- Aumento del 4,2% nell'uso di antidepressivi in Italia negli ultimi 5 anni.
- Circa il 1% degli studenti riceve prescrizioni di psicofarmaci, ma 440mila li usano senza guida medica.
- Quasi 960mila adolescenti tra i 15 e i 19 anni hanno sperimentato droghe illegali.
- Il 10% degli studenti italiani tra 15 e 19 anni ha fatto un uso improprio di psicofarmaci nell'ultimo anno.
- Il mercato dei farmaci per la depressione ha raggiunto 49 milioni di confezioni, per un valore di 525 milioni di euro.
Nell’arco dell’ultimo quinquennio, l’Italia ha sperimentato un aumento significativo nell’impiego degli antidepressivi, che si attesta su una crescita del 4,2%. Tale realtà trova collocazione in uno scenario più vasto in cui una consistente porzione della popolazione adulta fa uso di ansiolitici: stime recenti suggeriscono che fra il 15% e il 20% dei cittadini italiani abbia assunto questi medicinali almeno una volta nella vita. L’aspetto diviene particolarmente sensibile se focalizziamo la nostra attenzione sulla gioventù. Pur essendo solo circa l’1% degli studenti a ricevere prescrizioni mediche (di antidepressivi, antipsicotici o farmaci gabaergici), vi è un ammontare assai maggiore – intorno alle 440mila unità – che ha utilizzato psicofarmaci senza alcuna guida professionale; emergono qui chiare preferenze per gli ansiolitici. Questi dati non sono isolati, ma accompagnati da altrettante statistiche preoccupanti riguardanti il consumo di varie sostanze psicoattive legalmente disponibili e illegittime tra i giovani adulti; tale panorama include tabacco e alcol oltre alla crescente diffusione delle smart drugs con costi contenuti e originari spesso dal mondo sintetico o naturale.
Rapporto AIFA 2024 Si stima che il mercato dei farmaci per la cura della depressione negli ultimi 12 mesi abbia riguardato 49 milioni di confezioni, con un valore di 525 milioni di euro, in aumento del 10% tra i giovani; in queste fasce d’età si registra una crescita della prescrizione di farmaci come la sertralina e venlafaxina.
La Società Italiana Tossicodipendenze (SITD) ha posto un accento su questa realtà in occasione del suo Congresso nazionale, evidenziando come l’aumento nell’utilizzo di psicofarmaci sia correlato all’accresciuto numero di diagnosi di disturbi dell’umore e d’ansia. Tuttavia, un fattore determinante sembra essere anche la notevole disponibilità di queste sostanze, che alimenta comportamenti di auto-prescrizione. Questa prassi si estende anche a principi attivi potenti, come i fentanili e altri antidolorifici oppiacei, farmaci di grande utilità nel controllo del dolore ma che, se utilizzati in modo non appropriato e al di fuori di un attento monitoraggio sanitario, possono generare criticità significative per la salute. Per affrontare in modo adeguato tali fenomeni è necessaria una pianificazione complessa, comprendente iniziative preventive, campagne informative specifiche e opportunità facilitate verso trattamenti terapeutici qualificati.
Il tema del consumo di sostanze psicoattive tra i giovani continua a rappresentare una grave emergenza: le statistiche indicano che quasi 960mila adolescenti, compresi nella fascia d’età dei 15 ai 19 anni (pari al 39% della popolazione in questa età), hanno sperimentato l’uso di droghe illegali; nei dodici mesi passati, ben 680mila studenti sono stati coinvolti in tali pratiche. Si rileva inoltre che questi comportamenti non sono solitari ma frequentemente correlati ad altre dinamiche problematiche come il gioco d’azzardo, oltre a un impiego sproporzionato delle tecnologie digitali. Questa situazione richiede necessariamente uno sforzo collettivo da parte dei molteplici attori della società civile e del settore sanitario per tutelare la salute sia mentale sia fisica degli individui, dedicando particolare attenzione alle categorie più vulnerabili della nostra comunità.
