- Nel 2023, la farmacia ospedaliera ha fornito quasi 20.000 unità di psicofarmaci ai minorenni.
- Aumento del 30% delle diagnosi di ADHD tra il 2021 e il 2023 nell'ULSS 2.
- La pandemia ha portato a un aumento dello stato d'ansia emotiva nei ragazzi.
Un’escalation preoccupante: l’aumento degli psicofarmaci tra i minori nel trevigiano
La diffusione degli psicofarmaci tra i giovani rappresenta oggi un tema fondamentale nell’ambito della salute mentale. Particolarmente preoccupante è il quadro che emerge dalla provincia di Treviso: qui l’ULSS 2 ha <a class="crl" href="https://www.respira.re/salute-mentale/psicofarmaci-e-integratori-in-liguria-unanalisi-sullaumento-delle-prescrizioni-e-i-rischi-connessi/”>registrato un aumento significativo delle prescrizioni riguardanti farmaci psicotropici destinati ai minori. Questa situazione non si presenta come un’anomalia sporadica; al contrario, sembra essere un chiaro indicatore – una cartina tornasole – delle complessità sociali che caratterizzano il nostro tempo e che toccano in modo profondo le nuove generazioni. Tale realtà supera la mera analisi statistica: essa suscita domande fondamentali circa le origini del fenomeno, le modalità attraverso cui vengono affrontate queste problematiche e infine gli effetti prolungati sulla salute fisica e mentale dei bambini e degli adolescenti.
Esaminando le informazioni aggiornate sull’argomento, si rileva che nel corso del 2023 la farmacia ospedaliera trevigiana ha fornito quasi 20. Tremila unità relative a psicofarmaci destinate ai minorenni al di sotto dei diciotto anni costituiscono un fenomeno estremamente preoccupante nella sanità contemporanea. Analizzando i dati degli anni passati si nota una progressione innegabile: già nel 2022 sono state registrate circa 17.500* prescrizioni; l’anno precedente avevamo superato leggermente la soglia delle 15.000, mentre nel *2020 vi era stata una diffusione stimata intorno alle 12.500 unità distribuite; è necessario considerare come quest’ultimo anno fosse particolarmente atipico per via dell’insorgere della pandemia da COVID-19; nonostante ciò permane evidente un’inflazione nelle cifre presentate annualmente! Di notevole rilevanza è anche la circostanza che questi numeri fanno riferimento soltanto a “prescrizioni rilasciate dai medici nei contesti ospedalieri”, lasciando sul tavolo tutte quelle consulenze effettuate da professionisti operanti nelle strutture territoriali come i medici generali o i pediatri – questo implica possibilmente l’esistenza di uno scenario ancor meno rassicurante! Gli agenti farmacologici maggiormente impiegati includono, oltre agli antipsicotici e antidepressivi, anche vari tipi di stimolanti (solitamente impiegati contro disturbi come quello dell’ADHD); infine troviamo anche classiche molecole ansiolitiche adoperate in simili casi clinici indicizzati ai giovanissimi pazienti! Pur senza poter definire e quantificare precisamente il totale dei bambini coinvolti nella somministrazione legata ai prodotti analizzati tramite le sole dispense farmaceutiche esaminate finora, ci sentiamo autorizzati a postulare che una significativa parte dei nostri ragazzi stia attualmente sperimentando questi tipi terapeutici, spesso parallelamente ad altri protocolli terapeutici associativi.
