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Violenza taciuta: L’angosciante verità dietro il silenzio delle vittime

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  • Nel 2024, il 72,9% delle vittime che contattano il 1522 non denuncia.
  • Il 38,5% delle mancate denunce è legato all'ansia per le reazioni dell'aggressore.
  • Il 40,9% delle denunce riguarda aggressioni fisiche, il 34,3% maltrattamenti psicologici.

Nell’attuale contesto sociale emerge con insistenza un fenomeno inquietante: la denuncia degli atti aggressivi subiti dai singoli individui. Questo aspetto drammatico della nostra realtà non colpisce solo poche persone, ma coinvolge una parte sostanziale della popolazione ed è motivo di sfide difficili per le strutture preposte al sostegno delle vittime. Le ragioni alla base dell’assenza di segnalazioni riguardo agli episodi violenti sono articolate e risiedono in complesse interrelazioni tra fattori psicologici e influenze sociali/culturali predominanti nel contesto in cui si vive. La vittima stessa spesso deve fare i conti con conflitti interiori lancinanti; si ritrova divisa tra l’anelito alla giustizia e l’ansia rispetto alle possibili conseguenze negative. Si tratta dunque di uno scontro sotterraneo che avviene nell’ambiente personale dell’individuo colpito dal trauma; qui esso esercita effetti nefandi manifestandosi in forme tanto insidiose quanto dannose. In tale situazione critica ci troviamo frequentemente davanti a una persona intrappolata nel labirinto della vergogna associato all’auto-colpevolizzazione; credendo infatti di essere in qualche modo responsabile dell’accaduto, si istituisce così quel meccanismo psicologico distruttivo capace di soffocare qualsiasi impulso verso l’assistenza o la denuncia pubblica. Questa percezione distorta è alimentata da una serie di fattori interni ed esterni, che contribuiscono a creare un vero e proprio muro di silenzio attorno all’esperienza traumatica.

La paura, in particolare, gioca un ruolo preponderante. La paura di ritorsioni da parte dell’aggressore, che potrebbe minacciare, perseguitare o ferire ulteriormente la vittima o i suoi cari, è una delle ragioni più comuni e paralizzanti. Questa minaccia, talvolta esplicita, talvolta implicita, crea un ambiente di costante allerta e terrore, rendendo quasi impossibile per la vittima uscire allo scoperto.

A ciò si aggiunge la paura del giudizio altrui, un timore radicato nelle profonde insicurezze umane. La società, con le sue norme e aspettative spesso rigide, può finire per stigmatizzare le vittime di violenza, facendole sentire come “diverse” o “compromesse”. Questo stigma, un marchio invisibile ma pesante, spinge a nascondere l’esperienza per evitare il disappunto o la disapprovazione sociale, alimentando un senso di isolamento e solitudine. Un documento redatto nel 2024 ha rivelato che una percentuale pari al 72,9% delle persone vittime di violenza e che contattano il numero pubblico 1522 scelgono di non segnalare l’accaduto alle forze dell’ordine. Le cause predominanti alla base di tale decisione continuano a essere legate all’ansia, e soprattutto al dubbio riguardo alle possibili reazioni da parte dell’aggressore; queste preoccupazioni si presentano nel 38,5% dei casi. [Il Sole 24 Ore].

La mancanza di fiducia nelle istituzioni, un problema endemico in molte realtà, è un altro fattore cruciale. Se una vittima percepisce che la polizia, i tribunali o i servizi sociali non saranno in grado di offrire protezione adeguata o di garantire giustizia, la motivazione a denunciare si affievolisce drasticamente. Numerose testimonianze rivelano una profonda delusione nei confronti di un sistema che, in alcuni casi, sembra non essere attrezzato per gestire le complessità emotive e pratiche legate alla violenza, rinforzando l’idea che denunciare sia inutile o addirittura dannoso. È l’incertezza, l’idea di dover intraprendere un percorso lungo e doloroso senza la garanzia di un esito positivo, che spesso frena le vittime dal compiere quel primo, fondamentale passo.

L’eco del dolore: meccanismi psicologici e traumi non elaborati

La manifestazione del trauma presenta una varietà affascinante ma inquietante che permea profondamente la vita degli individui colpiti. Un’aggressione può scatenare risposte emotive e cognitive particolarmente intricate che superano di gran lunga l’immediato disagio fisico.

All’interno del panorama della psicologia cognitiva e comportamentale emerge chiaramente come il cervello possa attivarsi attraverso meccanismi difensivi in seguito a esperienze traumatiche; tali processi, inizialmente finalizzati alla salvaguardia dell’individuo, tendono poi a compromettere la necessaria rielaborazione delle situazioni vissute. Come riportato in uno studio pubblicato nel 2021, tra le conseguenze psichiche legate alla violenza si annoverano frequentemente disturbi come il disturbo da stress post-traumatico (DSPT), nonché depressione e ansia. [Milano-SFU]. Il senso di colpa, ad esempio, non è solo una sensazione morale, ma un vero e proprio processo cognitivo disfunzionale in cui la vittima finisce per attribuirsi una responsabilità, spesso irrazionale, per l’accaduto. Questo può manifestarsi come un’intensa autocritica, il ripetersi ossessivo di domande come “Cosa avrei potuto fare diversamente?” o “È stata colpa mia perché ero lì in quel momento/ con quella persona”, che non fanno altro che approfondire il senso di indegnità e isolamento.

