- Tasso di sovraffollamento carcerario al 133,44% a fine novembre 2024.
- Circa il 12% dei detenuti ha una diagnosi psichiatrica grave.
- 91 suicidi nel 2024, il numero più alto degli ultimi 30 anni.
- Il 70% dei detenuti a Trento assume psicofarmaci.
- Più del 70% dei detenuti in Campania è senza occupazione.
L’analisi della situazione del sistema penitenziario italiano rivela da tempo un’apparente emergenza strutturale destinata a peggiorare ulteriormente nel corso degli anni futuri. Attualmente si stima un tasso di sovraffollamento pari al 133,44%, registrato alla fine di novembre 2024; questo valore illustra chiaramente quanto sia pressante questa problematica nel panorama nazionale. In termini pratici questo significa che su una capienza ufficiale prevista di appena 51.165, in realtà l’effettiva disponibilità è ridotta a solo 46.771; eppure i detenuti attivi superano le soglie delle 62.400. Mentre tale fenomeno raggiunge punte drammatiche nelle regioni della Puglia (1527%), Lombardia (1439%) e Campania (1345%), colpisce ben oltre cento istituzioni carcerarie sparse sull’intero territorio nazionale. [Associazione Antigone]. La situazione attuale è paragonabile a quella che portò alla condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel 2013 (sentenza Torreggiani), che riconobbe le condizioni di detenzione inumane e degradanti causate proprio dal sovraffollamento.
L’impatto di questa situazione sulla salute mentale dei detenuti è devastante e ampiamente documentato. Vivere in spazi ristretti, con una limitata possibilità di movimento e in costante contatto con un elevato numero di persone, genera inevitabilmente un aumento dei livelli di stress, ansia e tensione. La mancanza di privacy, la riduzione delle ore d’aria e la compressione o soppressione di attività rieducative e occupazionali contribuiscono a creare un ambiente psicologicamente tossico. Queste condizioni possono esacerbare patologie preesistenti o favorire l’insorgenza di nuovi disturbi psichiatrici.
Secondo i dati disponibili, circa il 12% dei detenuti in Italia presentava, a fine 2024, una diagnosi psichiatrica grave, per un totale di quasi seimila persone a livello nazionale [Nurse24], in aumento rispetto all’anno precedente (+10%). Se si includono disturbi meno gravi, come quelli di personalità o antisociali, le percentuali possono aumentare drasticamente in alcuni istituti, raggiungendo persino il 50% della popolazione detenuta. La Lombardia, ad esempio, ha registrato nel 2022 un dato medio regionale attorno al 12%, ma con punte significativamente più alte in alcuni penitenziari. Questa elevata prevalenza di disagio psichico in un ambiente già di per sé difficile rappresenta una sfida cruciale per il sistema sanitario penitenziario.
Il sovraffollamento non solo compromette la salute mentale individuale, ma mina anche le dinamiche relazionali all’interno delle carceri. La convivenza forzata in spazi limitati aumenta le probabilità di conflitti, aggressioni e tensioni interpersonali. La promiscuità, anche tra detenuti con problemi di salute mentale e quelli senza, può generare ulteriori difficoltà e contribuire a un clima di insicurezza e tensione. In particolare, la presenza di un’alta percentuale di detenuti stranieri (circa il 35% della popolazione carceraria) con differenti background culturali ed eventuali barriere linguistiche può acuire i problemi di convivenza e comunicazione in un contesto già critico.
La Corte dei Conti, nella sua relazione “Infrastrutture e digitalizzazione: Piano Carcere” del maggio 2024, ha ulteriormente evidenziato le criticità infrastrutturali e lo stato di attuazione del decennale Piano Carceri, criticando la negligenza nella manutenzione ordinaria degli istituti e sottolineando le situazioni di grave sovraffollamento in regioni come Lombardia, Puglia, Campania, Lazio, Veneto e Sicilia. Tutto ciò aggrava ulteriormente un quadro già preoccupante, dove le condizioni di vita dei detenuti non rispettano gli standard minimi di dignità e salubrità, con conseguenze dirette e negative sulla loro salute fisica e mentale.
La situazione carceraria in Italia è in continuo peggioramento: il numero di detenuti ha superato i 62.000, con tassi di affollamento che arrivano anche al 225% in alcuni istituti. [Associazione Antigone]
Psicotropi e suicidi: il costo umano del fallimento
Il drammatico incremento del disagio psicologico presente nelle strutture carcerarie sfocia in una preoccupante escalation dei comportamenti autolesivi e dei gesti suicidari. In questo contesto, il 2024 si è sinistramente contraddistinto come l’anno con la cifra più elevata di suicidi tra i detenuti registrati nell’arco degli ultimi tre decenni, toccando il valore di 91. [Rapporto Antigone]. Il tasso di suicidi nel 2024 è pari a 14,8 casi ogni 10.000 persone detenute, un dato allarmante rispetto al tasso di suicidi in libertà, che nel 2021 era di 0,59 ogni 10.000 abitanti. Questo dimostra un divario drammatico nella salute mentale tra detenuti e la popolazione generale.
In particolare, 46% dei suicidi si sono verificati tra persone in custodia cautelare, mentre il 54% ha riguardato detenuti nei primi sei mesi di detenzione. Tra i suicidi, la Campania si distingue come la regione con il maggior numero di casi, seguita da Veneto e Lombardia.
Nel 2024, ci sono stati 90 suicidi registrati, il numero più alto mai rilevato nell’arco di 30 anni di statistiche carcerarie.
