Trauma cranico e memoria: come l’EMDR può aiutare i motociclisti

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  • I traumi cranici colpiscono soprattutto i giovani tra i 15 e i 25 anni.
  • Il 40-50% dei traumi cranici gravi porta alla morte del paziente.
  • L'EMDR si rivela più veloce della CBT nel mitigare i traumi.

La problematica degli incidenti stradali, specialmente quelli che coinvolgono motocicli, si configura come uno dei più rilevanti fattori causali per trauma cranico encefalico (TCE). Tale condizione clinica incide gravemente sulle esistenze degli individui interessati. Gli episodi traumatici hanno il potere di attivare molteplici deficit sia neurologici che neuropsicologici; gli effetti non si limitano solo alle manifestazioni fisiche immediatamente visibili, ma si protraggono nel tempo influenzando negativamente aspetti quali la memoria, le capacità cognitive e il comportamento personale.

Un esempio significativo è rappresentato dal caso di un giovane uomo appena diciannovenne coinvolto in una collisione stradale a Montespertoli: l’incidente gli ha causato ferite importanti ed è stato riferito dalle cronache locali che egli abbia subìto una perdita della memoria. Questo episodio suscita interrogativi cruciali riguardo alla complessità intrinseca del trauma cranico nonché delle sue conseguenze durante le operazioni riabilitative. Un’ulteriore illustrazione proviene dalla vicenda vissuta da un motociclista originario di Moncalieri investito nel 2017 da un furgone; questo evento dimostra quanto possa rivelarsi problematico anche l’ambito giuridico laddove vi sia compromissione mnemonica. In modo analogo risulta essere la situazione registrata presso Casal Bernocchi: qui anche un giovane ventenne affrontò difficoltà enormi nella gestione post-incidente dovute ad amnesia totale, ostacolando così seriamente i tentativi volti all’individuazione dei testimoni oculari necessari al processo investigativo. Luciano D’Adamo, in seguito a un trauma cranico nel 2019, si è risvegliato convinto di vivere nel 1980, perdendo 39 anni di ricordi.

Questi drammatici episodi mettono in luce la profonda e spesso devastante influenza del trauma cranico sulla funzione mnesica.

Motorcyclist after an accident

Il picco di incidenza dei traumi cranici, come dimostrano gli studi epidemiologici, si colloca tra i 15 e i 25 anni, proprio a causa di incidenti stradali, rendendo i giovani adulti la fascia più vulnerabile. Questa problematica sanitaria è rilevante nei Paesi industrializzati, arrivando a essere la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e tumorali.

La fisiopatologia dei Traumatic Brain Injury (TBI) è un meccanismo intricato, una combinazione di effetti immediati e ritardati, con lesioni focali e diffuse che possono non avere una correlazione diretta con l’entità della lesione cranica esterna. L’assenza di fratture manifeste non implica necessariamente che non vi sia stata una lesione cerebrale significativa. Un fattore chiave nella previsione degli esiti clinici è la durata della perdita di coscienza: quanto più essa si prolunga nel tempo, tanto più alto sarà il rischio associato a conseguenze negative sul recupero. A tal riguardo, la Glasgow Coma Scale (GCS) rappresenta lo strumento principe per misurare il livello di consapevolezza ed elaborare stime prognostiche; essa suddivide i traumi cranici in categorie: lieve (GCS 15-14), moderato (GCS 13-9) oppure grave (GCS 8-3).

I pazienti emergenti da uno stato comatoso vivono spesso una fase denominata amnesia. Con relativa frequenza tale condizione appare accompagnata da alterazioni comportamentali come apatia. Nella fattispecie, questa intervallo temporale dall’amnesia ha valenza predittiva assai rilevante sull’evoluzione post-infortunio caratteristico dei traumi cranici traumatici con cui ci si confronta frequentemente nel trattamento neuropsicologico orientato a risolvere le difficoltà cognitive oggetto d’analisi empirica nell’ottica differenziata sui diversi profili funzionali – attenzione cernente modalità logico/linguistica impostando progettualità attenta all’individualizzazione secondo le entità traumatologiche come anche delle specifiche relative alle ripercussioni neurologiche. Studi recenti hanno rivelato che è possibile invertire l’amnesia associata a un trauma cranico, il che apre a possibilità innovative nel campo della riabilitazione per i pazienti colpiti da traumi. [Sanitainformazione]

Conseguenze neuropsicologiche e riabilitazione

Le persone che sopravvivono a un trauma cranico significativo possono presentare una varietà notevole di deficit neuropsicologici che influiscono gravemente sulla loro qualità di vita. È fondamentale effettuare una valutazione neuropsicologica, eseguita da uno psicologo esperto nel campo specifico durante la fase subacuta della patologia—tempo in cui le condizioni cliniche del soggetto consentono tale intervento. Mediante interviste cliniche mirate accompagnate dall’applicazione di test diagnostici standardizzati si esplorano aspetti quali: la consapevolezza riguardo alla malattia da parte del paziente; l’orientamento nelle dimensioni personali, spaziali e temporali; nonché i potenziali deficit dell’attenzione o della memoria. Vengono altresì valutate abilità logico-razionali oltre alla possibile esistenza di deficit sensoriali (che comprendono visione, udito, etc.), insieme allo stato emotivo e ai tratti comportamentali significativi inclusi eventuali confabulazioni o forme strutturate di delirio ed infine il supporto offerto dalla famiglia.

