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Psicofarmaci: L’allarme silenzioso che soffoca l’Italia e i suoi giovani

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  • Il 7-8% della popolazione adulta italiana usa antidepressivi.
  • Media di 60 dosi quotidiane di psicofarmaci ogni 1.000 abitanti.
  • In Toscana, 67 dosi di antidepressivi ogni 1.000 residenti.
  • Spesa psicofarmaci: 64% del totale al CPR di via Corelli a Milano.
  • Circa 510.000 studenti hanno abusato di psicofarmaci.
  • 180.000 quindicenni-diciottenni ne hanno fatto uso nel 2024.
  • Psicofarmaci-benzodiazepine coinvolti nel 12% dei decessi droga-correlati.

Un aumento costante: il consumo di psicofarmaci in Italia

Il settore sanitario in Italia presenta uno squilibrio allarmante, caratterizzato da un incremento incessante nel consumo di psicofarmaci. Questa dinamica ha trovato una sua solidificazione negli ultimi anni ed ha subìto una spinta notevole a causa della pandemia da COVID-19. Il fabbisogno di interventi psico-emotivi, assieme alla propensione verso le prescrizioni riguardanti patologie come l’ansia e la depressione, ha mostrato una crescita repentina; sorprendentemente però tali istanze non hanno ripiegato sui valori precedenti all’emergenza sanitaria globale. Le statistiche più attuali fornite dall’OsMed insieme all’AIFA 2025 indicano che circa il 7-8% della popolazione italiana adulta fa uso continuativo di antidepressivi.[Rapporto OsMed, AIFA] Questo dato si traduce in milioni di persone che fanno affidamento su queste sostanze per gestire la propria salute mentale. L’adozione delle benzodiazepine—che comprendono anche ansiolitici e farmaci ipnotici—continua a mantenere livelli altissimi accanto all’utilizzo degli antidepressivi. Questa pratica interessa prevalentemente individui oltre i 45 anni e gli anziani; tuttavia non può passare inosservato il preoccupante incremento tra i giovani adulti.

A livello nazionale il dato medio si aggira intorno alle 60 dosi quotidiane per 1.000 abitanti, registrando valori molto più alti nel Centro-Nord dell’Italia. Le ragioni alla base dell’uso crescente di questi farmaci sono molteplici: ansia generalizzata, insonnia persistente, disturbi affettivi e stress cronico sono solo alcune delle motivazioni individuate dagli specialisti. È interessante notare come gli esperti parlino di una doppia tendenza: mentre cresce la consapevolezza riguardo alla salute mentale ed avviene un progresso nella diminuzione dello stigma sociale legato ad essa—si continua tuttavia ad affrontare tali problemi attraverso soluzioni prevalentemente farmacologiche piuttosto immediate; ciò accade spesso senza strutture adeguate o percorsi psicoterapeutici integrati.

Un caso emblematico è quello della Toscana: questa regione ha mostrato costantemente uno dei più alti consumi nazionali di psicofarmaci disponibili sul mercato. Le statistiche provenienti dall’Agenzia Regionale di Sanità evidenziano un considerevole aumento delle 67 dosi quotidiane di antidepressivi per ogni 1.000 residenti, risultando così superiori alla media a livello nazionale. Nella specifica area della Piana di Lucca, quasi il 10% degli abitanti fa uso di antidepressivi, registrando una continua crescita nel corso degli anni recenti. Allo stesso modo, anche i farmaci ansiolitici e antipsicotici mostrano tendenze in ascesa nella regione: ciò indica come ci sia una richiesta sempre maggiore non solo riguardo alla depressione ma anche verso altri disturbi mentali da affrontare mediante intervento farmacologico. Si osserva inoltre che l’età dei soggetti coinvolti tende a diminuire; sempre più giovani adulti e studenti richiedono assistenza presso i SerD (Servizi per le Dipendenze) oppure consultano i medici generali relativamente a problematiche quali ansia intensa, insonnia o crisi d’ansia.

