Tecnostress: L’onda oscura della digitalizzazione minaccia la salute mentale dei lavoratori!

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  • 40% dei dipendenti italiani sperimenta intense pressioni o carichi di lavoro.
  • Il 73% dei lavoratori italiani usa quotidianamente computer o dispositivi portatili.
  • Oltre 10.000 decessi all'anno in Europa sono causati dallo stress da lavoro.

La transizione verso l’era digitale comporta sia promesse che sfide significative. Sebbene le aspettative siano elevate in termini d’efficienza e innovazione professionale, emerge anche una sintomatica intensificazione della pressione psicologica sugli occupati sia in Italia che nel resto d’Europa. La ricerca denominata OSH Pulse 2025 dell’Agenzia europea per la sicurezza e salute sul lavoro (Eu-Osha), presentata durante le celebrazioni del 10 ottobre dedicate alla Giornata mondiale della salute mentale, mette chiaramente in evidenza questa evoluzione. È emerso che fenomeni quali digitalizzazione avanzata, automazione progressiva e impatti del cambiamento climatico rappresentano attualmente i principali fattori influenzanti la misurazione dei rischi associati alla salubrità negli ambienti lavorativi.

Le informazioni derivate da una campionatura composta da 1015 dipendenti italiani rivelano delle tendenze preoccupanti: infatti circa il 40% riferisce esperienze dirette riguardo a pressioni intense o carichi lavorativi considerevoli, mentre livelli simili lamentano altresì la bassa corrispondenza delle ricompense rispetto agli impegni sostenuti. Questi dati si collocano nel più ampio contesto europeo; secondo quanto riscontrato dalla medesima analisi, è stato osservato che uno su tre degli occupati corre rischi connessi ai mutamenti climatici; a ciò vanno poi aggiunti casi sempre più comuni di stress o eco-ansia non trascurabili. [EU-OSHA]

La pervasività della tecnologia è innegabile: il 73% dei lavoratori italiani utilizza quotidianamente computer o dispositivi portatili, mentre un terzo (33%) riceve istruzioni direttamente da sistemi automatizzati. Un aspetto particolarmente delicato è la presenza di tecnologie di sorveglianza, segnalata da un quarto degli intervistati, e l’impiego di strumenti che dettano ritmi e tempi di lavoro nel 57% dei casi. Tali innovazioni, se non adeguatamente governate, possono generare un senso di isolamento e pressione psicologica, con quasi la metà dei lavoratori che riferiscono di svolgere le proprie mansioni in solitudine, compromettendo il senso di appartenenza e la cooperazione tra colleghi.

In un’indagine condotta dalla Healthy Workplaces campagne 2023-2025, si rivela che il 44% dei lavoratori ritiene di sentire l’isolamento al lavoro aggravato dall’uso di tecnologie digitali.

Il lavoro remoto, in particolare, ha mostrato un’accelerazione significativa durante la pandemia, introducendo nuove criticità come l’erosione del capitale sociale e l’aumento delle disuguaglianze.

Le conseguenze di questa evoluzione digitale non si limitano agli aspetti organizzativi, ma incidono profondamente sulla salute mentale. La ricerca dell’Istituto sindacale europeo (Etui) presentata lo scorso 28 aprile, definisce lo stress da lavoro come una vera e propria “strage silenziosa”, responsabile di oltre 10.000 decessi all’anno in Europa. Tra questi, 6.190 sono attribuibili a coronaropatia e ben 4.843 a suicidi legati alla depressione lavorativa, dimostrando che i rischi psicosociali superano in gravità gli incidenti fisici (che nel 2022 hanno causato 3.286 morti nell’UE).

Questo scenario mette in luce come l’Intelligenza Artificiale (AI) e la robotizzazione, pur offrendo notevoli vantaggi in termini di produttività e flessibilità, possano generare nuovi rischi, tra cui guasti, comportamenti imprevedibili delle macchine, minacce informatiche e problemi ergonomici derivanti dall’uso di esoscheletri o dispositivi indossabili. La gestione algoritmica del lavoro e la connessione continua contribuiscono a un aumento significativo dello stress, del burnout e dei disturbi della salute mentale.

Nuove ricerche sull’uso dell’Intelligenza Artificiale evidenziano che la sua implementazione richiede attenzione verso la salute mentale dei lavoratori, con segnalazioni di aumento dello stress e dell’isolamento.

Le sfide del lavoro a distanza e la precarizzazione digitale

Il lavoro a distanza, esploso con la pandemia di COVID-19, ha introdotto nuovi paradigmi organizzativi che modificano profondamente le condizioni dei lavoratori e la loro salute mentale.

Secondo uno studio del think tank Bruegel, gli effetti del lavoro a distanza potrebbero portare a notevoli precarizzazioni nel mercato del lavoro.

Un’analisi approfondita condotta nel contesto post-pandemico ha rivelato come questa modalità lavorativa, pur offrendo flessibilità, contribuisca a una maggiore precarizzazione e a una serie di effetti negativi a lungo termine.