Questo particolare fenomeno richiede un’analisi approfondita piuttosto che superficiale. Esso appare come il riflesso evidente di disagi latenti ma significativi affermatisi attraverso numerosi fattori interconnessi. L’insorgere della pandemia da COVID-19 ha indubbiamente alterato il tessuto della vita quotidiana: restrizioni severe hanno isolato socialmente i giovani ed infranto consuetudini consolidate all’interno delle loro vite. Ne deriva un impatto potenzialmente devastante sulla loro psiche—una condizione che acuisce vulnerabilità preesistenti mentre genera nuove fragilità emotive. Non si possono trascurare nemmeno i molteplici elementi aggiuntivi che aggravano questa situazione: dall’intensificarsi delle richieste scolastiche all’invadenza perpetua dei social media; dalle angustie economiche alle complesse relazioni familiari—tutti fattori costantemente sottesi a una pressione indesiderata sui minori fino a tal punto da stravolgerne l’equilibrio psichico naturale. In tale contesto viene alla luce il significativo aumento nelle prescrizioni psicofarmacologiche: tali statistiche rispondono a una necessità ben oltre quella sanitaria—esse fungono da cartina tornasole sociale, segnalando così con urgenza quanto sia imperativo adottare analisi più complete e azioni mirate ad abbattere gli attuali modelli basati esclusivamente sull’utilizzo farmacologico del trattamento mentale giovanile.
I disturbi sottostanti: ansia, depressione e ADHD
La crescita esponenziale nell’impiego degli psicofarmaci tra i più giovani risulta intimamente legata alla crescente identificazione clinica dei disturbi d’ansia, della depressione, oltre al noto Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD). Tale incremento nel numero delle diagnosi all’interno della gioventù pone questi disturbi come principali motivazioni per l’accesso ai trattamenti farmacologici. Questi sono frequentemente utilizzati non solo come rimedio primario, ma anche complementariamente alle terapie psicologiche. Un’approfondita conoscenza delle specificità legate a ognuno dei suddetti disturbi emerge essenziale al fine di disegnare approcci terapeutici mirati e accrescere la consapevolezza pubblica sugli effetti collaterali nel lungo periodo.
Nei bambini così come negli adolescenti, i disturbi d’ansia possono presentarsi attraverso un ampio ventaglio sintomatologico: da preoccupazioni incessanti su possibili scenari futuri all’sindrome sociale, passando per veri episodi di panico fino ad arrivare al generico disturbo ansioso. Non raramente tali problematiche prendono forma attraverso segnali fisici quali cefalee persistenti o disagi addominali; difficoltà notturne nel sonno, insieme ad esplosioni occasionali d’irritabilità, risultano altrettanto comuni. Nell’ambito educativo e comunitario si osserva che l’ansia, oltre a costituire una barriera per il rendimento scolastico ottimale, compromette anche le possibilità di instaurare interazioni sociali gratificanti. Sebbene gli ansiolitici possano fornire un sollievo immediato dai sintomi angosciosi, suscitano comunque interrogativi riguardanti il rischio di sviluppare dipendenze, oltre alla necessità impellente di esaminare con attenzione le origini cognitive e i comportamenti sottostanti alla condizione ansiosa.
Per quanto concerne la depressione nei giovani, essa manifesta segni caratteristici analoghi a quelli degli adulti, ma si traduce spesso in modalità più insidiose: irritabilità marcata, isolamento sociale progressivo, diminuzione dell’interesse verso attività precedentemente apprezzate, modifiche nel regime alimentare e abitudini del sonno o addirittura dolorose lamentele corporee prive di spiegazioni mediche valide. I farmaci antidepressivi più frequentemente utilizzati sono rappresentati dagli SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina), i quali figurano tra le prescrizioni abituali. Tuttavia, rimangono aperti interrogativi circa l’efficacia prolungata e gli effetti indesiderati collegabili all’uso di tali sostanze nella fascia d’età pediatrica fino all’adolescenza, motivo per cui qualsiasi iniziativa terapeutica deve essere ponderata attentamente dal punto di vista dei rischi rispetto ai benefici attesi.