Di fronte a questa emergenza sanitaria e umanitaria, la risposta spesso adottata all’interno degli istituti penitenziari è il ricorso massiccio agli psicofarmaci. Questi farmaci, che dovrebbero essere utilizzati con finalità terapeutiche mirate, diventano in molti casi uno strumento di “sedazione collettiva” e “pacificazione” delle sezioni detentive, finalizzato più al contenimento dei comportamenti problematici che alla cura del disagio psichico sottostante. A livello nazionale, si stima che circa il 20% della popolazione carceraria utilizzi con regolarità farmaci come stabilizzanti dell’umore, antipsicotici e antidepressivi. Tuttavia, in taluni istituti si registrano incrementi significativi di tali percentuali: ad esempio, secondo vari rapporti, a Trento, questo dato può addirittura toccare punte del 70%. [Sistema Penale].
La carenza di personale medico specializzato aggrava ulteriormente la situazione. In molte carceri mancano psichiatri, psicologi e altre figure professionali essenziali per una corretta presa in carico dei detenuti con problemi di salute mentale. Le Articolazioni per la Tutela della Salute Mentale (ATSM) sono presenti solo in alcuni istituti, e anche dove esistono, il personale è spesso insufficiente rispetto al numero di detenuti con esigenze psichiatriche.
Nei penitenziari italiani, la carenza di personale sanitario rende difficile fornire assistenza adeguata a oltre il 60% dei detenuti con diagnosi psichiatriche.
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Diritti negati e prospettive di riforma
Le condizioni all’interno degli istituti penitenziari italiani risultano profondamente problematiche; il sovraffollamento unito alla scarsa disponibilità di servizi ha trasformato queste realtà in vere e proprie negazioni dei diritti fondamentali tutelati sia dalla Costituzione italiana che da quelle normative internazionali. Secondo quanto stabilito dall’articolo 27 della Costituzione stessa, le pene non devono comportare trattamenti lesivi del comune sentire umano; anzi dovrebbero tendere a favorire la riabilitazione del soggetto condannato. Ciononostante, l’attuale contesto carcerario appare lontano anni luce da tale aspirazione: caratterizzato da spazi vitali ridotti ai minimi termini ed esigue possibilità d’accesso al mondo del lavoro o a iniziative educative propedeutiche alla reintegrazione sociale. Di conseguenza si palesa come impraticabile qualsiasi progetto concreto volto alla rieducazione.
Ad esempio, in Campania più del 70% della popolazione detenuta è priva di occupazione e solo un esiguo numero – pari a circa il 6% – riesce a fruire delle opportunità formative disponibili. [Rapporto Antigone]. Il sistema giuridico italiano ed europeo ha ripetutamente inflitto sanzioni all’Italia a causa delle condizioni detentive che risultano essere inumane e degradanti. In tale contesto è intervenuta la Corte Costituzionale con decisioni significative come quella evidenziata dalla sentenza n. 135 del 2013; quest’ultima sottolinea l’obbligo da parte dello Stato di garantire una vita rispettosa della dignità umana. Nonostante tali indicazioni vincolanti e i vari appelli della comunità internazionale contro questo stato di cose, si constata una mancanza evidente nelle misure strutturali necessarie per mitigare questa crisi.
Di fronte alla criticità della situazione attuale si alzano quindi ferventi richieste di riforme drastiche e immediate. A tal fine, l’Associazione Luca Coscioni ha preso l’iniziativa intraprendendo battaglie legali; fino ad ora hanno inviato ben 102 diffide alle Direzioni Generali delle ASL situate nelle città dove sono collocati gli istituti penitenziari, denunciando fortemente le carenze nella salute pubblica. Diverse misure correttive sono state proposte da esperti nel settore legislativo, quali la legge Giachetti dedicata alla liberazione anticipata dei detenuti.
Oltre il muro: verso un modello di cura e reinserimento
Il concetto stesso di salute mentale trascende l’idea dell’assoluta assenza di patologie: esso abbraccia invece uno stato ottimale in cui è possibile affrontare le avversità quotidiane ed esprimere appieno le proprie capacità individuali. Nell’ambito carcerario si presenta una vera prova nell’assicurare o nel riacquistare tale equilibrio psicologico; qui lo scenario diventa un complesso terreno d’esperimentazione dove fattori come stress cronico, isolamento forzato e privazioni aumentano vulnerabilità già esistenti nella persona.
In Sardegna si registra una diversificazione degli istituti penitenziari (case circondariali, case di reclusione insieme a colonie agricole), accompagnata da una disponibilità da parte delle autorità locali che potrebbero fungere da apripista per creare nuove possibilità. Emergerebbe quindi la necessità pressante d’un approccio innovativo, progettando uno schema che consideri ogni aspetto dell’individuo ristretto: si tratterebbe pertanto d’instaurare un’infrastruttura interconnessa tra i servizi sanitari – anche psichiatrici – rimanendo in sinergia con il territorio; ciò comporterà non soltanto l’accrescimento delle occasioni formative ma anche progetti diretti al miglioramento sociale attraverso attività ricreative rilevanti. Dovrebbe infine prevalere sul vecchio paradigma rigidamente improntato sulla restrizione fisica quello volto ad enfatizzare la cura del singolo individuo, facilitando così percorsi efficaci per il reinserimento sociale mirati a diminuire il tasso d’incidenza della recidiva.
Perché, come ci ricorda la Costituzione, la pena non è vendetta, ma possibilità di riscatto. E per dare questa possibilità, è necessario investire nella salute mentale, nelle competenze e nelle relazioni umane, anche e soprattutto “oltre il muro”. Riflettiamo: il trattamento che riserviamo a chi ha sbagliato dice molto sulla nostra società.