Il crowd-employment, ovvero il lavoro allocato tramite piattaforme online come le consegne a domicilio, rientra nella categoria del lavoro non-standard (NSW), che include anche contratti a tempo determinato e il lavoro part-time. Questo fenomeno è in crescita costante in Europa dal 1995, riflettendo una polarizzazione del mercato del lavoro con un aumento delle professioni altamente e poco qualificate, a discapito di quelle a media qualificazione. La frammentazione contrattuale, specialmente per chi opera su più piattaforme, rende difficile l’identificazione del datore di lavoro, compromettendo la contrattazione collettiva e l’applicazione delle normative sulla salute e sicurezza.

Il lavoro da remoto, inoltre, ha acuito tre tendenze significative: una concentrazione geografica dei lavoratori delle piattaforme online in Nord America, Europa e Asia meridionale; una polarizzazione tra aree rurali e urbane, con queste ultime che ospitano la maggioranza dei lavoratori digitali; e una marcata polarizzazione delle competenze, dove i professionisti con skill specializzate ottengono retribuzioni più elevate rispetto a chi affronta una concorrenza più ampia e salari più bassi.

Questi fattori, uniti alla mancanza di interazioni faccia a faccia, possono portare a una perdita di un ambiente fertile per le idee creative, indispensabili per l’innovazione, e in un’erosione del capitale sociale, con ripercussioni negative sulla capacità di networking e di scambio informale di conoscenze.

L’isolamento, emerso prepotentemente durante i lockdown, funge da analogia per comprendere gli effetti del lavoro a distanza sulla salute mentale.

Studi condotti in Spagna, Italia e Regno Unito hanno rivelato che una percentuale significativa della popolazione era a rischio per la propria salute mentale durante la pandemia: il 46% in Spagna, il 41% in Italia e il 42% nel Regno Unito. Fattori come la disoccupazione, la convivenza con più persone, la presenza di figli in età scolare a casa e la perdita di lavoro o guadagno hanno aumentato drasticamente lo stress psicologico. Al contrario, un reddito familiare elevato, la proprietà della casa senza mutuo, spazi abitativi ampi e le risorse per far fronte alle bollette, hanno avuto un effetto protettivo.

Un dato particolarmente rilevante è che il 47% degli intervistati ha riferito di aver avuto meno contatti professionali nelle quattro settimane precedenti il sondaggio rispetto al periodo pre-pandemico, con un impatto maggiore su chi era già in una posizione precaria nel mercato del lavoro. L’osservazione in questione consolida l’assunto relativo a una possibile diminuzione della rete sociale, derivante dall’isolamento professionale. Questo fenomeno evidenzia la necessità di sviluppare strategie che possano attenuare le conseguenze indesiderate.

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Strategie di resilienza e tutela: per un futuro del lavoro sano e sostenibile

Per contrastare gli effetti deleteri della digitalizzazione e del tecnostress, è imperativo sviluppare e implementare strategie di resilienza a livello sia individuale che organizzativo, trasformando la salute mentale in un pilastro fondamentale della prevenzione aziendale. Questo implica un approccio proattivo che vada oltre la semplice reazione ai problemi, promuovendo ambienti di lavoro più inclusivi, partecipativi e sostenibili.

L’indagine OSH Pulse 2025, infatti, rivela che il 43% dei lavoratori teme che parlare di salute mentale con i superiori possa compromettere la propria carriera, e solo il 57% riferisce l’esistenza di iniziative di sensibilizzazione in azienda.

L’accesso a percorsi di consultazione o counseling è limitato ad appena il 30% degli intervistati, evidenziando un divario significativo tra la consapevolezza del problema e le politiche di supporto concrete.

Una delle prime strategie è favorire l’alfabetizzazione digitale e la formazione continua. Molti lavoratori percepiscono il rapido progresso tecnologico come una minaccia, temendo di rimanere indietro o di essere sostituiti dalle macchine. Per questo, le aziende e i governi devono collaborare per offrire percorsi formativi che aggiornino le competenze digitali, rendendo la tecnologia un “alleato” plutôt qu’un “nemico”. Tale formazione dovrebbe includere non solo le hard skill, ma anche le soft skill come la gestione del tempo.

L’utilizzo di applicazioni e timer per la pianificazione delle attività, l’impostazione di promemoria e il blocco delle notifiche possono aiutare a gestire il carico di lavoro in modo più efficace, riducendo lo stress legato alle scadenze.

Un’altra strategia cruciale è promuovere la flessibilità lavorativa. La possibilità di conciliare vita personale e professionale, ad esempio attraverso il telelavoro o modalità ibride, porta a un aumento del benessere, della produttività e della fedeltà dei dipendenti. Liberarsi dall’obbligo di recarsi in ufficio ogni giorno permette di risparmiare tempo e di dedicarsi maggiormente a sé stessi e alla famiglia, riducendo significativamente i livelli di stress. Lo “smart working”, pur introducendo criticità, offre flessibilità e autonomia, elementi che vanno bilanciati con misure concrete per prevenire il burnout.