L’ADHD rappresenta un disturbo neurosviluppale contraddistinto da livelli elevati di inattenzione, iperattività ed impulsività manifestatasi in modo disagevole per la fascia d’età dell’individuo interessato. Tale condizione incide notevolmente sulle capacità di apprendimento ed influenza negativammente le interazioni sociali oltre al comportamento generale. Negli anni compresi tra il 2021 e il 2023 sono stati rivelati dai rapporti forniti dall’ULSS 2 statistiche piuttosto preoccupanti: si evidenzia infatti un aumento pari al 30% delle diagnosi relative all’ADHD. È importante sottolineare questo fenomeno soprattutto considerando la variabilità della prevalenza segnalata riguardo il Disturbo da Deficit d’Attenzione/Iperattività (ADHD) nel nostro paese; tale prevalenza oscilla tra valori compresi fra l’1% e il 5%, riferita alla popolazione scolastica italiana secondo le varie ricerche eseguite. Solitamente la gestione terapeutica dell’ADHD implica la somministrazione tanto dei farmaci classificabili come stimolanti quanto di quelli non stimolanti; entrambi funzionano tramite una modulazione mirata dei neurotrasmettitori cerebrali con lo scopo primario di potenziare la concentrazione oltre a diminuire sia impulsi sia attività motoria intensa indesiderata. Anche se tali medicinali possono risultare utili per contenere alcuni sintomi essenziali legati a questa condizione patologica, rimane fondamentale abbracciare uno schema d’intervento integrativo che includa anche strumenti psicoeducativi accompagnati a metodologie comportamentali affinate.
La crescente prevalenza di queste diagnosi e l’aumento delle prescrizioni farmacologiche indicano la necessità di una riflessione approfondita sui criteri diagnostici, sull’accesso a terapie alternative e sull’importanza di un approccio integrato. La somministrazione di farmaci, in particolare ai minori, non dovrebbe mai essere l’unica risposta, ma parte di un piano terapeutico più ampio che tenga conto delle specificità individuali e del contesto di vita del giovane.

Alternative terapeutiche e l’importanza dell’intervento precoce
In risposta al marcato aumento dell’impiego degli psicofarmaci da parte della popolazione giovanile e alle incognite legate agli effetti prolungati derivanti dai suddetti trattamenti farmacologici, si rende imperativo avviare un’indagine approfondita sull’adozione delle terapie alternative. Un’attenzione speciale deve essere rivolta alle terapie cognitivo-comportamentali (TCC), così come all’importanza dell’intervento precoce nella salute mentale infantile. Questi metodi terapeutici si fondano su principi scientifici solidamente comprovati e offrono strategie non farmacologiche intese a dotare le menti in crescita degli strumenti necessari per gestire il malessere psicologico anziché limitarsi ad alleviarne temporaneamente i sintomi.
La disciplina delle terapie cognitive-comportamentali (TCC), considerata una risorsa imprescindibile nella lotta contro problematiche quali ansia, depressione o ADHD, implica l’analisi critica dei modelli mentali disfunzionali accompagnati da comportamenti inadeguati che alimentano il perdurare del disturbo stesso. In particolare, nei casi caratterizzati dall’ansia clinica nei giovani pazienti, vengono attuate pratiche finalizzate al riconoscimento dei pensieri pessimisti; segue poi una ristrutturazione positiva delle credenze alterate insieme allo sviluppo pratico tramite tecniche innovative volte alla gradualità nell’esposizione agli eventi ansiogeni temuti. Nell’ambito della depressione, le strategie della TCC possono prevedere l’attivazione comportamentale, con il fine di educare i giovani a reinserire esperienze gratificanti ed emotivamente rilevanti nelle loro giornate. Relativamente all’ADHD, invece, tale approccio cognitivo-comportamentale mette a disposizione risorse mirate per affinare le abilità organizzative degli individui adolescenti, favorendo così anche una migliore gestione temporale ed autocontrollo; ciò avviene comunemente tramite programmi volti allo sviluppo delle competenze sociali nonché alla soluzione efficace dei problemi. Un gran numero di studi scientifici sostiene l’efficacia di queste metodologie cognitive; esse appaiono ideali per lo sviluppo dei più giovani poiché sono progettate in modo da poter includere sia il ragazzo sia i familiari durante il percorso terapeutico adottato. Fondamentale è sottolineare come tali tecniche consentano ai minorenni di acquisire strumenti utilizzabili in maniera autonoma in futuro, promuovendo quindi autonomia personale oltre che resilienza.
