Trauma e autolesionismo: svelato il circuito cerebrale della sofferenza

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  • Traumi infantili causano iperattività neuroni tra nucleo reuniens e ippocampo.
  • Il nucleo reuniens regola la paura, l'ippocampo memoria e apprendimento.
  • Autolesionismo negli adolescenti: prevalenza tra il 7,5% e il 46,5%.
  • L'età di esordio dell'autolesionismo è tra i 14 e i 24 anni.
  • Le motivazioni sono raggruppate in sei macro-categorie complesse.

L’aggressività e i comportamenti autolesionistici, due manifestazioni spesso interconnesse, emergono frequentemente in individui con un passato segnato da traumi infantili. Questa correlazione, ampiamente documentata in ambito clinico, solleva interrogativi cruciali sui meccanismi cerebrali sottostanti. Una recente ricerca, pubblicata sulla rivista Science Advances, ha identificato un circuito cerebrale che sembra collegare questi due comportamenti, evidenziando come i traumi possano alterare profondamente questo percorso neurale. La scoperta apre nuove prospettive terapeutiche e sociali, considerando l’impatto significativo che entrambi i comportamenti hanno sia a livello individuale che collettivo.

Il Circuito Cerebrale Disregolato: Un Ponte tra Trauma, Aggressività e Autolesionismo

Gli scienziati del Centro per la Ricerca in Neurobiologia del Virginia Tech hanno condotto uno studio approfondito sul cervello di topi, rivelando che i traumi precoci inducono un’iperattività dei neuroni lungo il percorso che connette il nucleo reuniens all’ippocampo. Il nucleo reuniens, una regione cerebrale primitiva, svolge un ruolo cruciale nella regolazione della paura, mentre l’ippocampo è fondamentale per la memoria e l’apprendimento. A livello molecolare, il trauma modifica le caratteristiche del cervello, stimolando eccessivamente un canale del calcio che presiede alla trasmissione dei segnali nervosi. Questa iperattività neuronale sembra aumentare significativamente il rischio di comportamenti aggressivi e autolesionistici.

Gli autori dello studio suggeriscono che il dolore, sia fisico che emotivo, possa fungere da catalizzatore per l’emergere di questi comportamenti, una volta che il circuito neurale sottostante è disregolato. In altre parole, non si tratterebbe solo di ansia e depressione, ma anche di profonde ferite neurobiologiche che ostacolano la capacità del cervello di elaborare il dolore. Questa scoperta si aggiunge al crescente corpo di evidenze che dimostrano come le esperienze infantili avverse possano avere un impatto duraturo non solo sulla psiche, ma anche sulla struttura e sulla biologia del cervello.

Cosa ne pensi?
  • ✨ Finalmente una ricerca che illumina il legame tra trauma......
  • 🤔 Interessante la correlazione, ma non rischia di patologizzare......
  • 💔 Autolesionismo: un grido silenzioso che la società spesso......

Autolesionismo: Sfatare i Miti e Comprendere le Motivazioni

L’autolesionismo è spesso avvolto da una serie di falsi miti che ne oscurano la comprensione. È fondamentale sfatare queste credenze errate per affrontare il fenomeno in modo efficace. Alcuni dei miti più comuni includono l’idea che l’autolesionismo sia un tentativo di manipolazione, un sinonimo di suicidio, un segno di pericolosità verso gli altri o una semplice richiesta di attenzione. In realtà, l’autolesionismo è un comportamento complesso con motivazioni profonde e spesso nascoste.

Contrariamente a quanto si crede, gli individui che si autolesionano spesso cercano di nascondere le proprie ferite, provando vergogna e disagio. L’autolesionismo non è necessariamente un tentativo di suicidio, ma piuttosto un modo per gestire un dolore emotivo intollerabile. Il gesto autolesivo può fornire un temporaneo sollievo da stati di sofferenza interiore come frustrazione, rabbia e angoscia. In tali circostanze, l’autolesionismo serve come strategia di adattamento per mitigare la sofferenza e mantenere la propria esistenza.

È importante sottolineare che l’aggressività degli autolesionisti è rivolta principalmente verso se stessi, non verso gli altri. L’autolesionismo è un modo per prendersi cura del proprio dolore e della propria sofferenza. Inoltre, l’autolesionismo non è semplicemente un modo per attirare l’attenzione, ma piuttosto un’espressione di profonda vergogna e imbarazzo.

