- Circa il 5,3% degli israeliani, pari a 520.000 persone, a rischio di disturbi post-traumatici.
- Assistenza a 6.400 soldati dal ministero della Difesa, 3 volte il 2022.
- Importanza relazioni intergenerazionali e insegnamenti dei sopravvissuti alla Shoah.
Trauma collettivo e salute mentale: una prospettiva approfondita sul caso israeliano
Il conflitto israelo-palestinese possiede origini profondamente incise nella storia ed è contraddistinto da continue esplosioni di violenza. Tale scenario si rivela particolarmente idoneo per esaminare il fenomeno del trauma collettivo, così come le sue implicazioni sulla sanità mentale. I drammatici eventi del 7 ottobre 2023 — contrassegnati dagli assalti perpetrati da Hamas seguiti dalla risposta israeliana — hanno riportato alla luce traumi mai completamente superati e sollevano interrogativi cruciali riguardo al nesso fra trauma, memoria e violenza. Le dinamiche in gioco spingono ad interrogarsi su: Come è possibile che una popolazione gravata dal peso della sofferenza riesca a convertirlo in strumenti d’oppressione? E ancora: perché il ricordo dei dolori vissuti non riesce a impedire il verificarsi di ulteriori atrocità? La questione è se un trauma irrisolto possa passare attraverso le epoche successive creando risposte collettive sempre più tossiche. La crudeltà mostrata durante l’offensiva contro Gaza ha suscitato fortissimi sentimenti nell’opinione pubblica globale. Tuttavia, sembra che tali sentimenti siano assenti o assai attenuati all’interno della società israeliana e nelle comunità giudaiche sparse nel globo. In opposta direzione, il panorama si presenta con una reazione auto-giustificativa, dove si afferma che la violenza sia l’unico rimedio ammissibile per affrontare ciò che viene percepito come una *minaccia esistenziale. Questa situazione non può fare a meno di suscitare domande ardue dal punto di vista etico e psicologico sui limiti da tracciare fra il concetto di sicurezza e quello di dominio.

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La trasmissione transgenerazionale del trauma
Numerosi studi sia clinici sia storici offrono evidenze significative riguardo alla trasmissione transgenerazionale del trauma psichico. Un esempio emblematico è quello degli Stati Uniti, dove permangono ancora oggi i segni psicologici della schiavitù tra la popolazione afroamericana. La ricerca in ambito biologico si è occupata da tempo del tema dell’eredità epigenetica transgenerazionale, cercando di stabilire se esista una vera e propria impronta biologica legata ai traumi vissuti dai progenitori. Una recente indagine condotta da Mulligan (2025) ha rivelato come adulti e bambini siriani, che sono stati testimoni diretti delle violenze durante gli anni ’80 e successivamente dal 2011 in poi, mostrassero particolari marcatori epigenetici in specifiche aree del loro DNA. In particolare, nel caso analizzato di una donna che aveva assistito a tali atrocità negli anni ’80, è emerso come tali marcature fossero state trasmesse alla figlia e ai nipoti. Notabile è il fatto che nel gruppo controllo non siano state osservate simili modifiche epigenetiche.
In merito al contesto israeliano, la Shoah funge da evento fondativo della memoria collettiva, rivestendo un ruolo cruciale anche sul piano identitario e politico. Quando la Shoah si trasforma nel nucleo dell’identità, può dare origine a un “contratto narcisistico collettivo”, un meccanismo in cui l’aver subito sofferenze diventa il pilastro dell’identità e giustifica in modo assoluto ogni forma di autodifesa. Questo processo rischia, tuttavia, di portare a una santificazione del dolore che ostacola l’elaborazione del lutto.
Il concetto di patto narcisistico si rivela utile per comprendere la trasmissione inconsapevole di oneri psichici non scelti. Tale accordo mentale inconscio si instaura tra un individuo (tipicamente un bambino) e le generazioni traumatizzate che lo hanno preceduto (genitori, famiglia, gruppo sociale). In cambio dell’affetto, della protezione e del senso di appartenenza, l’individuo si assume il peso di esperienze che non gli appartengono direttamente, come un trauma ereditato, un ideale perduto, un senso di colpa o un lutto irrisolto.
L’impatto sulla salute mentale e le sfide del sistema sanitario israeliano
Le conseguenze degli eventi avvenuti il 7 ottobre si sono rivelate profondamente incisive sul benessere psicologico degli israeliani. Secondo una ricerca statistica, si stima che circa il 5,3%, ovvero più di 520.000 cittadini, possa sviluppare sintomi riconducibili a disturbi da stress post-traumatico correlati sia ai tragici eventi accaduti che al conflitto attuale con Gaza. Non sorprende quindi che le principali associazioni operanti nel settore della salute mentale abbiano riportato una crescita senza precedenti nelle richieste relative all’utilizzo di sonniferi e tranquillanti.