La resilienza, definita come la capacità di affrontare le avversità in modo propositivo, è una competenza chiave. Sviluppare la resilienza implica diverse pratiche: la consapevolezza emotiva (conoscere e gestire le proprie reazioni), una mentalità ottimistica (vedere le difficoltà come opportunità), il supporto sociale (costruire relazioni positive con colleghi), una gestione efficace del tempo e delle priorità, un apprendimento continuo, la capacità di gestire il feedback (positivo e negativo) e la pratica della mindfulness (meditazione e respirazione profonda per calmare la mente). Queste attitudini aiutano i lavoratori a mantenere la calma sotto pressione, a evitare il burnout e a mantenere il benessere mentale anche in situazioni difficili, prevenendo ansia e depressione legate al lavoro.

Le istituzioni hanno un ruolo fondamentale e il G7 Lavoro e Occupazione di Cagliari ha sottolineato la necessità di uno sviluppo e un utilizzo dell’AI che siano sicuri, trasparenti e centrati sull’uomo, contrastando l’aumento delle disuguaglianze e la compromissione della salute mentale.

Le organizzazioni internazionali come l’OIL e l’OCSE sono chiamate a monitorare questi progressi.

Inoltre, è essenziale estendere le tutele sociali a tutti i cittadini, indipendentemente dallo stato occupazionale, e integrare nella cultura aziendale il benessere dei lavoratori, offrendo controlli medici preventivi e formazione per riconoscere e affrontare lo stress nei colleghi.

Il rapporto OIL esplora le opportunità e i rischi dell’AI, evidenziando che i robot e l’automazione possono migliorare il benessere e la sicurezza, ma richiedono politiche proattive per governare i cambiamenti. La necessità di colmare le lacune normative a livello globale è chiara, e il coinvolgimento attivo dei lavoratori in tutte le fasi dell’introduzione delle tecnologie, con formazione e consapevolezza, è cruciale per un uso sicuro. L’iniziativa dell’OIL “Rivoluzionare la salute e la sicurezza sul lavoro: l’intelligenza artificiale e la digitalizzazione nel mondo del lavoro” per il 2025 mira proprio a far luce su questa trasformazione, affinché l’AI sia al servizio della giustizia sociale e del bene comune.

Affrontare il futuro: tra rischio e potenziale umano

L’attuale dibattito sull’impatto trasformativo della digitalizzazione e dell’AI sul mondo del lavoro non può prescindere da una profonda riflessione sulle capacità umane di adattamento e resilienza. Dal punto di vista della psicologia cognitiva, la percezione della minaccia che i lavoratori provano di fronte alla rapida evoluzione tecnologica e alla possibilità di essere sostituiti dalle macchine è un fattore chiave che alimenta lo stress e l’ansia. Questa percezione, pur basandosi su dati reali riguardo la riorganizzazione dei compiti, può essere modulata dalla disponibilità di strumenti di formazione e dall’adozione di un approccio che valorizzi la tecnologia come mezzo per potenziare le capacità umane anziché annullarle.

Un aspetto più avanzato, di carattere psicologico comportamentale, riguarda il concetto di “stanchezza dei cambiamenti organizzativi”. In un’epoca di trasformazioni continue, la necessità di acquisire costantemente nuove competenze e di adattarsi a ruoli sempre diversi può sovraccaricare le risorse cognitive ed emotive degli individui. Questo si manifesta non solo come stress, ma come una vera e propria fatica di fronte all’instabilità, che può portare a comportamenti di evitamento, riduzione della motivazione e, nei casi più gravi, a disturbi d’ansia o depressivi. È fondamentale che le politiche aziendali e pubbliche tengano conto di questa “soglia di tolleranza al cambiamento”, offrendo non solo formazione tecnica, ma anche sostegno psicologico per sviluppare l’agilità emotiva e la capacità di gestire l’incertezza.

Stimolare una riflessione personale significa riconoscere che il futuro del lavoro non è un destino predeterminato, ma un cammino che possiamo plasmare attivamente, valorizzando la nostra umanità, la creatività e la capacità di connessione, anche in un mondo sempre più mediato dalla tecnologia.

La disconnessione digitale, le “offline room” e il counseling per la riduzione dello stress tecnologico, sono tutti esempi tangibili di questo approccio proattivo, che mira a salvaguardare la dimensione umana del lavoro.

L’importanza dei videogiochi stessi, spesso demonizzati, viene evidenziata come strumento per combattere lo stress e migliorare la salute mentale, fornendo nuove prospettive sui benefici videoludici.

La “Offline Room” dell’Università Europea di Roma, in questo senso, rappresenta una sperimentazione che mira a riscoprire i benefici della disconnessione in un contesto lavorativo sempre più interconnesso.

Glossario:
  • AI: Intelligenza Artificiale, una tecnologia che simula le capacità cognitive umane.
  • Crowd-employment: Lavoro allocato tramite piattaforme digitali per la fornitura di servizi.
  • Telelavoro: Lavoro svolto da casa mediante strumenti tecnologici.
  • Hard skills: Competenze tecniche specifiche richieste per un lavoro.
  • Soft skills: Competenze interpersonali e comportamentali che influenzano il modo di lavorare.

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