A queste cifre corrisponde una complessa rete di interrelazioni fra fattori sociali ed economici: elementi come l’incertezza lavorativa, l’incremento della solitudine, la pressione lavorativa elevata, l’angoscia rispetto al futuro e le debolezze nelle relazioni interpersonali compongono il quadro generale contribuendo ad aumentare la vulnerabilità psicologica fra gli individui coinvolti. La proficua accessibilità agli psicofarmaci, combinata con costi piuttosto contenuti, li rende una scelta immediata; tuttavia, questa situazione porta con sé un rischio significativo quando vengono considerati l’unica soluzione a questioni complesse per le quali sarebbe preferibile adottare una visione più ampia. Un numero crescente di esperti nel campo della salute invita a interventi urgenti per migliorare i servizi locali dedicati alla salute mentale; tali servizi risultano in gran parte caratterizzati da una distribuzione diseguale lungo lo stivale italiano. La finalità perseguita è quella di instaurare itinerari terapeutici integrati: questi dovrebbero trascendere la mera prescrizione di medicinali e abbracciare forme adeguate di supporto sia psicologico sia psicoterapeutico. Proiettando uno sguardo verso l’Italia del 2025, appare evidente come il Paese abbia sviluppato significativi sistemi curativi; tuttavia, emerge altresì la difficoltà nell’instaurare un ascolto interiore sufficiente tra gli individui stessi—un dato emblematico trova espressione nella realtà toscana.

Cosa ne pensi?
  • 📈 Finalmente un articolo che mette in luce l'aumento dell'uso di psicofarmaci......
  • 😔 L'articolo dipinge un quadro allarmante, ma forse stiamo esagerando......
  • 🤔 Interessante notare come si parli di 'allarme silenzioso'. Ma è davvero......
  • 💔 La parte sui giovani è straziante, soprattutto riguardo al policonsumo......
  • 💊 Forse la vera domanda è: stiamo medicalizzando eccessivamente i problemi......
  • ⚖️ Bisogna considerare il ruolo delle case farmaceutiche in questo aumento......

Criticità nel processo di consenso informato sugli psicofarmaci

L’aumento esponenziale del consumo di psicofarmaci solleva questioni cruciali riguardo l’adeguatezza del consenso informato, un principio fondamentale della pratica medica che garantisce al paziente la piena comprensione delle terapie proposte. In contesti particolari, come le carceri e i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR), le criticità legate al consenso informato emergono con particolare gravità, rivelando un uso arbitrario, eccessivo e non sempre etico dei medicinali. Il Consiglio d’Europa, attraverso una visita del Comitato per la Prevenzione della Tortura (CPT) nell’aprile 2025, ha lanciato un allarme su situazioni di sovraffollamento, abusi e, soprattutto, sedazione con psicofarmaci in queste strutture, portando alla luce gravi violazioni dei diritti e della salute dei detenuti e dei migranti.

Nei CPR italiani, le persone ristrette sono spesso “tenute buone” attraverso una somministrazione di farmaci che non risulta focalizzata sulla presa in carico terapeutica, ma piuttosto sul controllo comportamentale. Dati inediti hanno documentato un utilizzo elevatissimo di psicofarmaci, con percentuali di spesa impressionanti rispetto al totale dei costi sanitari. Ad esempio, nel CPR di via Corelli a Milano, la spesa in psicofarmaci rappresenta il 64% del totale, a Torino il 44%, a Roma il 51%. Questi numeri contrastano drasticamente con il 0,4-0,6% registrato in contesti di assistenza sanitaria ordinaria* per popolazioni simili, come il Centro Salute Immigrati (ISI) di Vercelli.

La tipologia di farmaci maggiormente impiegata include benzodiazepine e antiepilettici con forte effetto sedativo, come il Rivotril (Clonazepam), che in cinque mesi ha visto l’acquisto di 196 scatole solo a Milano. Sebbene l’AIFA autorizzi il Rivotril come antiepilettico, il suo uso massiccio come sedativo in assenza di specifiche diagnosi psichiatriche solleva seri interrogativi. La somministrazione di farmaci “off-label” (fuori dalle indicazioni autorizzate) richiederebbe un consenso informato esplicito del paziente, ma i racconti degli operatori indicano che spesso tale procedura non viene rispettata. Molti giovani non sono nemmeno a conoscenza della natura dei medicinali che assumono, e il consenso non viene quasi mai acquisito. A Torino, tra il 2017 e il 2019, la spesa per Clonazepam ha superato i 3.300 euro, mentre a Caltanissetta, tra il 2021 e il 2022, sono state acquistate 57.040 compresse, una media di 37 a persona.

