Tragedie in montagna: il grido d’allarme sulla percezione del rischio

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  • Nel 2023, il Soccorso Alpino ha effettuato 12.349 missioni di soccorso.
  • Il 20% dei pazienti ospedalizzati ha sviluppato sintomi da PTSD.
  • La «montagnaterapia» migliora la salute cardiovascolare e riduce lo stress.

L’imponenza delle montagne suscita fortemente sentimenti di avventura e libertà; tuttavia tali bellezze nascondono insidie profonde che possono rapidamente tramutarsi in situazioni drammatiche a causa di percorsi erroneamente valutati. Un mese orsono, il Soccorso Alpino ha effettuato un intervento fatale sulle pendici del Monviso, dove sono stati rinvenuti senza vita due alpinisti: un uomo e una donna erano partiti nella giornata del 9 giugno con la volontà di raggiungere il bivacco Villata per poi tentare l’ascensione attraverso il canale Coolidge. La loro scomparsa è stata segnalata dai familiari attorno alle 22 dello stesso giorno; da quel momento è iniziata una frenetica operazione di ricerca culminata tragicamente con la scoperta dei cadaveri nel suddetto canalone. Questo evento mette nuovamente in luce quanto possa essere vulnerabile l’esistenza umana in luoghi così potenti e imprevedibili.

In questo contesto critico si colloca anche una serie recente di incidenti nelle Alpi italiane: sempre lo scorso mese tre operazioni sono state eseguite dal soccorso alpino nel Friuli a causa di situazioni d’emergenza. Inoltre, quattro mesi fa sui Corni di Canzo – località della provincia di Como – Guido Valli, sessantaduenne appassionato dell’outdoor, ha perso la vita dopo essere scivolato lungo un sentiero arduo. Non meno drammatica la situazione verificatasi sei mesi fa, quando una valanga a Punta Valgrande ha causato diverse vittime, tra cui un campione di vela, scuotendo la comunità degli appassionati di montagna.

Statistiche Recenti sugli Incidenti Montani: Nel 2023, il Soccorso Alpino ha effettuato 12.349 missioni di soccorso, con 491 persone decedute. Le principali cause degli incidenti comprendono:
  • Cadute o scivolate (45,9%)
  • Incapacità durante l’attività (25,5%)
  • Malore (12,1%)
  • Maltempo (4,3%) e altro (incluso shock anafilattico)

Questi eventi non sono isolati. Sette mesi fa, nel gruppo dell’Adamello, è stata ritrovata la salma di uno dei due escursionisti britannici dispersi, e le ricerche per l’altro continuano. Otto mesi fa, un incidente in parete ha richiamato l’attenzione sulla delicata bilancia tra rischio, tempo e sicurezza, un tema fondamentale per chi pratica attività in quota. Circa nove mesi orsono, un pomeriggio contrassegnato da una laboriosa operatività ha visto il Suem 118 confrontarsi con due incidenti fatali che hanno messo in evidenza quanto sia indispensabile la preparazione oltre alla consapevolezza nelle situazioni d’emergenza. Più recentemente, soltanto due mesi fa si è riaffermata l’essenzialità dell’apprendimento delle corrette procedure per invocare aiuto e facilitare i soccorsi durante momenti critici. Questa situazione rimarca quindi fortemente il significativo apporto dato dalla conoscenza alla prevenzione.

Le sopracitate disgrazie alimentano interrogativi complessi riguardo alla natura psicologica degli individui in circostanze altamente rischiose. Seppur dotati di strumentazione tecnica all’avanguardia ed abbiano acquisito nozioni sempre più dettagliate sulle dinamiche caratteristiche degli ambienti montani, gli episodi problematici persistono nel tempo. La questione non risiede frequentemente nell’assenza di abilità specifiche, bensì nella distorsione della percezione del rischio. Anche alpinisti esperti talvolta sono influenzati da euristiche cognitive: semplificazioni mentali capaci di portare a valutazioni distorte riguardo all’occorrenza possibile di un evento negativo. Situazioni quali un’eccessiva autoconfidenza circa le proprie capacità tecniche oppure la tendenza a sottovalutare segnali meteorologici avversativi provocati dall’ambiente naturale o ancora le pressioni socializzanti interne al gruppo comportano scelte potenzialmente dannose. Il rischio residuo, sempre presente in natura, viene talvolta sottovalutato, e la percezione individuale del pericolo non sempre coincide con la realtà oggettiva. È in questa discrasia che si annidano le radici di molti infortuni.

