- Il riconsolidamento della memoria permette di aggiornare i ricordi preesistenti.
- L'EMDR sposta il ricordo traumatico dalla corteccia prefrontale.
- Un studio del 2025 ha rivelato miglioramenti con la stimolazione del nervo vago.
- Angelini Ventures investe 11.25 milioni di euro in Elkedonia.
- Il progetto Mnesys dell'Università di Genova studia la duttile architettura cerebrale.
Recenti avanzamenti nel campo delle neuroscienze stanno ridefinendo la comprensione e il trattamento del Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD). Al centro di questa rivoluzione vi è il concetto di neuroplasticità, la straordinaria capacità del cervello di modificare la propria struttura e funzione in risposta all’esperienza. Fino a poco tempo fa, si riteneva che le tracce mnestiche implicite, inaccessibili alla coscienza, fossero immutabili. Tuttavia, la scoperta del riconsolidamento della memoria ha innescato un cambio di paradigma, offrendo nuove speranze per la modifica di risposte emotive disfunzionali e l’apertura a terapie innovative.
Il riconsolidamento della memoria, identificato da ricerche condotte fino al 2018, rappresenta un meccanismo innato attraverso il quale il cervello può aggiornare il contenuto dei ricordi preesistenti. Questo processo, guidato dall’esperienza, consente la modifica o la sostituzione di apprendimenti emotivi che generano disagio.
Risulta evidente che le risposte emotive disfunzionali siano frequentemente generate da schemi che il sistema nervoso ha assimilato e registrato in virtù della sua naturale plasticità. In tale scenario, la psicoterapia si afferma come un mezzo formidabile atto a facilitare nel paziente lo sviluppo di reazioni emozionali più appropriate; ciò porta ad autentici mutamenti strutturali all’interno del sistema nervoso stesso. I sintomi clinici relativi a una moltitudine di patologie – comprendenti attaccamento insicuro, comportamenti compulsivi, dépendances, depressione, ansia, bassa autostima e perfezionismo – sono ancorati ad apprendimenti emozionali custoditi nella memoria implicita. Pertanto, la ricodificazione delle medesime esperienze diviene un traguardo tangibile nell’ambito della psicoterapia ed è supportata da evidenze solide provenienti dalla ricerca empirica.
Indagini recenti hanno utilizzato tecniche quali la risonanza magnetica funzionale (fMRI), permettendo così analisi comparative dell’attività cerebrale antecedente e successiva alla terapia; i risultati evidenziano modifiche significative nelle risposte neurologiche prestate dai soggetti esaminati. In pazienti affetti da depressione, ad esempio, sono state osservate diminuzioni dell’attività nell’amigdala, una regione chiave nell’attribuzione di significati emotivi ai ricordi, e un aumento dell’attività nella corteccia prefrontale dorsolaterale, responsabile della pianificazione e della regolazione del comportamento. Simili cambiamenti sono stati documentati anche in casi di ansia, disturbi alimentari e sindrome dell’intestino irritabile già nel 2013. Questi risultati indicano che i mutamenti a livello cosciente, indotti dalla psicoterapia, si riflettono in variazioni dell’attività cerebrale, con una riduzione dell’attivazione emotiva e un incremento della riflessività.
“Il cervello è, dunque, caratterizzato dalla neuroplasticità, o rimappatura corticale, che è una complessa e multisfaccettata proprietà che permette, a detto organo, di accordarsi con i cambiamenti ambientali sulla base dello sviluppo, delle condizioni fisiologiche e dell’esperienza. ” – Dr. Bruno Carmine Gargiullo e D.ssa Rosaria Damiani
La psicoterapia, dunque, agendo sulle funzioni coscienti e sul controllo esecutivo, può innescare una vera e propria modificazione strutturale del sistema nervoso, veicolando le risposte emotive disfunzionali dai centri sottocorticali a regioni prefrontali in grado di regolarle.

Terapie innovative e il loro impatto sulla plasticità cerebrale
Il panorama delle terapie per il PTSD si sta arricchendo di approcci innovativi che capitalizzano sulla neuroplasticità per facilitare il recupero. Tra queste, l’Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR), la Mindfulness e il Neurofeedback emergono come strumenti particolarmente promettenti, capaci di indurre cambiamenti profondi a livello neurologico. La terapia EMDR, ad esempio, si basa su un processo strutturato che combina la rievocazione controllata del trauma con movimenti oculari guidati dal terapeuta o altre forme di stimolazione bilaterale.