La vergogna, strettamente correlata al senso di colpa, si traduce in un desiderio profondo di nascondere l’esperienza, di farla sparire, come se l’evento in sé macchiasse l’intera identità della persona. Questa percezione è spesso alimentata da norme sociali implicite che, erroneamente, attribuiscono una connotazione negativa alle vittime di violenza, spingendole a celare la propria sofferenza per evitare il giudizio altrui. Gli psicologi e i criminologi intervistati sottolineano come il trauma non elaborato possa avere conseguenze a lungo termine estremamente dannose per la salute mentale.

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Statistiche recenti e riflessioni sulla salute mentale

In base a un’indagine realizzata nel 2023, è emerso che circa il 70% delle persone aggredite e affette da DPTS ha manifestato la tendenza ad evitare spazi o contesti evocativi dell’evento traumatizzante per un periodo non inferiore a sei mesi successivi all’accaduto. Un rapporto pubblicato nel 2024 ha esaminato più approfonditamente queste informazioni: fra coloro che hanno denunciato atti di violenza, risulta che ben il 40,9%* abbia subito aggressioni fisiche, mentre una percentuale pari al 34,3% è stata oggetto di maltrattamenti psicologici. [Il Sole 24 Ore]. Questa condizione genera una restrizione severa alla libertà personale e all’autonomia delle vittime stesse; esse si trovano così sempre più isolate. Il fenomeno della dissociazione, quale ulteriore strategia difensiva adottata dalle persone coinvolte negli eventi traumatici, conduce a uno stato nel quale il soggetto appare estraniato dalle proprie sensazioni corporee ed emozionali—quasi che quanto subito sia capitato a qualcun altro piuttosto che a sé stesso. Tale distacco potrebbe apparire come un primo soccorso dall’angoscia immediata; tuttavia, sul lungo periodo, esso ostacola non solo l’elaborazione ma anche l’integrazione del trauma nella narrazione personale dell’individuo, lasciando vive cicatrici dolorose.

A livello legale, gli avvocati sottolineano con veemenza le conseguenze derivanti da una denuncia assente: senza questo passaggio fondamentale risulta praticamente impossibile intraprendere qualsiasi azione giudiziaria efficace o raccogliere evidenze tangibili necessarie per il perseguimento della verità giuridica. Si sviluppa così un circuito nocivo: l’assenza di denunce rappresenta un ostacolo alla realizzazione della giustizia, mentre al contempo questa percezione negativa frena eventuali nuove dichiarazioni da parte delle vittime. Una valutazione effettuata nel 2024 ha messo in evidenza come oltre il 80% degli autori di aggressioni mai denunciate siano stati responsabili anche di successivi atti criminali, rafforzando così con chiarezza quanto sia fondamentale far emergere tale realtà per spezzare definitivamente il cerchio dannoso delle violenze perpetuate. Il processo di guarigione dal trauma si configura pertanto come qualcosa di ben più complesso: non si limita a essere una mera questione psicologica riguardante l’individuo. Al contrario, essa necessita di un sostegno olistico, il quale abbraccia diversi ambiti operativi tra cui le dimensioni legale, sociale e medica.

Voci nel deserto: il ruolo della sfera sociale e culturale

Al di là delle dinamiche psicologiche individuali, la decisione di non denunciare un’aggressione è profondamente influenzata da una complessa rete di fattori sociali e culturali. La stigmatizzazione delle vittime è una delle manifestazioni più deleterie di questo fenomeno. In molte culture, persiste l’idea che la vittima, in qualche modo, abbia “provocato” l’aggressione o che sia responsabile del proprio destino. Questa mentalità arcaica e dannosa, radicata in secoli di misconcezioni, porta non solo al giudizio e alla critica, ma può indurre la vittima a interiorizzare il biasimo, acuendo il senso di colpa e vergogna. Un’analisi della stigmatizzazione pubblica ha rivelato che circa il 97,7% delle chiamate al 1522 provengono da donne, per lo più madri [Dors], e molte di queste dichiarano di non aver denunciato per paura della reazione dell’aggressore (20% dei casi) o per non compromettere il contesto familiare (18,5% dei casi). I dati presentati dimostrano chiaramente quanto lo stigma sociale e il timore delle possibili reazioni ostili pesino significativamente sulle scelte relative alla segnalazione degli atti violenti e abusivi.