Un focus particolare è rivolto alla sindrome frontale, una condizione frequentemente osservata nei casi gravi di traumi cranici che colpisce vari ambiti delle funzioni cognitive ed emotive nonché comportamenti socialmente rilevanti. Il panorama delle difficoltà linguistiche, unitamente ai problemi mnemonici che ne derivano, nonché all’organizzazione del discorso stesso, rappresenta uno degli aspetti patologici maggiormente documentati; frequentemente si ricollegano al fenomeno definito come danno assonale diffuso (DAD). Persino dopo un intervallo temporale considerevole—per esempio due anni dall’accadimento di un serio trauma cranico—i pazienti continuano a manifestare sintomi quali bassissimo livello mnemonico, andamento psicomotorio rallentato ed una forma persistente d’impossibilità nel mantenere la concentrazione, oltre ad una sensazione generale di stanchezza.

La varietà qualitativa e quantitativa delle problematiche legate alla memorizzazione varia secondo le zone cerebrali colpite, così come l’entità della lesione stessa. Accanto alle forme tradizionali d’amnesia post-traumatica, emergono anche sindromi mnemoniche specifiche: da un lato l’amnesia retrograda (che comporta ostacoli nel ricordare eventi che hanno avuto luogo prima dell’infortunio), dall’altro lato è assai frequente riscontrare anche amnesie anteriori, ovvero l’amnesia anterograda. Questo fenomeno evidenzia una tangibile relazione fra carenze nella sfera della memoria con quelle inattentive ed esecutive.

Nel contesto dell’analisi delle funzioni mnestiche, in modo particolare quella semantica appare relativamente indenne rispetto agli attacchi patogenetici inflitti dalla lesione traumatologica, mentre per ciò che concerne la sfera implicita le informazioni sembrano mostrarsi contraddittorie o comunque meno definite. Infine va sottolineato che sia i disordini attentivi sia quelli legati alla memoria figurano quale corollario frequente dei tCExrinodisperfcontinues4fmultiplesialdannassonalediffusoinquestocontextualcitaltroprobbli finor venendo appieno scrutinato. Coloro che soffrono di TBI tendono comunemente a evidenziare un incremento nei loro tempi di risposta; sperimentano anche una crescente distraibilità, insieme a problematiche nella capacità di attenzione. Non è raro riscontrare ipersensibilità agli stimoli esterni e incapacità nel gestire simultaneamente molteplici mansioni.

Un altro significativo effetto collaterale è il rallentamento delle capacità psicomotorie: questo fenomeno si configura come una diretta conseguenza del danno assonale diffuso che incide negativamente sui risultati ottenuti nei vari test cognitivi dedicati all’attenzione. Le abilità esecutive—composte dalla pianificazione necessaria alla regolamentazione comportamentale—si rivelano ugualmente compromesse nelle persone affette da tale condizione neurologica. Questi soggetti presentano, dunque, sfide nel mantenere alta la concentrazione su periodi estesi o nel seguire attività multiple simultaneamente; risultano talvolta meno abili nell’autoregolarsi o manifestano debolezze critiche in termini giuridici e astratti. Un punto cruciale da sottolineare è come le limitazioni relative alle funzioni esecutive siano maggiormente pronunciate durante eventi poco familiari o privi della struttura rigida tipica degli ambienti clinici standardizzati.

Per procedere alla valutazione delle proprie condizioni cognitive si impiegano frequentemente strumenti quali i test dedicati alla fluidità verbale o quelli orientati verso il disegno e infine la selezione concettuale tramite procedure come il Wisconsin Card Sorting Test. In presenza di difficoltà cognitive è comune riscontrare anche una serie di sintomi di natura emotiva e affettiva. Tra questi figurano l’irritabilità, il forte senso di stanchezza, le alterazioni del sonno, una riduzione della libido nonché un’astenia generalizzata. In situazioni caratterizzate da trauma cranico severo emergono frequentemente problematiche legate all’emozionalità (si può assistere a un’apparente disaffezione o a stati d’euforia), così come a livello motivazionale (bassa attivazione volitiva accompagnata da apatia o inerzia) ed ancora più nel comportamento (si notano atteggiamenti perseverativi o aggressivi con difficoltà a controllare certe reazioni).