In aggiunta alle pratiche della TCC, interventi precoci rivestono un’importanza decisiva nella lotta contro i disturbi psichici durante l’infanzia e l’adolescenza. L’individuazione precoce dei segni distintivi del malessere, accompagnata da interventi rapidi, prima che emergano crisi più radicate o complesse condizioni cliniche correlate al problema iniziale, potrebbe realmente alterare in modo significativo il decorso del disturbo stesso. Ciò implica non solo un’attenta osservazione da parte di genitori e insegnanti, ma anche la disponibilità di servizi di salute mentale di prossimità, facilmente accessibili e privi di stigma. Promuovere la “salute mentale a scuola”, attraverso programmi di screening, formazione del personale docente e sportelli di ascolto psicologico, è un esempio concreto di come l’intervento precoce possa integrarsi nella quotidianità dei giovani. Iniziative volte a identificare e supportare i minori a rischio possono ridurre la necessità di ricorrere a trattamenti farmacologici, limitandoli ai casi più severi o resistenti alle terapie psicologiche.
In questo contesto, il ruolo delle istituzioni e delle politiche sanitarie è fondamentale. È necessario investire maggiori risorse nella formazione di psicoterapeuti specializzati nell’età evolutiva, ampliare l’offerta di servizi di psicoterapia accessibili e promuovere un approccio integrato che valorizzi la collaborazione tra pedopsichiatri, psicologi, pediatri, medici di medicina generale e personale scolastico. Il fine ultimo di questo discorso non consiste nel demonizzare l’impiego degli psicofarmaci; al contrario, in certe circostanze questi medicinali risultano essenziali e addirittura salvavita. È pertanto fondamentale garantire che siano parte di un percorso terapeutico complessivo e non l’unica soluzione disponibile. L’arte di integrare farmaci con terapie psicologiche può garantire il raggiungimento di un equilibrio ottimale. Solo attraverso interventi tempestivi e su misura possiamo gettare le basi per il benessere mentale dei giovani a noi affidati, impedendo che questa preoccupante escalation si trasformi in una tendenza senza ritorno.
Il contesto socio-familiare: un ruolo chiave nel benessere giovanile
La crescente diffusione dei disturbi mentali tra i minori è indissolubilmente legata a una riflessione accurata sul contesto socio-familiare nel quale essi vivono. I sistemi familiari, scolastici, le dinamiche relazionali con coetanei e il mondo digitale costituiscono reti intrinsecamente connesse che esercitano una forte influenza sul sviluppo psicologico nonché sulla resilienza infantile e adolescenziale. La convergenza di molteplici fattori stressogeni – siano essi interni o esterni – contribuisce a creare un clima favorevole alla manifestazione della vulnerabilità emotiva.
L’impatto della pandemia da COVID-19 si configura come una vera catastrofe globale dall’influenza devastante sulla dimensione psichica collettiva. Le esperienze vissute dagli individui più giovani durante questo periodo – quali isolamento forzato, timore costante del contagio, transizione verso modalità didattiche alternative rispetto al normale insegnamento in presenza, smarrimento della consueta routine quotidiana insieme alla contrazione delle relazioni socializzanti – hanno alimentato uno stato d’ansia generalizzata mai riscontrabile precedentemente nella popolazione giovanile. La chiusura degli istituti scolastici insieme alle restrizioni imposte nelle varie forme d’intrattenimento hanno privato gli adolescenti degli spazi indispensabili dove poter condividere esperienze significative fondamentali al loro percorso evolutivo. L’interconnessione tra diversi elementi sociali ha portato a uno sconsiderato incremento dello stato d’ansia emotiva nei ragazzi: eventi avversi come le turbolenze familiari o rapporti interpersonali complessi si sono rivelati determinanti in questa crisi. Al netto delle circostanze generate dalla pandemia stessa, c’è l’influenza incessante delle pressioni scolastiche che erodono il benessere mentale giovanile nel tempo.