Nella società contemporanea, è sempre più difficile distinguere tra comportamenti patologici e pratiche socialmente accettate come piercing, tatuaggi e altre modificazioni corporee. Tuttavia, è fondamentale riconoscere la differenza tra queste pratiche e i comportamenti autolesionistici più gravi.

Autolesionismo: Forme e Manifestazioni

L’autolesionismo può manifestarsi in diverse forme, che variano per letalità, direzionalità e ripetitività. Favazza suddivide l’autolesionismo in tre categorie principali: maggiore, stereotipato e superficiale/moderato.

L’autolesionismo maggiore comprende gesti sporadici ma gravi come l’auto-amputazione o l’enucleazione di un occhio. Questi atti sono spesso associati a psicosi, transessualismo o intossicazioni alcoliche acute.
L’autolesionismo stereotipato include azioni automatiche e ripetitive come percuotersi, mordersi o battere la testa. Questo tipo di autolesionismo è spesso presente in stati psicotici, disturbi autistici e sindromi cerebrali organiche.
* L’autolesionismo superficiale/moderato è la forma più comune e consiste nel procurarsi ferite lievi con oggetti come rasoi o lamette. Questo tipo di autolesionismo può manifestarsi come comportamenti compulsivi (tricotillomania, mangiarsi le unghie) o impulsivi (tagliare, bruciare la pelle).

L’autolesionismo non suicidario (NSSI) è un fenomeno in crescita, con un tasso di prevalenza tra gli adolescenti compreso tra il 7,5 e il 46,5%. L’età di esordio si attesta solitamente tra i 14 e i 24 anni. Nonostante si creda che l’autolesionismo sia più diffuso nelle donne, diversi studi hanno riscontrato tassi equivalenti tra uomini e donne, sebbene i metodi utilizzati possano variare.

Le motivazioni alla base dell’autolesionismo sono complesse e possono essere raggruppate in sei macro-categorie: concretizzare il dolore psichico, punire/estirpare/purificare un “Sé cattivo”, regolare la disforia, comunicare senza parole, costruire una memoria di sé e cambiare pelle.

Verso Terapie Più Efficaci: Un Approccio Neurobiologico e Psicosociale Integrato

La scoperta del circuito cerebrale che collega traumi, aggressività e autolesionismo apre nuove strade per lo sviluppo di terapie più efficaci. Comprendere i meccanismi neurobiologici sottostanti a questi comportamenti può consentire di individuare target farmacologici specifici e di sviluppare interventi psicoterapeutici mirati.

Tuttavia, è fondamentale adottare un approccio integrato che tenga conto sia degli aspetti neurobiologici che psicosociali dell’autolesionismo. Le terapie psicologiche, in particolare la Terapia Dialettico-Comportamentale (DBT) e la Terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT), si sono rivelate efficaci nel ridurre l’incidenza dell’autolesionismo e nel favorire una migliore gestione delle emozioni.

È altrettanto importante sfatare i miti sull’autolesionismo e promuovere una maggiore consapevolezza e comprensione del fenomeno. Creare un ambiente di supporto e non giudicante può incoraggiare le persone che si autolesionano a cercare aiuto e a intraprendere un percorso di guarigione.

Oltre lo Specchio Infranto: Ricostruire l’Autostima e la Resilienza

L’autolesionismo è un grido silenzioso, un tentativo disperato di gestire un dolore interiore che sembra insostenibile. È un comportamento complesso, spesso frainteso, che affonda le sue radici in esperienze traumatiche, difficoltà emotive e una profonda mancanza di autostima.

Una nozione base di psicologia cognitiva ci insegna che i nostri pensieri influenzano le nostre emozioni e, di conseguenza, i nostri comportamenti. Nel caso dell’autolesionismo, pensieri negativi e autosvalutanti possono alimentare un circolo vizioso di sofferenza e autolesionismo.

Una nozione avanzata ci suggerisce di esplorare i modelli di attaccamento e le dinamiche relazionali precoci. Le esperienze infantili, in particolare quelle caratterizzate da trascuratezza, abuso o traumi, possono compromettere la capacità di regolare le emozioni e di sviluppare un senso di sé stabile e positivo.

L’autolesionismo non è un segno di debolezza, ma piuttosto un sintomo di una profonda sofferenza. È un invito a guardare oltre lo specchio infranto, a riconoscere il valore intrinseco di ogni individuo e a offrire un sostegno empatico e competente. Ricordiamoci che la guarigione è possibile, e che ogni passo verso la consapevolezza e l’accettazione di sé è un passo verso una vita più piena e autentica.


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