Questa tecnica è concepita per spostare il ricordo traumatico dalla corteccia prefrontale, dove rimane emotivamente attivo e destabilizzante, verso altre aree della corteccia, favorendone una rielaborazione e un’integrazione più funzionale. Dal lontano 2013 emerge chiaramente che l’EMDR viene considerata una delle metodologie terapeutiche di maggior successo nel trattamento dei disturbi correlati ai traumi. I percorsi terapeutici associati possono oscillare tra 1-3 sedute, equivalenti approssimativamente a un mese nei casi particolari, fino ad estendersi oltre un anno sulla base della complessità e gravità degli eventi traumatici vissuti.
Un’indagine scientifica realizzata in Texas e pubblicata nel maggio 2025 ha rivelato che combinare approcci terapeutici tradizionali con tecniche di stimolazione nervosa, quale quella relativa al nervo vago, potrebbe generare miglioramenti persistenti per i soggetti refrattari alle opzioni terapeutiche standard offerte per il PTSD. Tale studio suggerisce chiaramente che questa forma di stimolazione possa potenziare le doti neuroplastiche cerebrali, rendendo così il soggetto più predisposto ai cambiamenti sollecitati tramite processi psicoterapeutici.
L’adozione della Mindfulness, specialmente attraverso iniziative strutturate come il programma MBSR (Mindfulness-Based Stress Reduction), si rivela proficua nell’accrescere la consapevolezza individuale mentre mitiga gli effetti negativi dello stress. Questo approccio assiste i pazienti nella loro capacità di concentrazione sul presente senza giudizi preconcetti; ciò contribuisce significativamente ad alleviare il peso dei ricordi legati al trauma ed incoraggia lo sviluppo dell’adattamento emotivo noto anche come resilienza. L’integrazione della Mindfulness e della neuroplasticità nel contesto del trauma complesso rivela come la meditazione sia in grado di ridurre lo stress correlato e favorire un processo di guarigione più profondo, grazie alla riorganizzazione delle reti neurali.

Il Neurofeedback, un metodo che insegna al paziente a modulare la propria attività cerebrale in tempo reale, rappresenta un altro approccio promettente. L’EEG (elettroencefalogramma) neurofeedback può infatti invertire gli effetti dei cambiamenti strutturali e funzionali indotti dal trauma. Un intervento di neurofeedback, una tecnica non invasiva, può alleviare i sintomi di paura e ansia legati a memorie traumatiche e ricordi dissociati. Già nell’agosto del 2019, la ricerca ha dimostrato come il Neurofeedback possa essere un valido supporto nella psicoterapia del trauma e degli abusi, favorendo un riequilibrio dell’attività cerebrale e una riduzione dei sintomi invalidanti.
Parallelamente, studi più recenti, come quello del giugno 2025 che ha visto la partecipazione di Angelini Ventures in un round seed da 11.25 milioni di euro per Elkedonia, una startup franco-belga, si concentrano sullo sviluppo di un approccio neuroplastogeno innovativo. Questo approccio mira a individuare e migliorare piccole molecole capaci di ripristinare e amplificare la neuroplasticità, con l’obiettivo di trattare disturbi come la depressione.
L’idea che farmaci come l’MDMA (Ecstasy) possano riportare il cervello a una fase di plasticità, facilitando la cura dei disturbi post-traumatici, è emersa da ricerche su animali già nell’aprile del 2019. Questi studi suggeriscono che l’MDMA potrebbe avere un effetto sui circuiti neurali coinvolti nell’apprendimento e nell’elaborazione emotiva, rendendo il cervello più malleabile e quindi più responsivo alla psicoterapia. Tali scoperte aprono la strada a interventi farmacologici che, in combinazione con la psicoterapia, potrebbero potenziare ulteriormente la capacità del cervello di guarire dal trauma.
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Collaborazioni e nuove prospettive per un futuro di cura
Il progresso nella conoscenza della neuroplasticità nonché nelle sue applicazioni terapeutiche ha suscitato significative collaborazioni fra il mondo accademico e l’industria biotecnologica. Un esempio emblematico è rappresentato dal progetto Mnesys, promosso dall’Università di Genova. Tale iniziativa si configura come la più ampia indagine mai realizzata sul cervello in Italia ed aspira a instaurare innovativi approcci nel campo delle neuroscienze. Secondo quanto reso noto nel giugno 2024, l’intento è quello di amalgamare svariati ambiti d’expertise affinché si possano investigare approfonditamente i meccanismi sottesi alla duttile architettura cerebrale, trasformando così risultati scientifici in pratiche clinicamente rilevanti.