L’ombra dell’abuso: tra autosomministrazione giovanile e contesti di detenzione
Il ricorso agli psicofarmaci da parte degli adolescenti per fini non terapeutici, la ricerca della semplice alterazione dello stato di coscienza (“sballo”), rappresenta un fronte emergente e allarmante delle dipendenze. Questo fenomeno non si limita al mercato delle sostanze illecite tradizionali, ma si estende in modo preoccupante all’abuso di farmaci che richiederebbero prescrizione medica. Una dinamica inquietante è legata alla facilità con cui i giovani riescono a procurarsi questi farmaci, spesso attraverso la contraffazione delle ricette mediche, facilitata dalla disponibilità di tutorial online che illustrano come creare false prescrizioni utilizzando software di grafica, talvolta sfruttando i dati di medici in pensione facilmente reperibili. Il Rapporto ESPAD Italia 2024, condotto dal CNR, rivela che circa il 10% degli studenti italiani tra 15 e 19 anni ha fatto un uso improprio di psicofarmaci nell’ultimo anno. La percentuale scende leggermente ma resta preoccupante nella fascia d’età tra 12 e 14 anni, dove 1 studente su 15 ha già sperimentato psicofarmaci senza prescrizione.
Le sostanze più frequentemente coinvolte in questo abuso giovanile includono le benzodiazepine (come Xanax e Valium), spesso assunte in combinazione con l’alcol per potenziarne gli effetti, ma anche antidepressivi e antiepilettici per le loro proprietà sedative. Vengono utilizzati impropriamente anche farmaci per l’ADHD, deviati dal loro scopo per l’effetto stimolante che possono provocare. Tra i motivi che spingono i giovani verso questi comportamenti vi sono lo stress legato all’ambito scolastico e le pressioni sociali, ma anche problemi di salute mentale non adeguatamente riconosciuti e trattati. La curiosità e il desiderio di sperimentare nuovi stati d’animo si uniscono alla già citata facilità di accesso a questi agenti farmacologici.
Un contesto particolarmente critico, dove l’abuso di psicofarmaci assume connotazioni ben più gravi e sistemiche, è quello dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR). Recenti rapporti, tra cui quello del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa, denunciano un uso eccessivo e arbitrario di medicinali su persone detenute, non finalizzato alla cura ma, secondo alcune testimonianze, a “tenerle buone”, a sedarne il disagio e le proteste. Vengono segnalati maltrattamenti fisici, un uso sproporzionato della forza, e trasferimenti in condizioni inadeguate. L’abuso di psicofarmaci nei CPR, emerso anche da inchieste giornalistiche, si concretizzerebbe talvolta nella somministrazione di potenti sedativi, come il Rivotril (Clonazepam), diluiti nell’acqua e senza prescrizione o consenso informato. Il Rapporto del Cpt evidenzia, in quattro centri analizzati, una carenza di assistenza sanitaria e legale adeguata, mettendo in discussione l’intero modello di gestione di queste strutture, che vengono descritte con elementi che richiamano centri di detenzione piuttosto che luoghi di attesa amministrativa.
Spesa farmaceutica nei CPR La spesa in psicofarmaci nei CPR analizzati risulta significativamente superiore rispetto a servizi sanitari territoriali che gestiscono una popolazione immigrata simile. Questo dato, unito alle denunce sull’uso diffuso di sedativi e tranquillanti, solleva seri interrogativi sulla natura dell’assistenza sanitaria fornita e sulla compatibilità del trattenimento con le condizioni di salute delle persone, che spesso presentano vulnerabilità psichiatriche o dipendenze.
La gestione sanitaria affidata a personale non direttamente legato al Servizio Sanitario Nazionale e la potenziale mancanza di protocolli chiari con le ASL contribuiscono a creare un quadro di scarsa trasparenza e inadeguatezza assistenziale. Le conclusioni di alcuni tribunali che hanno non convalidato il trattenimento in ragione della mancanza di cure adeguate al di fuori della terapia farmacologica, rafforzano le critiche sollevate dalle organizzazioni per i diritti umani.
