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Supporto psicologico post-trauma: scopri perché l’Italia è in ritardo

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  • Il 22% delle persone traumatizzate sviluppa depressione, ansia o DPTS.
  • Benefici del trattamento DPTS possono durare fino a 12 mesi.
  • Manca un protocollo nazionale standardizzato per l'intervento immediato.

L’urgenza di un supporto psicologico post-trauma strutturato e duraturo

Eventi traumatici, siano essi catastrofi naturali, incidenti gravi o atti di violenza, lasciano ferite profonde non solo sul piano fisico, ma soprattutto su quello psicologico. Il dibattito attuale mette in luce una lacuna significativa nell’approccio italiano al supporto post-trauma: la mancanza di un sistema integrato e proattivo che vada oltre il primo intervento d’emergenza, garantendo un follow-up a lungo termine. La sofferenza derivante da un trauma è spesso imprevedibile e può evolvere in disturbi complessi, come il Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS), rendendo indispensabile una presa in carico continuativa e personalizzata. La recente enfasi sulla necessità di un protocollo che identifichi tempestivamente i sopravvissuti e attivi immediatamente team di psicologi esperti in trauma evidenzia una consapevolezza crescente, ma ancora insufficiente, sulla portata del problema.

Un approccio olistico, che preceda e integri terapie più strutturate, è fondamentale per prevenire l’effetto domino della sofferenza, dove una singola tragedia può innescare una serie di problematiche psicologiche persistenti. Il 22% delle persone che vive esperienze traumatiche sviluppa condizioni quali depressione, ansia e DPTS (OMS, 2022). Il concetto di “salvare vite” non si limita alla sopravvivenza fisica, ma si estende alla protezione dell’integrità mentale e al recupero di una qualità di vita accettabile per le vittime. Le organizzazioni che si occupano di tutela delle vittime suggeriscono che il peso del supporto psicologico non dovrebbe gravare esclusivamente sui servizi sociali comunali, già sovraccarichi, ma dovrebbe essere parte integrante di un piano nazionale di assistenza, supportato da fondi adeguati e da una volontà politica decisa.

Il confronto con modelli esteri, come quelli adottati negli Stati Uniti, dove squadre di protezione sono attive 24 ore su 24 per il primo intervento, rafforza l’idea che un cambiamento culturale e strutturale sia essenziale. È evidente che l’intervento psicologico immediato, soprattutto nella fase di crisi acuta post-trauma, è cruciale. Questa fase è caratterizzata da una fortissima reazione emotiva che, se non gestita adeguatamente, può cronicizzarsi, portando a isolamento, rabbia e un profondo senso di solitudine.

“Il conflitto tra la volontà di negare eventi orribili e quella di proclamarli ad alta voce è la dialettica centrale del trauma psicologico.” (J. Herman)

La psicoeducazione al trauma e la stabilizzazione sono i primi passi fondamentali in questo percorso, come suggerito anche dalla letteratura specialistica sui principi di trattamento del DPTS.

L’importanza del follow-up e i modelli innovativi

L’efficacia del primo intervento psicologico post-trauma è solo l’inizio di un percorso che richiede un follow-up a lungo termine per essere realmente risolutivo. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, molti approcci per il trattamento del DPTS sono stati studiati, ma l’evidenza suggerisce che la continuità del supporto è un fattore chiave per il mantenimento degli effetti positivi. Ad esempio, studi hanno dimostrato che i benefici del trattamento possono persistere fino a 12 mesi post-intervento, sottolineando l’importanza di un’assistenza prolungata.

La riabilitazione psicologica, in ambiti specifici come la cardiologia, integra interventi psicoeducativi, psicologici e psicoterapeutici per affrontare la diminuzione dello stress e migliorare la gestione emotiva. Questo modello, applicabile anche al contesto post-trauma, enfatizza la necessità di un approccio multidisciplinare e di un supporto che si adatti all’evoluzione delle esigenze del paziente.

Tipo di trattamento Descrizione Evidenza di efficacia
EMDR Eye Movement Desensitization and Reprocessing è un approccio terapeutico efficace nel rielaborare i ricordi traumatici. Studi dimostrano una riduzione significativa dei sintomi PTSD.
Terapia Cognitivo-Comportamentale Interventi focalizzati sulla gestione delle emozioni e ristrutturazione cognitiva. Risultati positivi in termini di coping e adattamento.
Terapia dell’Esposizione Narrativa (NET) Modello di terapia breve sviluppato per il trattamento del PTSD, focalizzato sulla narrazione e rielaborazione. Dimostrata efficacia nella modulazione dei sintomi PTSD, in particolare in popolazioni vulnerabili.

Le tecniche immaginative e l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) sono tra i modelli di intervento innovativi che stanno guadagnando sempre più terreno nel trattamento dei disturbi causati da esperienze traumatiche. Tuttavia, ciò che emerge è la necessità di integrare queste tecniche con strategie di supporto che accompagnino l’individuo nel tempo. Il follow-up non è solo una verifica dello stato di salute, ma un’opportunità per affrontare eventuali recidive, sostenere il paziente nelle sfide quotidiane e rafforzare le strategie di coping.

Il Primo Soccorso Psicologico è un intervento efficace in situazione di emergenza, che mira a ridurre il disagio iniziale e migliorare il benessere psicologico.

In questo contesto, il lavoro di gruppo emerge come un elemento fondamentale nella fase successiva ai colloqui individuali. Il confronto e il dialogo con persone che hanno vissuto esperienze traumatiche simili possono favorire un senso di appartenenza e ridurre il sentimento di solitudine e abbandono, facilitando il cammino verso la rielaborazione del trauma.

