- Le esperienze avverse infantili (ACEs) causano sintomi fisici e psicologici.
- La Somatic Experiencing (SE) rilascia le tensioni e risintonizza il sistema nervoso.
- La SE ristabilisce l'autoregolazione naturale dell'organismo.
- La neuroplasticità consente di riscrivere le mappe neurali del trauma.
- Il completamento delle risposte di difesa avviene in ambiente controllato.
Il corpo testimone: echi del trauma e la via della resilienza
Oggi più che mai il campo della salute mentale si confronta con le eco persistenti del trauma, fenomeni capaci di uscire dai confini esclusivamente psicologici per affermarsi in modo drammatico anche sul piano corporeo. Le esperienze avverse dell’infanzia conosciute come ACEs (Adverse Childhood Experiences) fungono da principale fattore scatenante di questo complesso legame fra passato e presente, mente e corpo. Eventualità varie – dall’abuso emotivo o fisico alla negligenza, passando per violenza domestica fino alle disfunzioni familiari – imprimono un segno indelebile nell’individuo; tale segno ha la potenzialità di riaffiorare dopo anni o addirittura decenni, materializzandosi attraverso una gamma di sintomi sia fisici sia psicologici i quali risultano frequentemente opachi agli occhi della medicina tradizionale.
È fondamentale sottolineare l’importanza cruciale dell’interconnessione tra questi aspetti: ciò implica chiaramente che affinché avvenga una vera guarigione risulta insufficiente affrontare il trauma in termini puramente cognitivi o emozionali; piuttosto, essenziale è includere il corpo stesso nel processo terapeutico poiché conserva silenziosamente memorie e tensioni sopite accumulate nel tempo. Questo approccio è particolarmente significativo nel contesto della psicologia cognitiva e comportamentale, che stanno progressivamente integrando prospettive più olistiche.

La comprensione di come il corpo “ricordi” e “conservi” il trauma ha aperto nuove frontiere terapeutiche, ponendo le basi per interventi che mirano a disinnescare la reazione di stress cronico e a ripristinare un senso di sicurezza interna. Le implicazioni di tali scoperte sono profonde, poiché promettono di trasformare non solo le singole vite, ma anche l’approccio collettivo alla salute pubblica, riconoscendo il peso delle esperienze passate sul benessere complessivo.
In questo contesto, l’emergere di tecniche come la Somatic Experiencing* (SE) si colloca come una svolta sostanziale, offrendo strumenti innovativi per navigare le complesse intersezioni tra mente, corpo e trauma, e per catalizzare un processo di guarigione che va oltre la semplice gestione dei sintomi, mirando a una profonda ristrutturazione della risposta traumatica. La SE non si riduce a una mera analisi descrittiva; al contrario, propone un percorso dinamico volto al rilascio delle tensioni accumulate, facilitando così la risintonizzazione del sistema nervoso. Questo rappresenta una vera e propria evoluzione all’interno dell’ambito della medicina legata alla salute mentale.
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Somatic Experiencing: quando il corpo rilascia il passato
Nel cuore delle nuove pedagogie di guarigione dal trauma, la tecnica della Somatic Experiencing (SE) emerge come un faro di speranza per chi è imprigionato nelle spire di esperienze complesse e spesso indicibili. La SE non si limita a una semplice tecnica, ma rappresenta un paradigma terapeutico che riconosce il corpo come il primo e più affidabile narratore del trauma. Si parte dal presupposto fondamentale che il trauma, ancor prima di essere un evento mentale, sia una risposta fisiologica congelata, un’energia bloccata nel sistema nervoso che non ha potuto completare il suo ciclo di “lotta o fuga” al momento dell’evento stressogeno.
Questo blocco energetico si manifesta in una miriade di sintomi, dai dolori cronici inspiegabili all’ansia pervasiva, dalle difficoltà relazionali all’irritabilità costante. La SE, attraverso una metodologia attenta e delicata, mira a sbloccare queste energie intrappolate, consentendo al corpo di completare ciò che la natura aveva previsto: il rilascio della tensione e il ritorno all’equilibrio.

Il processo terapeutico si snoda attraverso la consapevolezza corporea, invitando l’individuo a percepire le sottili sensazioni interne, a “sentire” il proprio corpo senza giudizio, con una curiosità quasi scientifica. Non si tratta di rievocare il trauma in maniera catartica, un approccio che spesso può essere ritraumatizzante, ma piuttosto di operare a piccole dosi, in un ambiente di sicurezza e contenimento. I terapeuti specializzati in SE sono addestrati a riconoscere i “segnali” che il corpo invia: un tremore involontario, un calore improvviso, un formicolio o una sensazione di peso. Queste manifestazioni non sono viste come sintomi da sopprimere, ma come opportunità di guarigione*, indicatori che l’energia traumatica sta cercando una via per essere scaricata.