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Gli effetti collaterali e il dibattito sulla dipendenza
Il ricorso agli psicofarmaci ha lo scopo specifico di affrontare disordini complessi legati alla sfera psichica; tuttavia, questo non implica l’assenza totale di possibili effetti collaterali. Le conseguenze avverse sono moltoplici ed estremamente variabili in relazione alla categoria farmacologica utilizzata, nonché al dosaggio applicato e alla reattività personale dell’individuo stesso. Ad esempio, gli anticolinergici possono provocare fenomeni come la secchezza orale insieme a costipazione intestinale o problemi visivi; in casi meno frequenti si riscontrano anche aritmie cardiache o ritenzione urinaria. Altrettanto significative sono le benzodiazepine: queste ultime sono celebrate per i loro efficaci effetti ansiolitici, ma comportano anche rischi significativi, quali sonnolenza durante il giorno seguente all’assunzione oppure sedazione marcata, accompagnate da problemi mnemonici temporanei; questi elementi si aggravano ulteriormente negli anziani, con evidenti difficoltà nella coordinazione motoria, arrivando talvolta a uno stato confusionale generale. La somministrazione prolungata presenta ulteriori insidie, poiché aumenta esponenzialmente la possibilità d’assuefarsi al farmaco fino a sviluppare una vera dipendenza fisica o psicologica da esso: interrompere bruscamente il trattamento può generare sintomi d’astinenza evidenti, come ansia acuta associata a irrequietezza generalizzata, oltre a turbe del riposo notturno manifestandosi con insonnia o sogni particolarmente intensi unitamente a irritabilità accentuata.
Per quanto riguarda gli antidepressivi, il dibattito sul potenziale di dipendenza è più sfumato. Non sono classificati come sostanze che creano una dipendenza nel senso “classico” del termine, simile a quella da oppiaci o benzodiazepine. Tuttavia, l’interruzione della terapia, specialmente se brusca o non guidata da un medico, può provocare sintomi da sospensione, talvolta intensi e fastidiosi, che possono essere confusi con i sintomi di astinenza. Alcuni antidepressivi sembrano avere un potenziale maggiore di indurre questi sintomi rispetto ad altri.
Nota sul monitoraggio: Un uso scorretto del farmaco (prolungato nel tempo senza controllo medico, dosaggi inappropriati, auto-somministrazione, interruzioni brusche) accresce significativamente i rischi. È cruciale la gestione attenta da parte di un professionista sanitario per vagliare i rischi e i benefici, monitorare la comparsa di effetti indesiderati e pianificare un’eventuale sospensione del farmaco in modo graduale e sicuro, minimizzando i disagi.
Al di là del farmaco: un approccio integrato per il benessere mentale
In uno scenario intricato caratterizzato da un crescente utilizzo degli psicofarmaci, si pongono delle giustificate preoccupazioni riguardo ai potenziali effetti collaterali insieme ai rischi variabili associati all’uso prolungato, quali dipsomania oppure sintomi da interruzione del trattamento. In questo contesto diventa cruciale riconoscere il valore delle opzioni non farmacologiche nella gestione della salute mentale. Si fa riferimento a una molteplicità di metodologie e approcci terapeutici in grado non solo di integrare, ma talvolta sostituire l’uso dei farmaci stessi per facilitare una visione integrata del benessere psichico.
Una delle soluzioni più diffuse è rappresentata dalla psicoterapia, articolata in molteplici forme (singola o collettiva; familiare o per coppie) ed ispirata a diversi modelli teorici (come quello cognitivo-comportamentale oppure psicodinamico). Questo tipo d’approccio fornisce l’opportunità di indagare profondamente sulle radici del malessere umano, consentendo così lo sviluppo efficace di nuove modalità di adattamento, oltre alla realizzazione di trasformazioni significative nel lungo termine. Tra gli strumenti messi in campo vi sono i programmi mirati all’intervento comportamentale, comprendenti pratiche psicosociali fondamentali come la psicoeducazione e allenamenti nelle abilità sociali: tutti essenziali per alterare positivamente schemi mentali distorti, contribuendo al rafforzamento delle competenze relazionali. In aggiunta agli approcci tradizionali nella psicoterapia, emergono modalità innovative che fanno uso di attività mirate e ambienti specifici, rivelandosi efficaci nell’influenza positiva sui processi emozionali e cognitivi. Esemplari a tal proposito sono la musicoterapia, l’ortoterapia — intesa come pratica legata al giardinaggio — ed infine la pet therapy attraverso il coinvolgimento diretto con gli animali; queste forme terapeutiche non farmacologiche traggono beneficio dall’interazione con espressione artistica, elementi naturali ed esseri viventi per contrastare lo stress accumulato, innalzare il morale degli individui ed incoraggiare funzioni cognitive attive. Esperienze come quella proposta dalla Soteria House si presentano quali alternative alla consueta ospedalizzazione psichiatrica nel nostro Paese; esse si fondano su una concezione abitativa caratterizzata da supporto piuttosto che coercizione.