Il problema si estende anche all’uso diffuso di altri derivati delle benzodiazepine, come Tavor e Valium, oltre a Zoloft (un antidepressivo). La presenza di antipsicotici (Quetiapina, Olanzapina, Depakin), antiepilettici (Pregabalin) e farmaci per il Parkinson (Akineton) nei Centri di detenzione evidenzia una grave incompatibilità tra la permanenza nel centro e la patologia del soggetto. La “visita di idoneità alla vita in comunità ristretta”, obbligatoria per l’ammissione nei CPR, dovrebbe escludere patologie psichiatriche gravi o cronico-degenerative non curabili in un contesto di restrizione. Tuttavia, l’elevata incidenza di acquisti di questi farmaci suggerisce che molti individui con patologie complesse vengono comunque trattenuti, aggravando la loro condizione psicofisica.

A rendere più complesso il quadro è la frammentazione e la disomogeneità nella gestione della salute nei CPR. La cura non è affidata al Servizio Sanitario Nazionale, ma a personale assunto dagli enti gestori, il cui monitoraggio è risultato spesso carente. L’assenza di protocolli chiari tra prefetture e ASL locali, e la confusione riguardo le responsabilità sulla prescrizione e i costi dei farmaci, generano una mancanza di trasparenza e prassi arbitrarie. Caso emblematico è quello di Milano, dove la Prefettura indica che i farmaci sono prescritti da personale sanitario con ricettario SSN, ma l’ASL afferma che i medici del CPR non possono usare il ricettario regionale per stranieri irregolari, creando un “cortocircuito”. Il Tragico caso di Vakhtang Enukidze, morto nel CPR di Gradisca d’Isonzo nel gennaio 2020 a causa di un cocktail di farmaci e stupefacenti, evidenzia le devastanti conseguenze di queste carenze e la necessità urgente di una maggiore trasparenza e controllo.

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Psicofarmaci e giovani: un allarme sociale in crescita

L’aumento dell’uso degli psicofarmaci rivela chiaramente l’esistenza di un allerta sociale considerevole, particolarmente accentuata nella popolazione giovanile. Le relazioni annuali recenti destinate al Parlamento italiano, supportate dai dati forniti dal Dipartimento per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri (con informazioni aggiornate a tutto il 2024 relative al periodo fino al 2025), presentano una realtà articolata: sebbene vi sia stata una modesta diminuzione nell’assunzione di sostanze stupefacenti illegali, parallelamente s’intensifica il fenomeno dell’uso non regolamentato degli psicofarmaci.

Lo studio condotto dall’ESPAD Italia nel corso del 2024 ha coinvolto più di ventimila studenti appartenenti alla fascia d’età compresa tra i quindici e i diciannove anni; sorprendentemente, si stima che circa cinquecentodiecimila ragazzi abbiano sperimentato l’assunzione abusiva di questi medicinali almeno una volta nella vita. Ciò che è ancor più inquietante è il dato concernente gli underage (tra i quindici e i diciotto anni): secondo le rilevazioni recenti ci sono ben 180.000 ragazzi, pari al 12% del totale, ne avrebbero fatto uso solo nel 2024, con una prevalenza più che doppia tra le studentesse. Questo fenomeno non è più marginale, ma rappresenta una “nuova frontiera del rischio”, con il consumo che ha raggiunto i valori più alti di sempre.

Le tipologie di psicofarmaci illegittimamente utilizzate sono principalmente quelle per dormire o rilassarsi (8,4%), seguite da quelle per l’umore (2,4%), per l’attenzione e l’iperattività (2,1%) e, con una differenza di genere particolarmente marcata, per il controllo del peso (1,5%). In quest’ultima categoria, l’uso è più che triplo tra le ragazze rispetto ai ragazzi. Il fenomeno della Sicilia, dove il consumo di psicofarmaci, soprattutto tra i giovani, è in costante aumento, è emblematico di una tendenza nazionale, alimentata anche da un traffico di ricette false e dalla disponibilità online.

L’uso improprio di queste sostanze comporta gravi conseguenze per la salute, fino a esiti estremi. Dati sui decessi droga-correlati nel 2024 (424 casi totali) evidenziano il ruolo degli psicofarmaci e delle benzodiazepine. In quasi la metà dei decessi si è verificata la co-assunzione di più sostanze, con combinazioni particolarmente letali come psicofarmaci-benzodiazepine (12%) e psicofarmaci-alcol. L’ossicodone, un antidolorifico oppioide, è stato identificato in tre casi di decesso, e il fentanyl, un potente oppioide sintetico, in due intossicazioni mortali, spesso in co-assunzione con alcol, benzodiazepine e psicofarmaci.

