- I bambini (8-12 anni) passano oltre 5 ore al giorno online.
- 3,1% degli adolescenti italiani ha un disturbo da gaming.
- Il 52% dei giovani adulti usa chatbot per la salute mentale.
Oggi, 30 settembre 2025, alle ore 07:35, assistiamo a una crescente integrazione tra tecnologia e salute mentale, un connubio che promette opportunità ma solleva anche interrogativi cruciali. L’iperconnessione, alimentata da ore trascorse davanti agli schermi e dalla cultura dell’always-on, si intreccia con l’avvento dell’intelligenza artificiale come strumento di supporto psicologico. Questa evoluzione richiede un’attenta riflessione per bilanciare innovazione e tutela del benessere mentale, specialmente tra i giovani.
L’Impatto dell’Iperconnessione su Bambini e Adolescenti
L’esposizione prolungata agli schermi rappresenta una sfida significativa per la salute mentale delle nuove generazioni. Recenti indagini rivelano che i minori e i ragazzi passano in media dalle quattro alle sette ore al giorno utilizzando dispositivi digitali, superando spesso le direttive dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Questa iperconnessione è associata a un aumento di ansia, disturbi del sonno e una diminuzione delle capacità relazionali.
Dati precisi indicano che i bambini nella fascia d’età compresa tra gli 8 e i 12 anni dedicano in media oltre 5 ore al giorno all’uso ricreativo di dispositivi digitali, con una percentuale notevole che arriva a superare o eguagliare le 8 ore giornaliere. Per quanto riguarda gli adolescenti (13-18 anni), il tempo trascorso davanti agli schermi si attesta su livelli ancora più elevati, aggirandosi intorno alle 8 ore e 40 minuti al giorno, con più del 40% che supera le 8 ore. Globalmente, il tempo medio quotidiano speso di fronte a schermi si attesta sulle 6 ore e 40 minuti, mentre per i teenager questi valori si avvicinano alle 9 ore giornaliere.
Uno studio americano su oltre 50.000 tra bambini e adolescenti (6–17 anni) ha dimostrato che l’impiego quotidiano di schermi per quattro ore o più è correlato a un incremento dei rischi di ansia (aOR = 1,45), depressione (aOR = 1,65), problemi comportamentali (aOR = 1,17) e sintomi associati all’ADHD (aOR = 1,21). Questi effetti deleteri sono spesso riconducibili a una ridotta attività fisica, a schemi di sonno irregolari e a un riposo insufficiente.
Il disturbo da gaming emerge come un tema preoccupante. Uno studio italiano condotto su circa 89.000 adolescenti (11–17 anni) ha rilevato che il 3,1% di essi era “problematico” e l’11,6% “ad alto rischio”, mostrando livelli significativamente più elevati di depressione, stress, sintomi psicologici e somatici rispetto ai non-giocatori. A livello mondiale, una meta-analisi su più di 640.000 adolescenti ha registrato una prevalenza media dell’8,6% (IC 95%: 6,9–10,8) per il disturbo da gaming, con variazioni dipendenti dai contesti culturali e dalle metodologie impiegate.
La dipendenza da smartphone e l’uso problematico di internet riguardano una porzione sempre maggiore di giovani: circa il 4% dei bambini presenta disturbi clinici o sub-clinici legati all’internet gaming disorder, e quasi il 10% manifesta un utilizzo problematico medio-alto dello smartphone.
- 🚀 L'IA può davvero democratizzare l'accesso alla salute mentale......
- 📱 L'iperconnessione sta soffocando la nostra capacità di relazionarci......
- 🤔 E se l'AI amplificasse le nostre fragilità invece di curarle?......
L’Intelligenza Artificiale come Strumento di Supporto: Opportunità e Rischi
L’intelligenza artificiale si presenta come una potenziale risorsa per affrontare le sfide della salute mentale. Chatbot e applicazioni digitali promettono accessibilità e riduzione dello stigma, ma è fondamentale considerare i rischi associati.

Oggi, il 52% dei giovani adulti negli Stati Uniti si sente a proprio agio nel discutere della propria salute mentale con un chatbot basato sull’intelligenza artificiale. Tuttavia, emergono preoccupazioni riguardo alla “psicosi da chatbot”, un fenomeno in cui l’AI, rispondendo con assenso anziché con fermezza, può aggravare sintomi come deliri e allucinazioni.