La regolarità nell’attività motoria costituisce ugualmente un valido mezzo terapeutico privo di farmaci, i cui effetti positivi sull’umore sono ampiamente documentati assieme alla diminuzione dell’ansia percepita. L’introduzione costante dell’esercizio fisico nelle attività giornaliere potrebbe assumere una rilevanza cruciale nel processo volto al benessere mentale complessivo. In contesti specifici, come quello dei CPR, dove le criticità nell’assistenza sono manifeste, rapporti come quello del Cpt suggeriscono l’implementazione di strategie non farmacologiche per la gestione delle crisi e la riduzione della necessità di misure coercitive. Questo include la formazione del personale, l’adozione di protocolli chiari e l’utilizzo di personale dedicato specificamente formato per la supervisione di persone con esigenze complesse.
Modello integrato Un approccio davvero efficace alla salute mentale richiede l’integrazione tra le diverse opzioni disponibili. Il farmaco, quando necessario, può rappresentare un supporto prezioso, ma non dovrebbe essere l’unica risposta. È la via maestra per affrontare la complessità del disagio psichico e promuovere un benessere duraturo.
Mappare la psiche: tra meccanismi di risposta e percorsi di resilienza
Quando ci si addentra nel territorio della salute mentale, e nello specifico nell’uso di farmaci che agiscono sulla psiche, si toccano fili sottili che connettono la biologia del cervello alla complessità delle nostre esperienze interiori ed esteriori. Una nozione fondamentale della psicologia cognitiva e comportamentale che può aiutarci a comprendere perché in certi momenti sembriamo avere bisogno di un “aiuto esterno”, come un farmaco, risiede nel concetto di bias cognitivi e schemi disfunzionali. Siamo tutti costruttori della nostra realtà percettiva, ma a volte queste costruzioni si basano su interpretazioni distorte o su “bias” che mantengono cicli di pensiero ed emozione negativi.
Pensiamo, ad esempio, a chi soffre d’ansia: può attivare un bias di minaccia, interpretando situazioni ambigue come pericolose. La medicina correlata alla salute mentale, con i farmaci psicotropi, può intervenire su questi circuiti neurochimici alterati, cercando di modulare la risposta cerebrale per offrire un respiro, un momentaneo riequilibrio che permetta l’accesso a un lavoro terapeutico più profondo.
Ma c’è anche una nozione più avanzata, che abbraccia la psicologia dei traumi e la neurobiologia, che ci parla della plasticità neurale dipendente dall’esperienza e della finestra di tolleranza. I traumi, o stress cronici, possono alterare la nostra capacità di autoregolare le risposte emotive e fisiologiche, restringendo quella che viene definita la finestra di tolleranza. Al di fuori di questa “finestra”, possiamo finire in stati di iper-attivazione (ansia, panico) o ipo-attivazione (depressione, dissociazione). Farmaci che modulano certi neurotrasmettitori possono, in alcuni casi, aiutare ad allargare questa finestra biochimica, rendendo più accessibile il lavoro psicoterapeutico che mira a riprogrammare le risposte del sistema nervoso a lungo termine, spesso agendo sulla plasticità del cervello. La vera sfida sta nel non fermarsi al solo intervento biochimico, ma abbracciare un percorso che consideri tutte le dimensioni dell’essere umano: la mente che interpreta, il corpo che sente, la storia che portiamo con noi e le relazioni che ci sostengono.
Ponderare l’impiego degli psicofarmaci al giorno d’oggi implica una profonda introspezione circa la nostra volontà di scavare nelle origini del nostro disagio. È fondamentale considerare l’opzione di intraprendere itinerari che vanno oltre i rimedi farmaceutici, i quali esigono diligente applicazione, serenità e un rafforzato legame tra il nostro essere e il percorso della nostra crescita personale.