La sfiducia verso le istituzioni è radicata in uno schema più ampio e complesso. Indagini condotte sia a livello nazionale che internazionale mettono in luce uno scepticismo diffuso circa l’operato delle forze dell’ordine e del sistema giudiziario nel tutelare le vittime mentre perseguono i colpevoli. I risultati emersi da un sondaggio realizzato tra cittadini appartenenti a varie nazioni occidentali indicano che solamente il 35% della popolazione manifesta piena fiducia nella competenza della propria giustizia nell’affrontare con successo le situazioni legate alla violenza. Diversi fattori culturali – inclusi l’urgenza della salvaguardia dell’onore familiare, una forma d’indipendenza economica limitata rispetto all’aggressore o l’influenza dei tradizionali ruoli di genere – possono rendere ancora più intricate queste circostanze. Nei contesti in cui eserciti familiari o comunitari esercitano pressioni significative sugli individui coinvolti, emergere dall’ombra della menzogna diventa problematico; denunciare gli atti offensivi viene percepito non soltanto come una contestazione verso chi agisce male ma anche come un’offesa all’intero tessuto sociale, portando a isolamento severo per chi chiede aiuto.

Strategie per potenziare denunce e assistenza sociale

L’adozione di iniziative informative coinvolgenti, insieme a protocollo d’intervento maggiormente empatico ed efficiente, così come una preparazione adeguata del personale appartenente alle forze dell’ordine e ai servizi sociali, rivestono un ruolo cruciale nel superamento delle barriere invisibili che ostacolano il percorso verso la giustizia. È imperativo sviluppare un confronto franco e produttivo fra coloro che subiscono violenze, le autorità competenti e il contesto socio-culturale generale; solo così si potrà realizzare uno scenario nel quale il compiere una denuncia diventi non soltanto un atto coraggioso, ma piuttosto una fase naturale accompagnata da sostegno nella ricerca della giustizia stessa. [Save the Children]

Solo attraverso un impegno collettivo e progressista si potrà sperare di superare questa piaga sociale che continua a imprigionare molte vite nel silenzio e nel dolore. Interrogare le competenze degli specialisti in psicologia, criminologia e diritto si rivela fondamentale per la formulazione di soluzioni d’intervento efficaci. Tali strategie dovrebbero andare oltre una mera reazione agli atti violenti; al contrario, è cruciale attuare misure preventive basate su un approccio educativo solido e sul potenziamento delle reti sociali che forniscono supporto.

Un sentiero verso la consapevolezza e il cambiamento

Questo studio approfondito mette in evidenza come il fenomeno della violenza taciuta, lungi dall’essere semplicemente una raccolta casuale d’incidenti isolati, rappresenti invece una rete intricata d’interazioni tra vari aspetti personali e culturali. Ciò dimostra quanto sia allarmante continuare a riscontrarla nella contemporaneità, soprattutto nei settori legati alla psicologia cognitiva, ai traumi e alla salute mentale: essa simboleggia le cicatrici aperte che condizionano quotidianamente l’esistenza degli individui diffondendosi sulle strutture sanitarie esistenti.

L’indagine psicologica evidenzia come gli esseri umani interpretino ogni esperienza filtrandola tramite modelli già stabiliti; i noti sistemi cognitivi. Quando vengono vissuti eventi traumatici, queste configurazioni mentali tendono ad essere stravolte, iniziando così ad impedire una chiara visione del sé stesso *smascherando inoltre paure inaudite;. Di conseguenza, molto spesso le terapie si propongono appositamente di ripristinare queste strutturazioni cognitive disadattive, riconducendo l’individuo verso un approccio sanificante alla reale condizione personale dove finalmente potrà riafferrare>>> L’innocente volontà~di lavorare sul proprio stato interiore spetta aiuto ad accorgersi_dell’effettivo peso dell’involontarietà__morale_ottimista_” fortunatamente tanto necessaria.”)

Interventi e supporti disponibili

Un esempio emblematico è rappresentato dalla terapia di esposizione: una pratica indubbiamente intricata ma altrettanto fondamentale che si propone di ridurre gradualmente la sensibilità agli stimoli temuti. Tale approccio viene attuato all’interno di un contesto sicuro e organizzato al fine di recidere il ciclo oppressivo in cui ci si trova intrappolati. In tal modo si facilita la possibilità per l’individuo di riconquistare il controllo sulla propria esistenza. Si segnala che nel corso del 2022 più di 26.131 donne hanno iniziato un percorso volto alla liberazione dalla violenza grazie al sostegno offerto da centri specializzati. [Istat]. Questi centri sono cruciali nel garantire supporto psicologico e assistenza legale per le vittime di violenza.

La rilevanza di questa notizia risiede nella sua capacità di far luce su un problema che, purtroppo, è ancora troppo spesso relegato nell’ombra del silenzio. Comprendere le ragioni profonde che spingono una vittima a non denunciare non è solo un esercizio accademico, ma un passo fondamentale verso la creazione di un ambiente più sicuro e supportivo. Riflettere su queste dinamiche ci spinge a interrogarci sul nostro ruolo come individui e come membri di una comunità. Sappiamo ascoltare? Siamo in grado di offrire supporto senza giudizio?

Glossario:
  • DPTS: Disturbo Post Traumatico da Stress, un disturbo psichiatrico che può verificarsi in seguito a esperienze traumatiche.
  • Victim Blaming: La pratica di incolpare la vittima per la violenza subita, contribuendo alla sua sofferenza psicologica.
  • Stigmatizzazione: Si tratta di un fenomeno in cui si assegna un’etichetta sociale negativa a un individuo, conducendo così alla sua esclusione e marginalizzazione.

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