Attraverso il pendolamento – un movimento ritmico tra la percezione delle sensazioni connesse al trauma e la percezione di risorse e stati di benessere – il sistema nervoso apprende gradualmente a regolare se stesso, a contenere l’intensità delle sensazioni e a integrarle in un’esperienza corporea più gestibile. Questo metodo si distingue in modo significativo da molte forme tradizionali di terapia verbale; esso non costringe il paziente a rivivere nuovamente le esperienze traumatiche dolorose. Al contrario, offre un accompagnamento delicato attraverso quello che viene definito processo di scarico incrementale.
La finalità primaria consiste nel ristabilire l’autoregolazione naturale dell’organismo umano, fornendo così agli individui strumenti utili per affrontare i ricordi pesanti senza essere sopraffatti dal loro peso emotivo. Le narrazioni dei pazienti coinvolti nella Somatic Experiencing (SE) parlano spesso di come abbiano vissuto trasformazioni significative: mutamenti che vanno al di là della mera alleviazione dei sintomi per estendersi all’intera autopercezione e alla relazione con il mondo esterno; molti riferiscono sensazioni riacquistate di vitalità e spontaneità che sembravano perse per sempre.
In tal modo questa metodologia assume valenza decisiva poiché offre un fondamentale opportunità concreta per perseguire la propria libertà psicologica.
Neuroplasticità e SE: il cervello che riscrive il suo passato
L’approccio della Somatic Experiencing (SE) si distingue per la sua validità non esclusivamente ancorata ai dati empirici; essa trae nutrimento da fondamentali progressi nell’ambito delle neuroscienze, con particolare riguardo alla affascinante area della neuroplasticità. Questo termine descrive il fenomeno tramite cui il cervello riesce ad adattarsi modificando sia le sue strutture sia le sue funzioni sulla base dell’esperienza vissuta: un’evoluzione scientifica tra le più straordinarie registrate negli ultimi anni.
Nell’ambito dello studio del trauma psicologico è emerso chiaramente che eventi caratterizzati da stress prolungato provocano profonde alterazioni significative all’interno delle reti neuronali. Esse colpiscono zone vitali del cervello quali l’amigdala—fondamentale nel processamento delle emozioni legate alla paura—l’ippocampo—incaricato del controllo dei meccanismi mnemonici—e la corteccia prefrontale—rappresentativa dei processi decisionali e delle capacità esecutive. Tali cambiamenti possono dare origine a reazioni allo stress che oscillano tra stati di iperattivazione e ipoattivazione: ci si ritrova così ad affrontare una suscettibilità estrema agli stimoli ambientali oppure una sensazione di apatia emotiva.
Intervenendo su queste modifiche cerebrali mediante pratiche mirate di autoregolazione corporea, la SE favorisce quindi un’importante attività nota come riscrittura delle mappe neurali. Quando un individuo sperimenta le sensazioni corporee connesse al trauma in un ambiente sicuro e supportato, e riesce a scaricare l’energia bloccata, si attivano nuovi circuiti neurali. Questo non significa cancellare la memoria dell’evento, ma piuttosto rimodellarne l’impatto emotivo e fisiologico.
Il cervello, attraverso la neuroplasticità, apprende nuove modalità di risposta allo stress, disattivando i “percorsi” neurali del trauma e costruendone di nuovi, più adattivi. Un aspetto cruciale della SE è la sua enfasi sul completamento delle risposte di orientamento e difesa. In situazioni di pericolo, il nostro sistema nervoso autonomo attiva risposte innate di lotta, fuga o immobilizzazione. Se queste risposte vengono interrotte o bloccate – come spesso accade nei traumi complessi, specialmente quelli infantili in cui la fuga o la lotta sono impossibili – l’energia associata rimane intrappolata nel corpo. La SE offre un ambiente controllato in cui queste risposte possono essere finalmente completate, attraverso movimenti sottili, vocalizzazioni o altre espressioni corporee.
Questo “rilascio” non è solo fisico, ma ha un profondo corrispettivo neurologico: il sistema limbico e il tronco encefalico, che sono i centri primari per la gestione delle risposte di sopravvivenza, vengono rieducati a distinguere tra pericolo reale e memorie del passato. Inoltre, la SE stimola la riorganizzazione funzionale della corteccia prefrontale, consentendo una maggiore capacità di regolazione emotiva, di attenzione e di coesione narrativa degli eventi. I pazienti riferiscono una maggiore chiarezza mentale, una riduzione dell’ansia e depressione, e una migliorata capacità di relazionarsi con gli altri.
