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Infortuni sportivi: l’allarme che scuote atleti e società

- Aumento del 35% degli infortuni che richiedono intervento sanitario negli ultimi 5 anni.
- Nel 2023, circa 3,7 milioni di persone trattate per infortuni sportivi.
- Club di Serie A perdono oltre 200 milioni di euro annui per infortuni.
- La Roma ha visto un aumento del 37% dei giorni di infortunio.
- Perdita economica totale dovuta agli infortuni: 1.475 milioni di euro.
Il panorama sportivo contemporaneo è connotato da una incessante ricerca della massima performance e dall’accrescersi delle competizioni nel corso dell’anno. In questo contesto emergente si erge una problematica sempre più significativa: l’impennata nel numero degli infortuni. Non si tratta esclusivamente di aspetti fisici o economici; piuttosto esso incide pesantemente anche sullo stato psicologico degli atleti coinvolti. I dati raccolti recentemente forniscono una visione allarmante della situazione attuale, dal momento che indicano come i traumi nello sport stiano aumentando considerevolmente e siano soggetti a richiedere trattamenti medici.
Nel corso dell’ultimo quinquennio emerge chiaramente dalle analisi condotte come ci sia stata un’espansione del 35% negli incidenti che necessitano intervento sanitario diretto; fra gli atleti semiprofessionisti tale cifra presenta addirittura un’espansione vicina al 45%* se confrontata ai numeri del 2015. Durante l’anno corrente (2023), risultano trattati presso i pronto soccorso circa 3,7 milioni di persone per incidenti associati a pratiche sportive e attività ricreative; questo segna così uno scostamento positivo pari al 2% rispetto all’anno scorso. [National Safety Council].
Sport | Infortuni (2023) | Aumento rispetto al 2022 |
---|---|---|
Esercizio fisico | 482,886 | 8% |
Ciclismo | Non specificato | Non specificato |
Basket | Non specificato | Non specificato |
Questa escalation di infortuni si traduce in costi elevati per le società sportive. Prendendo ad esempio il calcio professionistico, uno sport estremamente popolare e con un calendario particolarmente fitto, il numero medio di infortuni significativi per giocatore a stagione si aggira intorno ai 2,2. Questo comporta un impatto economico stimato in oltre 200 milioni di euro annui per i club di Serie A. La situazione è analoga nelle altre principali leghe calcistiche europee, le cosiddette “Big Five” (Italia, Spagna, Francia, Inghilterra e Germania). L’incremento delle competizioni, pur generando maggiori ricavi commerciali per i club, paradossalmente rischia di causare un danno patrimoniale superiore, proprio a causa delle perdite economiche legate agli infortuni.
Analizzando attentamente le ultime stagioni, si osserva un aumento del 30% dei giorni di infortunio per i club che partecipano alle competizioni europee rispetto a un aumento dell’11% per quelli che non vi prendono parte. Questi numeri sono ancora più impressionanti se visti nelle loro manifestazioni concrete: la Roma, ad esempio, è passata da 992 giorni totali di infortunio nella stagione 22/23 a 1326 nella stagione 23/24, un aumento del 37%. Il Milan ha registrato un incremento del 22%, passando da 1251 a 1532 giorni di infortunio nello stesso periodo. In Inghilterra, il Chelsea ha visto i suoi giorni di infortunio aumentare del 57%, da 1592 a 2503, mentre il Liverpool è passato da 1500 a 1872 giorni, un aumento del 25%. Il Real Madrid in Spagna ha subito un aumento del 146%, passando da 579 a 1427 giorni di infortunio.
I giorni di infortunio si traducono direttamente in perdite economiche considerevoli. Considerando le Premier League, Serie A e Liga Spagnola, la perdita economica totale dovuta agli infortuni ammonta a 1.475 milioni di euro. Oltre ai costi diretti legati all’assenza del giocatore, vi è anche una svalutazione del cartellino del giocatore infortunato. In Serie A, ad esempio, i giorni di assenza costano 120 milioni di euro, mentre la svalutazione incide per 110 milioni, evidenziando un peso quasi paritario tra le due voci.
In questo quadro, la gestione del rischio e la riabilitazione rivestono un ruolo sempre più cruciale. Le società sportive stanno investendo risorse crescenti nella prevenzione e nel recupero degli atleti. Tuttavia, le sfide non mancano, in particolare per quanto riguarda l’accesso ai servizi sanitari per la riabilitazione. In alcune regioni, come la Lombardia, i tempi di attesa per esami diagnostici come TAC o RMN possono superare i 30 giorni, mentre per un intervento chirurgico si arriva a tre mesi. Tali dilazioni inducono gli atleti a rivolgersi a strutture private, con oneri finanziari non sempre affrontabili. Esiste inoltre una forte disparità territoriale nell’offerta di centri all’avanguardia con tecnologie di ultima generazione.