È di primaria importanza considerare che gli strumenti impiegati da centinaia di milioni di individui per il supporto emotivo sono spesso ideati per massimizzare l’engagement, non per salvaguardare il benessere. Persone in stati di vulnerabilità cercano conforto nell’AI e ne risultano disorientate, angosciate o distaccate dalla realtà.
I social media hanno già evidenziato come la promessa di connessione e appartenenza possa causare picchi di ansia, depressione, solitudine e problemi legati all’immagine corporea, in particolare tra i giovani. L’AI generativa, con la sua capacità di conversare, rispecchiare i pensieri e simulare empatia, può involontariamente convalidare credenze distorte.
L’implementazione di garanzie di sicurezza per l’IA a livello di settore è un processo complesso. I controlli parentali, analogamente a quelli introdotti sui social media, possono essere aggirati, spingendo i giovani a creare profili privati e non monitorati. È cruciale concepire sistemi che instaurino fiducia e trasparenza direttamente con i giovani, e non solo con i loro tutori.
La natura aperta del web acuisce la problematica. Una volta distribuito, un modello “open-weight” si diffonde indefinitamente, con le protezioni che possono essere rimosse con pochi clic. Milioni di persone si affidano già a questi strumenti, mentre legislatori e organismi di controllo stanno ancora dibattendo sugli standard minimi di protezione.
La Necessità di un Approccio Responsabile
È fondamentale riconoscere che molte persone si rivolgono all’AI perché il sistema di salute mentale attuale non soddisfa le loro esigenze. La terapia, spesso, resta dispendiosa, di difficile accesso o stigmatizzata. L’AI, al contrario, è immediata, non giudicante e appare privata.
Per rispondere a questa esigenza in maniera responsabile, è imprescindibile disporre di un’intelligenza artificiale ampiamente accessibile e concepita specificamente per la salute mentale: strumenti sviluppati da professionisti sanitari, fondati su evidenze scientifiche e trasparenti sui loro limiti.
Negli ultimi anni, il benessere mentale è emerso come uno dei bisogni primari della popolazione italiana. I giovani, in particolare, chiedono che le proprie emozioni, fragilità e difficoltà siano riconosciute e affrontate senza vergogna. Il 43% dei ragazzi tra i 18 e i 29 anni crede che la percezione della cura della salute mentale stia realmente cambiando, con una consapevolezza più salda che la terapia non è “l’ultima spiaggia” ma uno strumento quotidiano di crescita e benessere.
Nonostante questa apertura generazionale, il percorso verso una salute mentale davvero accessibile e priva di pregiudizi è ancora costellato di ostacoli, soprattutto tra gli adulti. L’82% degli italiani afferma di sapere come si sente, ma il 90% degli psicologi risponde che, in realtà, pochi pazienti sanno dare un nome al proprio malessere.
A fronte di una domanda in crescita, anche gli strumenti di supporto evolvono. Accanto alla diffusione della psicoterapia online, già saldamente affermata dopo la pandemia, si affiancano oggi soluzioni tecnologiche più recenti, che incorporano l’intelligenza artificiale in varie fasi del percorso terapeutico. Il 52% degli intervistati tra i 18 e i 29 anni è dell’idea che l’IA possa migliorare l’assistenza psicologica.
Sempre più persone si rivolgono ai chatbot per parlare di sé, spinte dalla necessità di un confronto rapido e discreto, con una macchina che non potrà giudicare. Secondo l’indagine MINDex, il fattore predominante che induce gli italiani a intraprendere un percorso terapeutico è legato alla sfera relazionale: il 46% dichiara che le difficoltà nei rapporti interpersonali sono l’aspetto della vita maggiormente influenzato dal proprio stato mentale.
Verso un Futuro Equilibrato: Etica, Formazione e Alfabetizzazione
La Ceo della piattaforma Unobravo, Danila De Stefano, sottolinea la necessità di comprendere le evoluzioni della realtà tecnologica per riuscire a capirne le esatte potenzialità ed eventuali minacce. È fondamentale riconoscere tanto le opportunità quanto le sfide che l’IA porta con sé. La questione cruciale è: come possiamo ideare strumenti basati sull’intelligenza artificiale che siano etici, sicuri ed efficaci, e che possano espandere l’accesso al supporto psicologico?