L’approccio prevalentemente competitivo dell’istruzione tende ad accentuare il peso del dovere nella mente degli studenti; questo genera inquietudine legata alle prestazioni, appunto precarizzando i loro livelli d’autovalutazione. La mole esorbitante dei compiti assegnati quotidianamente, insieme alla ricerca continua dell’approvazione da parte dell’autorità – siano esse educatori o figure parentali – produce stati depressivi quando i risultati desiderati sembrano irraggiungibili. Dovrebbe esserci spazio per l’apprendimento sereno nelle istituzioni educative; purtroppo, talvolta finiscono con l’alimentare ulteriormente il circolo vizioso della fragilità psicologica.
Senza dubbio fondamentale risulta la configurazione del contesto familiare. Il quadro relazionale dove emergono tensioni marcatamente discordanti, totalmente privo d’una comunicazione valida, oltre all’assenza totale (o peggio dannosa) di cure emotive, produce ripercussioni drammatiche sul processo evolutivo delle nuove generazioni.
I genitori che si trovano ad affrontare sfide legate alla salute mentale, difficoltà finanziarie o elevati livelli di stress professionale possono, senza volerlo, trasmettere una sensazione d’ansia ed insicurezza alle nuove generazioni. È cruciale che questi adulti possiedano la capacità necessaria per identificare i segnali d’allerta del malessere nei propri figli; al contempo è essenziale disporre degli strumenti adeguati per fornire il giusto sostegno o ricorrere all’aiuto professionale se il caso lo richiede. L’approccio educativo parentale mira non solo alla diffusione dei metodi educativi positivi, ma anche al potenziamento delle dinamiche comunicative familiari; questo tipo d’intervento si rivela come una misura preventiva altamente efficace.
In aggiunta è doveroso sottolineare l’influenza predominante dell’universo digitale insieme ai social network sulla vita giovanile: sebbene apportino vantaggi quali nuove modalità relazionali ed accesso a informazioni preziose, espongono parimenti gli adolescenti ad eventi negativi come il cyberbullismo. Inoltre, le pressioni sociali indirizzate verso parametri impossibili relativi alla bellezza ed al successo individuale favoriscono dipendenze dai dispositivi elettronici stessi. Una continua interazione con contenuti fortemente selezionati – spesso lontani dalla realtà – potrebbe alimentare sentimenti d’insoddisfazione ed inadeguatezza, incrementando quindi l’incidenza dei disturbi d’ansia nonché della depressione tra i giovani utenti. L’educazione dei giovani all’uso attento e analitico delle tecnologie digitali risulta di fondamentale importanza; è necessario incoraggiare il benessere virtuale, proponendo al contempo opzioni significative nella vita reale.
Anche l’analisi dei fattori socio-familiari in gioco è cruciale: per poter elaborare strategie d’intervento mirate ed efficaci, bisogna non solo affrontare le manifestazioni superficiali del malessere giovanile, bensì sviscerarne le origini più radicate. Ciò porterà alla creazione di un contesto favorevole e nutriente per la formazione delle nuove generazioni.
Riflessioni sul benessere mentale delle nuove generazioni
Il dibattito sull’aumento delle prescrizioni di psicofarmaci ai minori ci invita a una profonda riflessione sul benessere mentale delle nuove generazioni e sulle nostre responsabilità come società. È un tema che tocca profondamente la nostra umanità e ci spinge a interrogarci: stiamo fornendo ai nostri figli gli strumenti per affrontare le complessità della vita, o stiamo affidando troppo spesso il loro disagio a una soluzione farmacologica, talvolta senza esplorare a fondo le radici del problema?