La sicurezza in montagna, pertanto, non è solo una mera questione di prevenzione tecnica, ma una vera e propria filosofia di vita che richiede una cultura del rischio consapevole, da trasmettere e radicare fin dalle giovani generazioni.

Man hiking in the mountains.

Il peso invisibile: il trauma psicologico su soccorritori e vittime

Gli incidenti in montagna non lasciano solo segni fisici, ma scavano profonde ferite psicologiche sia nelle vittime dirette che nei soccorritori. Il 20% dei pazienti ospedalizzati che hanno subito un incidente in montagna intervistati ha sviluppato sintomi compatibili con un disturbo da stress post-traumatico (PTSD). Questo dato allarmante evidenzia l’urgente necessità di un supporto psicologico sistematico per coloro che sopravvivono a eventi traumatici in ambienti impervi.

Supporto ai Soccorritori: La psicologia delle emergenze è fondamentale per fornire supporto a chi affronta situazioni critiche. Gli operatori del Soccorso Alpino devono affrontare trauma vicario, un fenomeno di traumatizzazione causato dall’esposizione alla sofferenza altrui.

Il PTSD si manifesta con un insieme di sintomi che possono includere flashback intrusivi, incubi ricorrenti, evitamento di situazioni o luoghi che ricordano l’evento, alterazioni negative dell’umore e della cognizione, e ipervigilanza. Nonostante i significativi vantaggi per la salute mentale, le montagne si trasformano in uno spazio di sconforto e ansia per queste persone; una metamorfosi tale da compromettere la loro abilità nel godere delle attività outdoor amate fino a poco tempo prima.

Allo stesso modo, persino i soccorritori – figure professionali preparate ad affrontare situazioni critiche – corrono il rischio notevole di incorrere in stress post-traumatico. Secondo la psicologia dedicata alle emergenze catastrofiche, è possibile che costoro vivano quella condizione nota come trauma vicario: una forma particolare di traumatizzazione scaturita dall’inevitabile esposizione agli stati d’animo perturbati degli altri individui. Il processo stesso di prestazione d’aiuto a individui feriti o già privi di vita richiede spesso operosità in contesti ambientali ostili ed elevatamente complessi dal punto di vista tecnico; tali circostanze possono scatenare reazioni psicologiche così forti da superare il limite personale tollerabile per ciascuno. Queste professioni comportano quindi una duplice gestione: tanto dell’aspetto traumatico del ritrovamento delle salme quanto dell’emozione evidente nei familiari afflitti dalla perdita dei propri cari.

La gestione emotiva dell’emergenza è diventata una componente sempre più riconosciuta e fondamentale nella formazione dei tecnici del Soccorso Alpino, con corsi specifici dedicati alla psicologia dell’emergenza.
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Strategie di recupero mentale: percorsi verso la resilienza

Il recupero mentale dopo un incidente in montagna o dopo una prolungata esposizione a eventi traumatici non è un processo lineare, ma un percorso che richiede tempo, supporto e strategie mirate. Fortunatamente, la montagna stessa, che può essere fonte di trauma, può anche rivelarsi uno straordinario strumento di cura e riabilitazione psichiatrica. La “Montagnaterapia” è un approccio terapeutico, riabilitativo e socio-educativo innovativo, che utilizza l’ambiente montano come setting ideale per il recupero della salute fisica e mentale.

Benefici della Montagnaterapia: Le escursioni in montagna possono migliorare la salute cardiovascolare, ridurre lo stress e l’ansia, migliorare la qualità del sonno e aumentare la fiducia in se stessi. La ricerca scientifica indica come trascorrere tempo immersi nella natura possa mitigare il livello di stress, elevare l’umore, e potenziare sia la concentrazione che l’inventiva.

I parchi montani, con la loro bellezza e la loro forza terapeutica, offrono un ambiente accogliente e competenze specifiche per favorire l’evoluzione dei percorsi di recupero. Non importa se ci si dedica a passeggiate immerse nella natura, escursioni più leggere o attività specifiche: il legame con il territorio alpino esercita un’influenza considerevolmente benefica sulla nostra sfera mentale. Questo aiuto si traduce nell’alleviare i segnali d’ansia e depressione, nel favorire un umore migliore ed infine nell’aiutare a riacquisire una percezione positiva delle proprie capacità.