Uno studio controllato randomizzato ha valutato l’efficacia di Therabot, un chatbot generativo basato su intelligenza artificiale. I dati iniziali evidenziano una diminuzione clinicamente significativa dei sintomi di depressione, ansia e disturbi alimentari dopo 4 e 8 settimane di utilizzo, nei partecipanti che hanno interagito con il chatbot rispetto al gruppo di controllo.
Gli esperti invitano a riflettere sulle possibilità offerte da uno scenario di questo tipo, non per riprodurre l’empatia umana, ma per ideare nuove modalità di avvicinamento per coloro che, a causa di fattori economici, geografici o culturali, oggi riescono a dedicare poca attenzione alla propria salute mentale. L’AI non potrà mai sostituire l’essenza della psicoterapia: il contatto umano.
Il compito di chi opera nel settore della salute, dell’educazione e della comunicazione è oggi quello di guidare, non di sostituire. Accompagnare, non delegare. Affiancare, non automatizzare. La tecnologia non è il problema. Il nocciolo della questione è cosa ci aspettiamo da essa: una soluzione immediata o un percorso di cura. E se il pericolo è quello di smarrire il valore dell’altro, della relazione autentica, allora dobbiamo tornare a costruire – anche nell’ambito digitale – luoghi dove sia possibile ascoltarsi veramente.
Equilibrio Digitale: Una Bussola per il Benessere Mentale
In un’epoca dominata dalla tecnologia, è cruciale comprendere come l’iperconnessione e l’intelligenza artificiale influenzino la nostra salute mentale. Un concetto fondamentale della psicologia cognitiva è la distorsione cognitiva, ovvero un modo di pensare irrazionale che può portare a emozioni negative e comportamenti disfunzionali. Ad esempio, la tendenza a confrontarsi costantemente con gli altri sui social media può alimentare sentimenti di inadeguatezza e invidia, distorcendo la percezione della propria vita e del proprio valore.
Un concetto più avanzato è la teoria dell’attaccamento, che spiega come le prime relazioni con i caregiver influenzino la nostra capacità di formare legami sani e sicuri in età adulta. L’uso eccessivo di chatbot e l’attaccamento emotivo a sistemi di intelligenza artificiale possono rappresentare una forma di attaccamento insicuro, in cui si cerca conforto e validazione in una fonte non umana, potenzialmente compromettendo la capacità di sviluppare relazioni interpersonali significative.
Riflettiamo su come bilanciare l’uso della tecnologia con la necessità di coltivare relazioni autentiche e significative. Chiediamoci se stiamo usando la tecnologia per connetterci con gli altri o per fuggire dalla realtà. Cerchiamo di sviluppare una maggiore consapevolezza delle nostre distorsioni cognitive e di come l’iperconnessione possa influenzare il nostro benessere mentale. Solo così potremo navigare in questo mondo digitale in modo sano ed equilibrato.
—–
Oggi, fra i giovani adulti statunitensi, più della metà si sente a proprio agio a discutere del proprio benessere psichico con un assistente virtuale basato sull’IA.
Malgrado questa crescente disponibilità delle nuove generazioni, il cammino verso un’assistenza psicologica realmente accessibile e non influenzata da pregiudizi è ancora arduo, specialmente per gli adulti.
L’82% dei cittadini italiani dichiara di essere consapevole del proprio stato d’animo, tuttavia il 90% degli psicologi constata che, in realtà, solo pochi riescono a definire con precisione il proprio disagio.
Dall’indagine MINDex emerge che la ragione principale che spinge gli italiani a iniziare un percorso terapeutico è legata alla sfera delle relazioni; infatti, il 46% afferma che le difficoltà nelle interazioni personali sono l’aspetto della propria vita maggiormente condizionato dal proprio stato psicologico.
È essenziale riconoscere sia i vantaggi che gli aspetti problematici che l’intelligenza artificiale porta con sé.
Le prime valutazioni dimostrano una riduzione considerevole a livello clinico dei sintomi legati a depressione, ansia e disturbi del comportamento alimentare dopo quattro e otto settimane di utilizzo, nei partecipanti che hanno interagito con il chatbot rispetto al gruppo di controllo.
L’IA non potrà mai sostituire l’elemento fondamentale della psicoterapia: la connessione umana.
Coloro che operano nei settori sanitario, educativo e della comunicazione hanno oggi il compito di orientare, non di rimpiazzare.
E se il rischio è quello di perdere di vista il valore dell’individuo, della relazione sincera, allora è necessario impegnarsi a ricreare – anche nell’ambiente digitale – contesti dove sia possibile un ascolto autentico.