Questo processo di neuroplasticità auto-diretta, mediato dalle tecniche di SE, offre una speranza concreta e scientificamente fondata per la guarigione dal trauma, non solo mitigando i sintomi ma agendo alla radice del problema, permettendo al cervello di “riscrivere” il suo passato disfunzionale in un presente di maggiore equilibrio e benessere.
Oltre la superficie: la sinfonia del corpo nella salute mentale
Il viaggio attraverso le scoperte e le applicazioni della Somatic Experiencing ci invita a spostare il nostro sguardo oltre la superficie, a riconoscere che la salute mentale non è un’entità astratta confinata alla sola mente, ma una sinfonia complessa che risuona in ogni fibra del nostro essere. Il corpo, con la sua memoria ancestrale e le sue risposte intime, non è solo un “contenitore” di emozioni, ma un narratore silenzioso e un guida saggia verso la guarigione. La sua capacità di registrare e trattenere le esperienze traumatiche è tanto potente quanto la sua potenziale capacità di rilasciarle e di ripristinare l’equilibrio.
Nel campo della psicologia, siamo abituati a esplorare il potere della narrazione e della cognizione. Eppure, la psicologia cognitiva ci insegna che il nostro modo di pensare influenza profondamente le nostre emozioni e i nostri comportamenti. Se le nostre esperienze passate hanno plasmato schemi cognitivi disfunzionali, come la convinzione di non essere al sicuro o di non meritare amore, queste non risiedono solo nella mente cosciente. Le manifestazioni dei traumi si trovano spesso saldamente integrate nel nostro organismo; si presentano sotto forma di tensioni persistenti, posture protettive oppure reazioni esagerate d’allerta. Parallelamente, la psicologia comportamentale evidenzia come ogni nostra azione scaturisca da apprendimenti condizionati nel tempo. Un episodio traumatico può generare tendenze all’evitamento, risposte impulsive o una fuga dalla realtà: tutti meccanismi difensivi assimilati per garantirci sicurezza, ma che col pasar del tempo possono tramutarsi in modalità disfunzionali.
In questo contesto, la SE emerge come un collegamento fra diverse metodologie terapeutiche, suggerendo che l’intervento su pensieri e comportamenti necessiti prima dell’interazione con il corpo, liberando così le risposte fisiologiche insite in tali dinamiche.
Nella comprensione del trauma, una nozione cardine della psicologia cognitiva afferma che sia l’interpretazione sia la percezione degli eventi incidono in modo significativo sulla risposta emotiva e fisica dell’individuo. Davanti a situazioni considerate potenzialmente traumatizzanti, è quindi fondamentale come l’intelletto valuta tale minaccia: quest’analisi potrebbe risultare alterata dalle esperienze pregresse o dai modelli cognitivi già stabilizzati nella mente. Una nozione avanzata, invece, ci porta a considerare che il trauma non è semplicemente l’evento in sé, ma la risposta del sistema nervoso a tale evento, in particolare la sua incapacità di processare e scaricare l’energia di sopravvivenza. È qui che la salute mentale e la medicina correlata devono integrarsi: non basta “parlare” del trauma, occorre “sentirlo” e “rilasciarlo” a livello corporeo, permettendo al sistema nervoso di completare ciò che era stato interrotto.
Proviamo a riflettere. Quante volte abbiamo sentito una morsa allo stomaco prima di un evento stressante, o una tensione inspiegabile alle spalle dopo una giornata difficile? Queste non sono pure metafore. Sono messaggi precisi che il nostro corpo ci invia, testimonianze di come le nostre esperienze, sia quelle quotidiane che quelle più profonde e traumatiche, si iscrivano nella nostra fisiologia. Riconoscere questa connessione profonda, questa inestricabile danza tra mente e corpo, ci apre a possibilità di guarigione che trascendono le aspettative convenzionali. Ci permette di non vedere il trauma come una condanna, ma come un’opportunità di profonda trasformazione, un catalizzatore per ristabilire un contatto autentico con il nostro sé più intimo e resiliente.

Questo è l’invito della Somatic Experiencing: ascoltare la sinfonia del proprio corpo, decifrarne i linguaggi, e attraverso questo ascolto consapevole, ritrovare la propria armonia.
- Definizione e principi fondamentali della Somatic Experiencing direttamente dal sito ufficiale.
- Pagina descrittiva delle Adverse Childhood Experiences (ACE), determinanti nell'articolo.
- Pagina su Peter Levine, sviluppatore della Somatic Experiencing (SE).
- Approfondimento sulla Terapia Cognitivo Comportamentale centrata sul trauma.