Il processo terapeutico denominato riabilitazione neuropsicologica si configura dunque come un itinerario complesso che ha inizio con esercizi volti all’orientamento temporale-spaziale insieme alla presa di coscienza della condizione patologica prima di procedere nella rieducazione mirata delle capacità cognitive specifiche. Il programma prevede sessioni quotidiane; quando ci sono problematiche comportamentali è possibile implementare tecniche fondamentalmente comportamentali caratterizzate dal principio del rinforzo positivo. Gli studi recenti hanno messo in luce come la stimolazione anticipata associata ad approcci multidisciplinari possa rivelarsi cruciale al fine di migliorare i risultati nel recupero. [Neuronup].

StatisticheNel mondo industrializzato, si stima che da 100 a 300 persone su 100.000 subiscano un TBI ogni anno, con un tasso di mortalità del 40-50% nei casi gravi.
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  • 💡 EMDR: una speranza concreta per chi ha subito traumi......
  • 😔 Trauma cranico: le conseguenze sulla memoria sono devastanti......
  • 🧠 Plasticità cerebrale: il cervello si riorganizza, ma a che prezzo?......

L’EMDR come strategia di intervento

Il trauma, sia esso risultato da esperienze fisiche avverse oppure psicologiche destabilizzanti, può generare cicatrici durevoli, specialmente dopo situazioni critiche come gli incidenti stradali. Tali eventi frequentemente danno luogo a quello stato noto come Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS). All’interno della vasta gamma dei trattamenti disponibili per le manifestazioni legate al trauma spicca la tecnica EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing), la quale ha mostrato risultati significativi nell’aiuto all’elaborazione dei ricordi difficili e alla comprensione personale degli stessi. Fondamentalmente basata sul principio dell’elaborazione dell’informazione—questo approccio agisce su disordini causati da esperienze fortemente stressogene—include anche quelli conseguenti a prolungate ospedalizzazioni e traumi derivati dagli incidenti stradali.

Questa pratica terapeutica richiede al paziente l’impegno nella concentrazione su uno specifico episodio traumatico mentre riceve indicazioni dal professionista riguardo alla conduzione attraverso una serie sistematica di stimolazioni bilaterali o movimenti oculari. Tale dinamismo non solo facilita l’attivazione delle naturali capacità cognitive del cervello, ma anche favorisce una modalità più sana ed efficace per affrontare e rielaborare i traumatismi passati. Studi recenti hanno evidenziato come l’EMDR, acronimo che sta per Eye Movement Desensitization and Reprocessing, dimostri una velocità superiore nell’ottenere risultati rispetto alle tradizionali tecniche terapeutiche come la Cognitive Behavioral Therapy (CBT).

La forza dell’EMDR, infatti, è correlata alla sua abilità nel mitigarne i segnali patologici legati ai traumi: non solo pensieri indesiderati ma anche stati d’ansia acuta, ipervigilanza e risposte corporee anomale. Situazioni difficili immediatamente dopo eventi traumatici—caratterizzate da sensazioni surreali o momentanee esperienze dissociative—possono essere gestite attraverso la pratica specifica dell’EMDR. I tempi richiesti per il trattamento oscillano notevolmente a seconda della natura complessa dei traumi affrontati così come dell’intensità dei sintomi presentati; questi periodi possono andare da brevi sessioni concentriche in 1-3 mesi fino a trattamenti prolungabili oltre l’arco annuale. Da evidenziare è anche che, l’EMDR trova frequentemente applicazione all’interno di una rete diagnostico-terapeutica multilivello: in special modo durante il soccorso psicologico primario rivolto ai sinistrati stradali. Occorre combinare tale tecnica terapeutica con approcci complementari adeguatamente selezionati.

Adottando una metodologia collaborativa capace di includere strumenti diversi, e.g., la riabilitazione neuropsicologica finalizzata ai deficit cognitivi abbinandoli agli effetti positivi dell’EMDR nella rielaborazione emotiva del trauma, i margini d’intervento aumentano significativamente. Il trattamento del trauma cranico lieve trova nelle sue linee guida fondamentali—basi informative, formazione, supporto psicologico, terapia cognitiva, colloqui con familiari e attività di monitoraggio—un’efficace struttura che può essere ulteriormente ampliata attraverso l’implementazione della metodologia terapeutica chiamata EMDR. Quest’ultima diventa particolarmente pertinente nel caso emergano sintomi quali una pronunciata reattività emotiva o comportamentale: esempio tipico è l’insorgere di stati d’ansia, “riscontri sull’umore irritabile” , o episodi di depressione. Questi stati possono presentarsi in modo significativo anche in assenza di segni clinici evidenti. La pratica dell’EMDR permette la rielaborazione delle esperienze avverse vissute dagli individui, sostenendo così un recupero più integrato ed esaustivo del loro evento traumatico all’interno della propria narrazione biografica.