Le lacune del sistema italiano e le proposte per il futuro

Nonostante l’importanza critica del supporto psicologico post-trauma, il sistema italiano presenta ancora significative lacune. La prima e più evidente è la mancanza di un protocollo nazionale standardizzato per l’identificazione e l’intervento immediato sulle vittime di eventi traumatici. Attualmente, l’assistenza psicologica in situazioni di calamità è spesso affidata a manuali operativi e linee guida generiche, ma non c’è una prassi sistematica che garantisca la tempestività e la continuità del supporto. Questo porta a notevoli differenze negli interventi a livello territoriale.

In particolare, il supporto psicologico e psichiatrico non è una prassi sistematica nelle strutture di accoglienza, come evidenziato nel contesto del trauma migratorio, dove l’approccio prevalente non è sempre sufficiente ad affrontare le profonde cicatrici psicologiche. Si sottolinea che i servizi psicologici gratuiti, a carico del Servizio Sanitario Nazionale, sono spesso limitati a casi con diagnosi psichiatriche già conclamate, lasciando scoperte le fasi iniziali e preventive del disagio post-traumatico.

La gestione del trauma vicario è una criticità emergente, con il rischio di sintomatologie emotive che possono colpire gli operatori stessi.

Modelli di stress management e supervisione sono necessari per proteggere questi professionisti, garantendo che possano continuare a svolgere il loro ruolo in modo efficace e sostenibile. Le proposte per il futuro includono l’istituzione di team di primo intervento specializzati in trauma, con un referente di contatto per gestire le fasi delicate post-evento, dalla comunicazione con le autorità all’organizzazione pratica. L’obiettivo è un approccio proattivo e olistico che non si limiti alla gestione dell’emergenza, ma preveda una presa in carico a lungo termine.

Fondamentale è anche un cambiamento culturale che riconosca il trauma psicologico come una ferita da curare con la stessa urgenza di quelle fisiche, e che la volontà politica si traduca in investimenti concreti, non necessariamente ingenti, per strutturare questi servizi. Una rete di associazioni e organizzazioni può svolgere un ruolo fondamentale nel garantire un supporto collettivo, evitando così che l’intero onere gravi soltanto sui servizi comunali, già in crisi. Ciò permette la creazione di un sistema sinergico e ben radicato nel territorio.

Oltre la ferita visibile: il percorso verso la resilienza

In psicologia cognitiva e comportamentale, un concetto fondamentale per comprendere il trauma è quello del ciclo di elaborazione dell’informazione. Quando viviamo un evento traumatico, il nostro cervello fatica a elaborare le informazioni in modo coerente e integrato. È come se i ricordi, le emozioni e le sensazioni legate a quell’evento rimanessero “bloccati” in una sorta di capsula, non riuscendo a integrarsi nella nostra normale rete di memorie.

Questo può portare alla riattivazione involontaria del trauma attraverso flashback, incubi o pensieri intrusivi, rendendo difficile distinguere il passato dal presente e mantenendo l’individuo in uno stato di costante allerta e disagio. Questo meccanismo di “blocco” è alla base di molti dei sintomi del Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS), dove il corpo e la mente continuano a reagire come se il pericolo fosse ancora presente.

La terapia, in questo contesto, mira a sbloccare queste informazioni, permettendo al cervello di rielaborare l’evento traumatico e integrarlo nella biografia dell’individuo, trasformandolo da ferita aperta a ricordo elaborato. Una nozione più avanzata, applicabile a questo scenario, è quella della Neuroplasticità Dipendente dall’Esperienza. Ogni esperienza che viviamo, positiva o negativa, modella le connessioni neurali nel nostro cervello. Il trauma, in particolare, può creare percorsi neurali disfunzionali.

Secondo il National Institute of Mental Health, la probabilità di sviluppare PTSD varia a seconda del tipo di trauma subito. Ad esempio, il 28% delle persone coinvolte in un attacco terroristico sviluppa PTSD.

Tuttavia, attraverso interventi terapeutici mirati, come l’EMDR o la terapia cognitivo-comportamentale, possiamo stimolare la neuroplasticità, ovvero la capacità del cervello di riorganizzare le proprie connessioni. Questo significa che, anche dopo un trauma profondo, il cervello può apprendere nuove risposte e creare nuovi percorsi neurali più adattivi, facilitando la guarigione e il recupero del benessere.

È un processo che richiede tempo, impegno e un supporto costante, ma che offre la possibilità di ripristinare la funzionalità e la qualità della vita. La riflessione personale che emerge è profonda: quanto siamo consapevoli che la resilienza non è solo una capacità individuale, ma anche il risultato di un sistema di supporto efficace? Spesso, la società tende a valorizzare la forza interiore e l’auto-superamento del trauma, ma dimentica che, per la maggior parte delle persone, questo percorso è quasi impossibile senza un’adeguata rete di sostegno.

È un invito a considerare il trauma non solo come un problema del singolo, ma come una questione della collettività, che richiede un investimento congiunto in risorse, formazione e, soprattutto, in una visione umana e anticipatoria della salute mentale. Non si tratta solo di curare la ferita quando è ormai evidente, ma di costruire ponti e sistemi che prevengano la sua cronicizzazione, permettendo a chi subisce un trauma di ritrovare il proprio posto nel mondo con dignità e supporto.

Glossario:
  • PMT: Protocollo di Primo Soccorso Psicologico, un intervento rapido per alleviare il disagio dopo un trauma.
  • DPTS: Disturbo Post-Traumatico da Stress, una condizione psicologica che può svilupparsi dopo un evento traumatico.
  • Neuroplasticità: La capacità del cervello di modificarsi e adattarsi in risposta all’esperienza.

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