Studi recenti nel dominio della psicologia del benessere rivelano che coloro i quali vantano una notevole familiarità con la montagna hanno maggiori probabilità di riprendersi efficacemente dopo un incidente. Questa informazione mette in evidenza quanto sia cruciale non solo essere tecnicamente preparati ma anche possedere una solida forza interiore: questo tipo di resilienza tende ad emergere attraverso esperienze dirette che portano alla consapevolezza dei propri limiti personali oltre alle risorse disponibili.

Nell’ambito delle pratiche utili al fine della gestione dell’ansia (inclusa quella scaturente dalla necessità del recupero post-traumatico), emerge come fondamentale riconoscere gli indizi fisici ed emotivi derivanti dalla paura; sfruttando al contempo tecniche approfondite relative alla respirazione ed esercizi dedicati al relax, possono attuarsi metodi efficaci contro episodi acuti d’ansia. Infine, è consigliabile adottare piani strategici volti alla risoluzione creativa dei problemi quando ci si trova ad affrontare imprevisti nei momenti critici. La riabilitazione, sia fisica che mentale, deve prevedere un approccio olistico che consideri la persona nella sua interezza, fornendo strumenti per affrontare il passato traumatico e costruire un futuro più sereno.

Montagnaterapia: Un approccio utile per migliorare la salute e il benessere, utilizzando la montagna come ambiente di cura.

Oltre la vetta: la montagna come maestra di vita e di resilienza

La montagna, con la sua imponenza e la sua indomabile natura, ci offre non solo sfide, ma anche lezioni di vita inestimabili. Ogni incidente, per quanto doloroso, diventa un’opportunità di profonda riflessione non solo sui pericoli oggettivi, ma soprattutto sui complessi meccanismi della mente umana che ci spingono verso l’ignoto o che ci mettono alla prova.

Da una prospettiva di psicologia cognitiva, possiamo comprendere come la percezione del rischio non sia un’equazione matematica, ma piuttosto un processo influenzato da bias e euristiche. Spesso, la familiarità con un ambiente – che sia la montagna o un contesto lavorativo – può generare una sensazione di controllo illusoria, portandoci a sottovalutare i pericoli reali. È il classico esempio della “distorsione ottimistica”, dove tendiamo a credere che gli eventi negativi siano più probabili per gli altri che per noi stessi. Questo non significa che dobbiamo vivere nella paura, ma piuttosto coltivare una consapevolezza acuta, una sorta di “umiltà cognitiva” che ci ricordi che la natura è potente e richiede rispetto, sempre.

Andando più in profondità, la psicologia comportamentale ci insegna come le nostre decisioni in situazioni ad alto rischio siano guidate non solo dalla razionalità, ma anche da risposte emotive e condizionate. Il “comportamento a rischio”, in un contesto montano, può essere alimentato da una ricerca di sensazioni forti, dal desiderio di superare i propri limiti, o persino dalla pressione sociale implicita in un gruppo. Questi comportamenti, se non controbilanciati da una rigorosa autovalutazione e da una pianificazione attenta, possono condurre a esiti infausti. La chiave è imparare a riconoscere questi schemi comportamentali e adottare strategie proattive per mitigarne gli effetti.

Infine, l’esperienza del trauma, sia per chi lo subisce direttamente che per chi è chiamato a fornire aiuto, ci svela la straordinaria plasticità della mente umana e la sua innata capacità di resilienza.

Ricorda che il trauma non è una condanna permanente, ma un evento che può essere elaborato e che, attraverso il supporto psicologico e le giuste strategie di coping, può trasformarsi in un catalizzatore di crescita. La vastità della montagna rappresenta un rifugio privilegiato dai ritmi incalzanti della vita moderna. Essa si propone come un’alleata straordinaria nel cammino verso la guarigione. Questo scenario naturale ci esorta a ristabilire il legame con il nostro io profondo, cercando un momento di serenità nell’abbraccio del silenzio circostante. È lì che possiamo riappropriarci delle nostre potenzialità nascoste, quelle stesse risorse interiori che molte volte ignoriamo o sottovalutiamo.

Glossario

Glossario:
  • PTSD: Disturbo da stress post-traumatico, una condizione mentale che può insorgere dopo un evento traumatico.
  • Montagnaterapia: Un metodo terapeutico che utilizza l’ambiente montano per migliorare la salute mentale e fisica.
  • Trauma vicario: Una forma di stress che deriva dall’esperienza di assistere alla sofferenza di altri.

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