Inoltre, va considerata l’importante funzione svolta dalle neuroscienze computazionali, che offrono sofisticati modelli ed strumenti finalizzati all’analisi intricata delle reti neuronali; ciò consente anche una previsione efficace riguardo alle reazioni del cervello rispetto ai molteplici interventi ricevuti. Tale sinergia interdisciplinare – comprendente ambiti come psicologia, biologia molecolare, ingegneristica fino all’informatica – risulta essenziale per promuovere con maggiore rapidità lo sviluppo di terapie sempre più specifiche ed efficaci destinate al trattamento del PTSD insieme ad altre condizioni patologiche correlate ai traumi vissuti.
La crescente curiosità del mondo occidentale rispetto alle potenzialità delle sostanze psichedeliche, le cui origini risalgono alla fine degli anni ’50 e primi ’60, sta portando a una rinnovata attenzione verso interventi psicologici integrati all’assunzione di composti come la psilocibina. Un articolo del luglio 2025 sottolinea come la psicoterapia integrata con queste sostanze possa offrire nuove vie per accedere e modificare gli stati mentali alterati, favorendo un’elaborazione più profonda dei traumi e una maggiore apertura al cambiamento neuroplastico.

Questo approccio, che richiede protocolli rigorosi e un’attenta supervisione clinica, si sta rivelando promettente nel contesto della ricerca sui disturbi post-traumatici da stress, aprendo la strada a trattamenti che combinano la farmacologia con l’intervento psicologico per massimizzare gli effetti terapeutici. La possibilità che queste sostanze possano agire come “neuroplastogeni”, ovvero composti capaci di promuovere la plasticità cerebrale, è oggetto di intenso studio e potrebbe rappresentare un significativo passo avanti nella cura di condizioni difficili da trattare.
La collaborazione interdisciplinare, la sperimentazione di nuove molecole e l’integrazione di approcci psicoterapeutici diversi sono gli elementi chiave che stanno plasmando un futuro più promettente per le persone affette da PTSD, offrendo prospettive di guarigione e recupero che solo pochi anni fa sembravano irraggiungibili.
L’era del rinnovamento cerebrale: un’analisi sulle capacità innate della mente e sui suoi tesori interiori
Nell’ambito della salute mentale, le correnti di pensiero promosse dalla psicologia cognitiva e comportamentale offrono un principio essenziale: i nostri pensieri e comportamenti, lungi dall’essere fissi o invariabili, scaturiscono da esperienze pregresse soggette a continui apprendimenti e condizionamenti. Con l’approccio adeguato esiste pertanto la possibilità concreta di apportare modifiche significative. Questo fondamento apre la strada al concetto cruciale di neuroplasticità: una facoltà innata del cervello umano capace di ristrutturare i circuiti neuronali limitanti—soprattutto quando vi è stata esperienza traumatica. Un trauma va concepito come molto più che un semplice avvenimento; si presenta invece come una ferita profonda nell’architettura neuronale emersa nel corso della vita delle persone—una vera mutazione nel modo in cui interpretiamo ed interagiamo con l’ambiente circostante.
Approfondendo ulteriormente queste idee preliminari emerge anche la comprensione secondo cui gli apprendimenti emotivi disfunzionali—che inducono reazioni inadatte rispetto a specifiche situazioni—affondano le proprie radici nella memoria implicita; questo aspetto resta generalmente al di sotto della nostra coscienza attiva. In tal senso, l’intervento terapeutico non ha semplicemente lo scopo di interferire con il ragionamento consapevole ma interviene ben più profondamente attraverso processi mirati alla ristrutturazione dei circuiti nervosi coinvolti. È come se il cervello, attraverso l’esperienza terapeutica, imparasse nuove risposte, più funzionali, ai vecchi stimoli traumatici, disinnescando la reazione automatica di paura o disagio.
Questo processo di “riconsolidamento della memoria” è ciò che permette al cambiamento di essere non solo superficiale, ma duraturo e strutturale. È la dimostrazione scientifica che la resilienza non è solo una virtù, ma una capacità biologica di riadattamento. Potremmo riflettere su quanto questo cambi la nostra visione della sofferenza: non è una condanna ineluttabile, ma un percorso che il cervello, con il nostro aiuto, può intraprendere verso una nuova integrità. La mente, dopotutto, non è solo un contenitore di esperienze, ma un fabbro capace di forgiare e riforgiare se stessa.
- Riconsolidamento della memoria: il processo attraverso il quale i ricordi vengono riadattati e modificati.
- Neurofeedback: una tecnica di biofeedback che utilizza l’EEG per insegnare ai pazienti a controllare la propria attività cerebrale.
- MBSR: Il programma conosciuto come Mindfulness-Based Stress Reduction è ideato per affrontare la gestione dello stress, attraverso una sinergia tra pratiche di meditazione e stati di consapevolezza.