Gli esperti del Centro Nazionale Dipendenze e Doping (CNDD) dell’Istituto Superiore di Sanità avvertono sui pericoli dei catinoni sintetici, che mimano l’effetto di cocaina e anfetamine, e dei nuovi derivati semi-sintetici della cannabis, disponibili anche in prodotti da svapo o edibili, che li rendono più “appetibili” a un pubblico giovane. Questa escalation di policonsumo e la proliferazione di nuove sostanze rendono il contrasto al fenomeno una sfida sempre più complessa e urgente, che richiede un approccio integrato di prevenzione, sensibilizzazione, educazione sanitaria e accesso a cure efficaci.

L’importanza dell’autonomia decisionale e la necessità di un approccio olistico

Il crescente impiego degli psicofarmaci insieme alle preoccupanti problematiche legate al loro uso – specie in situazioni vulnerabili come quelle dei giovani – solleva interrogativi cruciali circa la necessità imprescindibile di un rispetto autentico dell’autonomia decisionale del paziente. Tale esigenza non si limita alla semplice formalizzazione del consenso informato; richiede piuttosto una piena comprensione da parte dell’individuo, della quale fanno parte gli effetti potenziali tanto positivi quanto avversi derivanti dai vari trattamenti. In particolare è importante considerare sia gli effetti collaterali immediati sia quelli tardivi, oltre alle alternative possibili alla farmacoterapia. Rimanere ancorati all’idea che il farmaco rappresenta una soluzione facile è manifestamente insufficiente ed addirittura rischioso in alcuni casi dove è assente il supporto necessario sul piano psichico o terapeutico.

Secondo la disciplina della psicologia cognitiva scopriamo che c’è una forte relazione tra i nostri pensieri, le nostre emozioni ed i comportamenti. Quando ci troviamo ad affrontare situazioni di disagio mentale culminanti nell’assunzione di medicamenti specifici per il trattamento della mente, essenzialmente interpretando esperienze ed eventi tramite particolari schemi cognitivi, adottiamo varie modalità cognitive per fare fronte ai problemi emergenti. Nel caso in cui tali schemi risultino essere disfunzionali, essi potrebbero aggravare o continuare a riprodurre il disagio avvertito. Mentre un medicinale può ridurre l’intensità dei sintomi manifestati dall’individuo, esso non interviene sulle cause cognitive né sui comportamenti scaturenti dal problema stesso. A tal proposito emerge chiaramente l’importanza cruciale di abbracciare un modello integrato d’approccio; in questa visione integrata il farmaco deve essere considerato solo come uno strumento accessorio piuttosto che come unica panacea.

Spingendoci su una dimensione più complessa nella riflessione filosofica e clinica possiamo trattare l’argomento del trauma relazionale e le sue implicazioni sul funzionamento del sistema nervoso autonomo. Il malessere psicologico degli individui può derivare da esperienze traumatizzanti — specialmente nei giovani — molto spesso riconducibili a interazioni personali scorrette oppure a problematiche relazionali nocive. Queste ferite invisibili agiscono non soltanto sulla mente, ma alterano anche gli equilibri fisiologici corporei generando stati sia d’iperarousal come ansia e attacchi di panico, sia d’ipoarousal caratterizzati dalla depressione o dalla sensazione di isolamento totale. In tali situazioni cliniche è indubbio che, pur alleviando temporaneamente le manifestazioni tramite farmacoterapia, c’è bisogno urgente della riconoscenza dell’esperienza traumatica insieme alla sua elaborazione e alla corretta gestione emotiva; pertanto ciò richiede percorsi terapeutici mirati strettamente legati a interventi che tengono conto delle dimensioni somatiche e attaccamentali delle problematiche stesse. Senza un lavoro approfondito su queste dinamiche, il rischio è di cronicizzare l’uso del farmaco, senza risolvere il problema alla radice.

La riflessione personale si impone: siamo davvero pronti, come individui e come società, ad affrontare il disagio mentale in modo complesso e sfaccettato, andando oltre la comodità di una pillola

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