L’impatto psicologico dei traumi sportivi: oltre la lesione visibile
Sebbene la riabilitazione fisica riceva frequentemente tutta l’attenzione necessaria, risulta fondamentale riconoscere come l’impatto psicologico dei traumi sportivi costituisca una dimensione imprescindibile della problematica. Per molti atleti, subire una lesione severa si rivela essere uno dei momenti più angoscianti nella propria carriera. Durante la fase immediatamente successiva all’incidente, i sentimenti provati sono straordinariamente intensi; lo shock iniziale segna solo l’inizio di una serie intricata di reazioni emotive caratterizzate frequentemente da ansia e inquietudine.
Questo tipo d’infortunio erode profondamente il senso consolidato di sicurezza e prevedibilità, frutto del lungo percorso fatto dagli atleti tra rigidi allenamenti e profonda dedizione. Un simile evento induce a percepire ogni ambiente come potenzialmente insidioso; persino quello stadio o quel campo da gioco dove prima ci si sentiva al sicuro diventa ora fonte d’ansia. Sotto questo profilo psicologico, numerosi atleti devono affrontare esperienze quali fluttuazioni umorali, irritabilità, depressione e stati d’ansia. Inoltre, quella stessa apprensione per possibili ulteriori incidenti emerge prepotente nella mente dell’atleta; infatti tale paura risulta uno degli ostacoli principali al reinserimento nel circuito agonistico. [Forbes]. L’ansia da recupero rappresenta uno dei nodi centrali spesso trascurati nel percorso verso la ripresa sportiva. La paura di incorrere nell’incapacità di riacquistare la propria consueta prestazione o il rischio percepito di una ricaduta genera sensazioni opprimenti che minacciano seriamente non solo la reintegrazione nella pratica sportiva, ma anche l’intero iter terapeutico. Inoltre, l’assenza prolungata dal gruppo squadra insieme al distacco dalle attività giornaliere consolidate tende ad aggravare sensazioni di ansia e stati depressivi.
In ambito sportivo, le esperienze traumatiche possono esitare in strascichi duraturi. Mentre alcune tra esse possono essere mitigate attraverso un sostegno mirato ed efficace, altre potenziali difficoltà divengono permanenti qualora non vengano trattate adeguatamente. Dal punto di vista psicologico, è frequente che gli individui rivivano quegli eventi traumatici a livello mentale: tale dinamica conduce alla genesi del disturbo da stress post-traumatico (PTSD), che si manifesta mediante sintomi quali insonnia e fluttuazioni dell’umore legate all’ansia. Sebbene si riconosca comunemente il PTSD come correlato ad esperienze traumatizzanti diverse dai contesti agonistici, incidenti gravi occorsi nel corso della carriera sportiva potrebbero scatenare risposte analoghe, specie negli atleti precedentemente caratterizzati da fragilità psicologica.
La paura di infortunarsi nuovamente, conosciuta come kinesiofobia, è un altro ostacolo psicologico che gli atleti devono superare. Favorire un rientro in campo sereno e graduale è fondamentale per scongiurare l’insorgenza di questa paura e permettere all’atleta di riacquistare fiducia nel proprio corpo e nelle proprie capacità. La riabilitazione affrettata, spesso dettata da esigenze agonistiche o pressioni esterne, aumenta significativamente il rischio di recidive, con studi scientifici che dimostrano un aumento del 30-50% del rischio nei primi sei mesi dopo il ritorno in campo. Questo ciclo di infortunio, riabilitazione affrettata e nuova lesione può avere un impatto devastante sulla fiducia e sul benessere psicologico dell’atleta.
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La complessità della riabilitazione post-trauma e il ruolo del supporto psicologico
Il processo di recupero da un infortunio sportivo è un percorso complesso che va ben oltre la mera guarigione fisica. Si articola generalmente in tre fasi: la fase acuta post-infortunio, la fase di riabilitazione e la fase di ritorno allo sport. In ognuna di queste fasi, l’aspetto psicologico gioca un ruolo fondamentale. Nella fase acuta, come accennato, predominano emozioni intense come shock, paura e rabbia. L’accettazione dell’infortunio e l’elaborazione delle emozioni negative sono passaggi cruciali. La fase di riabilitazione è un periodo lungo e impegnativo, che richiede pazienza, disciplina e motivazione. Durante questo periodo, l’atleta può sentirsi frustrato dai progressi lenti, scoraggiato dalle battute d’arresto e isolato dalla squadra. Il supporto sociale, da parte di familiari, amici, compagni di squadra e allenatori, è vitale in questa fase.
Il contributo dei professionisti della salute mentale nel contesto sportivo sta acquisendo riconoscimento significativo. Infatti, gli psicologi dello sport, attraverso metodi mirati come tecniche di coping, visualizzazione e impostazione degli obiettivi (goal setting), forniscono assistenza essenziale agli atleti durante i periodi d’infortunio. Questi approcci favoriscono lo sviluppo da parte dell’atleta di strategie idonee a fronteggiare le complessità del processo riabilitativo e garantiscono una costante motivazione. È importante notare che un intervento psicologico efficace permette anche all’atleta una ridefinizione dell’identità personale, aspetto cruciale poiché la pausa dall’attività agonistica genera spesso sentimenti dolorosi legati alla perdita e al vuoto.