Una nozione base in psicologia cognitiva che ci è d’aiuto è quella della ristrutturazione cognitiva. Spesso, il disagio emotivo trae origine da modi distorti o irrealistici di interpretare gli eventi. I nostri pensieri non sono fatti oggettivi, ma costrutti mentali che influenzano le nostre emozioni e i nostri comportamenti. Aiutare un giovane a riconoscere e a mettere in discussione i suoi schemi di pensiero negativi – come “sono un fallimento”, “nessuno mi vuole bene”, “non ce la farò mai” – è il primo passo per modificare la sua esperienza emotiva e il suo comportamento. Non si tratta di negare la realtà, ma di imparare a vederla con una prospettiva più equilibrata e funzionale. Questo processo non è una “cura magica” ma un percorso di allenamento mentale che richiede tempo, supporto e dedizione, ma che restituisce ai giovani il potere di influenzare il proprio stato d’animo.
Volgendo lo sguardo a una nozione più avanzata, possiamo considerare la teoria dell’attaccamento e il suo ruolo nello sviluppo della regolazione emotiva. L’attaccamento, inteso come il legame affettivo che si instaura tra il bambino e i suoi caregiver primari, modella in modo significativo la capacità del giovane di gestire le proprie emozioni e di formare relazioni sane. Un attaccamento sicuro, caratterizzato da responsività e sensibilità da parte del caregiver, permette al bambino di sviluppare una “base sicura” da cui esplorare il mondo e a cui ritornare nei momenti di stress. Questo favorisce lo sviluppo di strategie di regolazione emotiva efficaci. Al contrario, un attaccamento insicuro – che può assumere diverse forme, come l’evitante, l’ansioso-ambivalente o il disorganizzato – può ostacolare lo sviluppo di tali capacità, rendendo il giovane più vulnerabile allo stress, all’ansia e alla depressione. Anziché limitarsi all’individuo in crisi, un’analisi approfondita dei modelli d’attaccamento offre l’opportunità per interventi terapeutici completi non solo sul giovane paziente ma anche sull’intero nucleo familiare; ciò implica lavorare attivamente per migliorare sia le relazioni interpersonali, sia la capacità genitoriale riguardo alla responsività emotiva.
In chiusura su questo tema delicato emerge come il fenomeno della sempre più invasiva medicalizzazione del disagio giovanile ci imponga interrogativi profondi tanto sotto il profilo etico quanto sociale. Ci troviamo davanti alla necessità di riflettere seriamente sul fatto se realmente stiamo fornendo ai nostri ragazzi opportunità concrete per una crescita autentica ed equipaggiante con resilienza o piuttosto rischiamo d’affidare indebitamente tale risposta alle sole soluzioni farmacologiche. La questione è decisamente articolata; è necessaria l’unità d’intenti tra famiglie, sistemi scolastici, servizi sanitari ed enti istituzionali per costruire uno scenario capace effettivamente di valorizzare il benessere psicologico da tutti gli angoli possibili. Appaiono cruciali competenze quali: saper gestire le proprie emozioni, esprimere adeguatamente bisogni personali e alimentare quel senso innato della resilienza che deve trascendere l’aspetto superficiale dell’alleviare semplicemente malesseri evidenti. Soltanto così sarà possibile assecondarli verso prospettive future più tranquille ma soprattutto arricchite dalla pienezza dell’esistenza stessa.
- Studio dell'ULSS2 sui comportamenti degli adolescenti, uso psicofarmaci senza ricetta.
- Pagina dell'ULSS2 Treviso Nord dedicata a diagnosi e cura in età evolutiva.
- Pagina ufficiale dell'ULSS 2 con informazioni sui servizi per infanzia e adolescenza.
- Pagina dedicata all'attivazione della Neuropsichiatria infantile a Treviso, utile per approfondire i servizi ULSS2.