Il sistema sanitario del paese ha dovuto far fronte a una crescente richiesta d’assistenza psichica dopo la fatidica data del 7 ottobre; l’intera nazione è stata suddivisa in 12 zone specifiche, con ogni struttura ospedaliera incaricata dell’assistenza a una determinata area geografica. Sono state adottate misure straordinarie per fronteggiare tale emergenza: apertura immediata di nuovi ambulatori e coinvolgimento attivo anche dei medici andati in pensione. La struttura responsabile per la riabilitazione psichiatrica presso il ministero della Difesa ha fornito assistenza a più di 6.400 soldati dall’inizio dell’attuale conflitto armato contro Gaza; questo rappresenta una cifra tre volte maggiore rispetto al numero complessivo dei veterani affetti da traumi curati nell’anno 2022. Il professor Eyal Fruchter, alla guida dell’ospedale per malattie mentali Ma’ale Hacarmel, si dedica all’analisi delle implicazioni dello stress post-traumatico tra i militari coinvolti nei combattimenti. Egli sostiene fermamente che sia fondamentale assistere i sopravvissuti affinché possano esprimere le loro esperienze; ciò deve avvenire con tempestività e incoraggiando un approccio attivo che favorisca il ritorno a una condizione di normalità. In aggiunta, ha rimarcato l’importanza della formazione di ciascun soldato nel prendersi carico dei compagni feriti in battaglia.
Oltre il trauma: la possibilità di elaborazione e riconciliazione
Nonostante il quadro complesso, è fondamentale ricordare che il trauma, per quanto pervasivo, non è un destino. La “servitù inconscia” del patto narcisistico può essere superata tramite la validazione simbolica, la condivisione delle esperienze e il processo di elaborazione del dolore. Esperienze storiche come la Commissione sudafricana per la verità e la riconciliazione dimostrano che l’elaborazione pubblica del dolore collettivo può aprire la strada alla trasformazione.
La sfida attuale consiste nel creare un ambiente propizio per spezzare il legame identitario radicato nel trauma e favorire la costruzione di una memoria che abbracci molteplici prospettive, con il sostegno di individui e gruppi, sia interni che esterni, disposti ad accogliere e gestire la complessità delle ferite senza renderle intoccabili.
Resilienza e speranza: un futuro possibile
L’animo resiliente del popolo israeliano si manifesta in modo straordinario nell’affrontare prove così gravose. Malgrado gli strazianti conflitti e il continuo clima d’incertezza, le famiglie perseverano nella crescita dei propri figli: i piccoli frequentano regolarmente le scuole. La grande sfida resta quella di garantire assistenza medica adeguata al maggior numero possibile di individui, facendo ampio uso della telemedicina nonché della medicina remota. È essenziale dare priorità al sostegno della salute mentale infantile, affinché questi ragazzi possano mantenere una parvenza di normalità nelle loro vite quotidiane. In questo contesto, il professor Hilik Levkovitch ha messo in evidenza quanto siano vitali le relazioni intergenerazionali per i giovani; egli ha richiamato l’attenzione sull’apprendimento che avviene dalle esperienze accumulate da coloro che li hanno preceduti nel tempo. Egli ha inoltre sottolineato come i discendenti dei sopravvissuti alla Shoah, fortemente influenzati dall’insegnamento paterno su come affrontare ostacoli terribili, abbiano acquisito competenze preziose che possono ora essere condivise con coloro che si trovano ad affrontare difficoltà analoghe nel presente.
Un’etica della cura per superare il trauma collettivo
La ferita causata dal trauma collettivo è particolarmente profonda; essa ha la capacità non solo di colpire gli individui ma intere comunità nel loro insieme. Per quanto concerne il popolo israeliano, l’impatto della Shoah ha creato un’eredità complessa: si avverte costantemente una minaccia latente accompagnata dalla difficile gestione del lutto perdurante nel tempo. In questo scenario complicato emergono la psicoanalisi e la psicologia sociale come discipline cruciali nella decifrazione delle dinamiche sottese alla violenza perpetrata a lungo termine.
Le basi dell’approccio cognitivo, secondo quanto riportato dagli studiosi del settore mentale umano, mettono in luce il fatto che i modelli mentali radicati possono pesantemente alterare le nostre percezioni delle situazioni quotidiane. La mancanza dell’elaborazione necessaria dei traumi passati rischia pertanto d’incunearsi nei processi decisionali, dando vita a meccanismi cognitivi distorti insieme ad atteggiamenti poco funzionali rispetto al contesto circostante.
Secondo intuizioni più approfondite derivanti dall’ambito della psicologia comportamentale, risulta evidente che strategie mirate come l’esposizione graduale agli elementi scatenanti legati ai traumi — attuata con approcci metodici — possono fornire supporto efficace per rimodellare questi schemi problematici oltre a ridurre notevolmente ansie e timori persistenti nelle persone interessate. L’iter necessario per affrontare questa problematica esige tempo, pazienza, ed è essenziale disporre di un ambiente che favorisca tali dinamiche; tuttavia, tale percorso può rivelarsi fonte di una guarigione non solo superficiale ma anche profonda nel lungo termine.
Concentriamoci su come ognuno possa contribuire alla formazione di una comunità improntata alla consapevolezza e alla compassione. In questo spazio ideale, i traumi vissuti non si traducono in condanne definitive; al contrario, offrono lo spunto per trasformare esperienze dolorose in opportunità di crescita personale. È fondamentale ricordare che cura, empatia* ed abilità nell’ascolto costituiscono le armi più efficaci nel contrasto della violenza sociale mentre si lavora attivamente verso la realizzazione di un futuro sereno improntato alla pace e alla riconciliazione.
- Comunicato del Consiglio UE sulle sanzioni a seguito degli attacchi del 7 ottobre.
- Pagina Wikipedia sull'attacco di Hamas, utile per ricostruire gli eventi.
- Approfondimento psicoanalitico sul trauma collettivo nel contesto israelo-palestinese.
- Approfondimenti sull'impatto del conflitto di Gaza sulla salute mentale infantile.