Particolarmente critica risulta essere quella fase in cui si riprende a praticare lo sport; essa è caratterizzata da vulnerabilità psichica significativa. Anche se il recupero fisico è completo, permane nell’atleta una inquietudine collegata al possibile re-infortunio o alla preoccupazione circa un’eventuale incapacità nel soddisfare elevate aspettative prestazionali. Un ritorno graduale e monitorato, accompagnato da un supporto psicologico continuo, è essenziale per garantire una transizione serena e ridurre il rischio di ricadute, sia fisiche che psicologiche.
È fondamentale che il sistema sanitario e le società sportive collaborino per garantire un accesso rapido ed efficace ai servizi di riabilitazione e al supporto psicologico. Le lunghe liste d’attesa per esami diagnostici e interventi chirurgici, così come la disparità nell’offerta di strutture riabilitative sul territorio, rappresentano ostacoli significativi. L’integrazione tra settore sanitario, federazioni sportive e compagnie assicurative, come evidenziato dalla crescente offerta di polizze assicurative specifiche per gli atleti, può contribuire a creare un sistema più efficiente e a garantire agli atleti il percorso di recupero ottimale.
Superare l’infortunio: un percorso di crescita e resilienza
Affrontare un trauma nello sport non equivale semplicemente a recuperare le capacità fisiche perdute; si tratta piuttosto di una vera sfida per la resilienza mentale dell’atleta stesso. Quella fase critica rappresenta uno snodo fondamentale: se affrontato con il giusto approccio, questo periodo critico ha il potenziale per evolversi in un’opportunità preziosa per lo sviluppo personale. L’intensa emozionalità iniziale – spesso segnata da shock ed elaborata negazione – si evolve man mano verso stati emotivi come rabbia e frustrazione causati dalla transitoria incapacità atletica. Successivamente all’overwhelming iniziale è indispensabile che l’atleta accolga questa nuova condizione esistenziale pur sforzandosi attivamente nella fase della riabilitazione.
Il cammino intrapreso necessita infatti di una notevole forza interiore associata ad autodisciplina costante; le sedute talvolta lunghe ed estenuanti del processo riabilitativo possono seriamente compromettere ogni slancio motivazionale esistente nel soggetto coinvolto. È qui che emerge l’importanza cruciale del contributo fornito dallo psicologo specializzato nello sport: attraverso strategie basate sulla psicologia comportamentale, questo professionista ha modo di assistere gli atleti nel fissare traguardi praticabili oltreché monitorarne meticolosamente i risultati ottenuti incoraggiando altresì atteggiamenti proattivi indirizzati al recupero fisico totale. Le tecniche di psicologia cognitiva possono essere utilizzate per ristrutturare i pensieri negativi e irrazionali legati all’infortunio e al futuro agonistico, sostituendoli con convinzioni più positive e funzionali.
Un trauma sportivo può anche portare l’atleta a confrontarsi con aspetti più profondi della propria identità. Se l’identità dell’atleta è interamente legata alla performance sportiva, l’infortunio può causare un profondo senso di perdita e smarrimento. In questo senso, l’infortunio può essere un’opportunità per esplorare e sviluppare diverse sfaccettature della propria persona, al di là del ruolo di atleta. Questa esplorazione può essere facilitata dal supporto psicologico, che aiuta l’atleta a ridefinire la propria identità in modo più ampio e integrato.
A tal proposito sembra utile avviare una riflessione puntuale: secondo quanto sostiene la psicologia cognitiva, le modalità attraverso cui interpretiamo certe situazioni hanno effetto diretto sulle emozioni che proviamo e sui comportamenti successivamente adottati. Quando ci troviamo davanti a un infortunio, l’approccio attitudinale dell’atleta – intesa l’esperienza come dramma irreversibile piuttosto che opportunità da affrontare – giocherà un ruolo determinante nella sua risposta emotiva così come nella sua resistenza allo stress. Comprendere i propri schemi di pensiero e modificarli può fare una differenza enorme nel percorso di recupero.
Andando un po’ più in profondità, possiamo pensare a come i traumi sportivi possano interagire con la teoria dell’autodeterminazione, un concetto della psicologia comportamentale. Questa teoria suggerisce che le persone sono motivate intrinsecamente quando si sentono competenti, autonome e legate agli altri. Un infortunio può minare tutti e tre questi bisogni: riduce la competenza (l’atleta non può più performare al suo livello), limita l’autonomia (dipende dagli altri per la riabilitazione) e può causare isolamento sociale. Riprendersi da un infortunio comporta la necessità di restituire importanza a tre esigenze essenziali che sono alla base del nostro benessere psicologico e della motivazione intrinseca. Esaminare l’impatto che un incidente ha avuto su tali elementi della nostra motivazione rappresenta una straordinaria opportunità di sviluppo personale, valida non soltanto per gli sportivi, ma anche per chiunque si ritrovi ad affrontare momenti difficili nel corso dell’esistenza.
- Dati e statistiche sugli infortuni sportivi e ricreativi dal National Safety Council.
- Analisi AIC sull'incidenza degli infortuni e i giorni medi di stop.
- Dettaglio cronologico degli infortuni subiti da Mike Maignan, utile per approfondire.
- Sito ufficiale del National Safety Council, dati sugli infortuni sportivi.
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