
Save the Children, ad esempio, ha risposto a oltre 500 richieste di supporto per la salute mentale e psicosociale dall’inizio del conflitto, con quasi il 90% di queste richieste riguardanti bambini.
Le attività includono consulenza di gruppo e individuale per i bambini e i loro caregiver, formazione di palestinesi in Egitto per fornire supporto psicosociale a livello comunitario, e formazione del personale delle ambulanze egiziane. L’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi, svolge un ruolo insostituibile a Gaza. Gestendo 278 scuole e fornendo vari servizi, tra cui supporto psicosociale, assistenza sanitaria e aiuti umanitari, l’UNRWA si trova in prima linea nell’affrontare le conseguenze del conflitto. Un suo studio ha rivelato che il 38% degli alunni delle scuole soffre di stress da trauma. Un’ulteriore analisi ha mostrato che il 93% dei bambini e adolescenti soffre la fame; il 290.000 bambini al di sotto dei 5 anni non possono essere alimentati secondo le loro necessità. Questi dati sono allarmanti e sottolineano la necessità tempestiva di azioni internazionali.
Dati chiave sui bambini di Gaza | Statistiche |
---|---|
Numero di omini orfani | 39.000 |
Adolescenti morti e identificati | 15.000 |
Bambini e adolescenti con fame | 93% |
Bambini in età scolare non frequentanti la scuola | 658.000 |
Una delle principali strategie di riabilitazione psicosociale è l’attivazione di una “grande macchina organizzativa” che non si limiti alle sole terapie psicologiche, ma includa un’efficiente rete di servizi sociali. Il nucleo familiare rappresenta indubbiamente la struttura più efficace ed economicamente vantaggiosa per preservare l’umanità dell’individuo; tuttavia, un’esposizione prolungata a forme sistematiche di umiliazione volontaria eleva significativamente la probabilità di sviluppare disturbi psichici.
Conseguenze a lungo termine e prospettive
L’impatto psicologico subito dai bambini nella Striscia di Gaza rappresenta un fenomeno talmente grave da generare fondati timori in merito agli esiti nel lungo periodo. La dottoressa Valeria Colasanti, esperta nel settore, ha messo in luce come il PTSD, indotto da ripetute esperienze traumatiche, comporti una significativa diminuzione delle abilità individuali nel fronteggiare futuri eventi avversi. Il sistema nervoso centrale, sempre attivato dallo stress e da stimoli ansiogeni, risulta pertanto disfunzionale; ciò incide severamente sia sulla qualità del sonno sia sulle capacità mnemoniche dei piccoli pazienti.
Inoltre, uno degli aspetti più inquietanti riguarda la possibile ereditabilità del trauma attraverso le generazioni successive. Ricerche condotte sui sopravvissuti all’Olocausto hanno evidenziato cambiamenti genetici associati ad elevati livelli d’ansia e ad altre manifestazioni legate allo stress emotivo. Un’ipotesi intrigante – sebbene necessiti ancora di approfondimenti – potrebbe indicare come i discendenti dei residenti a Gaza possano assimilare condizioni quali disturbi dell’umore o ansiosi in seguito ai vissuti traumatizzanti vissuti dai propri progenitori. Tale scenario pone domande fondamentali sull’urgenza imperativa per l’attuazione di interventi clinici mirati non solo alla cura ma anche alla prevenzione delle problematiche psichiatriche con un approccio olistico rispettoso della dimensione intergenerazionale.
Oltre al PTSD, i continui conflitti e bombardamenti causano arresto evolutivo nei più piccoli e problemi di attaccamento, spesso dovuti all’incapacità dei genitori, essi stessi traumatizzati, di sostenere i figli.
Il massacro in corso è considerato da Save the Children diverso da tutte le offensive precedenti, per la sua intensità, durata e condotta. Secondo un’infermiera di Medici Senza Frontiere, Martina Marchiò, molti bambini negli ospedali hanno perso almeno un membro della famiglia e sono continuamente esposti a immagini di cadaveri.
I bambini vivono una “infanzia negata”. Non giocano più, ma trascorrono le loro giornate cercando di sopravvivere, facendo la fila per l’acqua o vendendo piccole cose per guadagnare qualche soldo. Hanno perso la speranza, con alcuni che esprimono il desiderio di morire per raggiungere i propri cari.
Il trauma è continuo e collettivo, trascende le definizioni comuni di trauma limitate all’Occidente. Save the Children sottolinea con fermezza che l’unica via per garantire un appropriato supporto psicosociale risiede in un cessate il fuoco immediato e duraturo. In mancanza di questa condizione, i danni arrecati alla salute mentale dei più giovani potrebbero rivelarsi non solo profondamente radicati, ma anche senza possibilità di recupero.
Riflessioni sull’epidemia silenziosa
La salute mentale, come definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, non è soltanto l’assenza di malattia o infermità, ma un completo stato di benessere fisico, mentale e sociale. Per i bambini di Gaza, questa definizione rimane un miraggio distante. In un contesto dove scuole, università e interi quartieri sono distrutti, dove famiglie e amici muoiono sotto le bombe, la possibilità di partecipare pienamente alla vita e di esprimere le proprie potenzialità è preclusa. Ci troviamo di fronte non solo a un attacco alla salute mentale individuale, ma a una vera e propria distruzione psicologica collettiva.
Dal punto di vista della psicologia cognitiva e comportamentale, l’esposizione prolungata a eventi traumatici, soprattutto in età evolutiva, altera profondamente i processi di elaborazione delle informazioni e di regolazione emotiva. L’allostasi è la capacità di un sistema biologico di mantenere la stabilità attraverso il cambiamento, adattandosi a stressor ambientali. Tuttavia, l’esposizione cronica e imprevedibile allo stress, come quella vissuta dai bambini di Gaza, porta a un “carico allostatico” eccessivo, con conseguenze devastanti sulla salute fisica e mentale.
Gli effetti della violenza perpetrata sui bambini sono stati catastrofici. Il diritto internazionale è chiaro: tutte le parti in conflitto hanno l’obbligo di proteggere i civili e di garantire la consegna sicura dell’assistenza umanitaria.
Riflettere su questa realtà ci impone di andare oltre l’indignazione e di considerare il nostro ruolo, anche come osservatori esterni. L’empatia, in questo contesto, è un ponte indispensabile, ma l’azione concreta, seppur difficile, è il vero imperativo. Ogni storia di sofferenza, ogni dato statistico, rappresenta un’esistenza che meriterebbe di fiorire.
Glossario:
- PTSD: Disturbo da stress post-traumatico, un disturbo psichico che può svilupparsi in seguito all’esposizione a eventi traumatici.
- UNRWA: Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, che fornisce aiuto e protezione ai rifugiati dal 1949.
- Allostasi: Adattamento del corpo a situazioni di stress continuato per mantenere l’equilibrio interno.
Il benessere psicologico dei bambini è la base su cui si costruiscono le società future. Ignorare questa “epidemia silenziosa” significa condannare intere generazioni a un futuro segnato dalla sofferenza, negando loro il diritto fondamentale a una vita sana e appagante.