Un percorso complesso verso il recupero

La ripresa dopo un trauma cranico è un viaggio arduo e complesso che coinvolge profondamente tanto il soggetto colpito quanto i membri della sua famiglia; ciò risulta particolarmente vero in occasione di eventi gravi quali gli incidenti motociclistici. A livello globale nei paesi industrializzati, si stima che tra le 100 e le 300 persone su ogni 100.000 abbiano esperienza annuale con lesioni cerebrali traumatiche (TBI), delle quali circa il 5-7% raggiunge forme gravi, presentando tassi mortali compresi tra il 40% ed il 50%. I soggetti superstiti affrontano molteplici deficit funzionali: dalle limitazioni motorie alle difficoltà legate alla memoria o alla gestione dello stress; inoltre ci sono anche disturbi emotivi significativi capaci di influenzare profondamente l’identità personale e i rapporti interpersonali. La divergenza osservata fra quanto lamentato dai pazienti rispetto ai risultati degli esami clinici può generare frustrazione nonché incomprensione nella società; tale conflitto prende forma nell’ambito della cosiddetta sindrome soggettiva del trauma cranico lieve.

Questo contesto è caratterizzato da segni aspecifici – come mal di testa, vertigini, nausea oltre a alterazioni del sonno – oltre a difficoltà sostanziali nel mantenere l’attenzione. Tali sintomi possono tuttavia avere effetti drammaticamente destabilizzanti sulla quotidianità del paziente non solo nelle dinamiche familiari ma anche sul proprio rendimento lavorativo o accademico. Nel quadro delineato da queste considerazioni cliniche specifiche emerge l’importanza cruciale della terapia psicologica mirata. Quest’ultima deve infondere nel paziente una speranza riguardo al suo percorso di recupero, accompagnandolo in maniera educativa nella gestione graduale del processo riabilitativo.

Un concetto fondante della psicologia cognitiva adatta a tale contesto afferma che la memoria rappresenta un sistema multifunzionale e interrelato piuttosto che un semplice magazzino lineare. Infatti, le sue dimensioni – incluse quelle quali memoria a breve termine o lunga durata; episodica o semantica – possono subire danni selettivi in seguito ad eventi traumatici cranici. Pertanto si comprende per quale ragione alcuni individui possano perdere la capacità mnestica riguardante episodi recenti pur mantenendo ricordi passati intatti oppure viceversa. Analogamente si rivela possibile preservare i ricordi legati ai dati fattuali (memoria semantica) anche quando quelli personali relativi agli avvenimenti vissuti (memoria episodica) appaiano alterati. È attraverso tali sfide cognitive che opera il campo della riabilitazione neuropsicologica.

Altre indagini approfondite nell’ambito della psicologia comportamentale pongono l’accento sul fenomeno sorprendente della plasticità cerebrale, che tuttavia possiede dei limiti intrinseci. Dopo un trauma, il cervello tenta di riorganizzarsi per compensare i danni. Tuttavia, questo processo di riorganizzazione può essere influenzato da fattori come la gravità del trauma, l’età del paziente, la riserva cognitiva preesistente e la qualità dell’intervento riabilitativo. La riabilitazione non si limita a “curare” il danno, ma mira a “ricostruire” nuove reti neurali o a potenziare quelle superstiti, spesso attraverso l’apprendimento di strategie compensatorie. La mancanza di consapevolezza delle proprie difficoltà, frequente nei pazienti con TBI, rende questo processo ancora più arduo, poiché la motivazione e la partecipazione attiva del paziente sono cruciali.

Human brain with highlighted areas

È interessante riflettere su come la mente umana, di fronte a un’aggressione così violenta come un trauma cranico, cerchi disperatamente di ritrovare un equilibrio, a volte riorganizzando i ricordi in modi inaspettati, come nel caso di Luciano che viveva nel 1980. Questo ci ricorda la profonda e misteriosa connessione tra il cervello fisico e l’identità personale, e quanto sia essenziale un approccio empatico e personalizzato nel lungo e faticoso viaggio verso il recupero.

Glossario:
  • Trauma Cranico (TCE): danno a carico del cranio e/o dell’encefalo secondario a un evento fisico.
  • EMDR: terapia psicoterapeutica per il trattamento di traumi attraverso movimenti oculari.
  • Plasticità Cerebrale: capacità del cervello di riorganizzarsi e formare nuove connessioni dopo un danno.
Tipo di Trauma Cranico Gravità Trattamento
Trauma Cranico Lieve Minima Osservazione e monitoraggio
Trauma Cranico Moderato Moderata Intervento riabilitativo
Trauma Cranico Grave Severa Trattamento multidisciplinare

A human brain, side view


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