Infortuni e salute mentale: come proteggere gli atleti nel 2025

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  • Nel 2023, 430.000 persone hanno subito infortuni sportivi.
  • L'oms raccomanda 150 minuti di attività fisica a settimana.
  • Disturbi alimentari colpiscono fino al 19% degli atleti uomini.

Il panorama sportivo contemporaneo si trova ad affrontare una sfida complessa e spesso sottovalutata: l’impatto degli infortuni fisici sulla salute mentale degli atleti. Negli ultimi anni, grazie anche al coraggio di figure di spicco, è emersa una consapevolezza crescente riguardo alla correlazione tra benessere fisico e psicologico nel contesto agonistico. Eventi come il ritiro di Simone Biles alle Olimpiadi di Tokyo 2020 e le dichiarazioni di Naomi Osaka, risalenti a luglio 2021, hanno aperto un dibattito fondamentale, mettendo in discussione la percezione tradizionale dell’atleta come una macchina invulnerabile. Questi episodi, insieme alle testimonianze di sportivi come Mattia Perin e le gemelle Gadirova, evidenziano come problematiche quali depressione, ansia, disturbi alimentari e persino la vigoressia, non siano affatto estranee all’élite sportiva e agli ambienti amatoriali.

Statistiche recenti sugli infortuni sportivi Nel 2023, un <a class="crl" target="_blank" rel="nofollow" href="https://www.bfu.ch/it/l-upi/media/barometro-della-sicurezza-nello-sport-2023″>barometro ha rivelato che ogni anno 430.000 individui riportano lesioni mentre si dedicano ad attività sportive, tra cui figurano ben 15.000 incidenti di entità grave; tale cifra evidenzia una tendenza all’aumento. [Rapporto Barometro della sicurezza nello sport 2023]. Malgrado i noti vantaggi che derivano dall’attività sportiva sul piano fisico, mentale ed interpersonale, una recente pubblicazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), svelata in Lituania durante le celebrazioni del bicentenario dalla creazione della HEPA Europe Network, ha messo in evidenza come praticare uno sport non conduca necessariamente a un benessere ottimale. Rischi di infortunio, episodi di esclusione sociale o discriminazione e perfino il problema delle sponsorizzazioni poco etiche possono compromettere i benefici attesi. Questo documento si rivolge specificamente a club atletici e figure decisionali con l’intento di inserire efficacemente il sostegno alla salubrità nella routine dello sportivo quotidiano. Viene quindi proposta una transizione dal metodo passivo verso strategie più organizzate ed efficaci. In particolare, sono messi in risalto alcuni valori fondamentali da tenere presenti: è essenziale sostenere vari aspetti legati al benessere che vanno oltre il semplice esercizio fisico; includono infatti anche tematiche quali l’alimentazione sana, l’inclusione sociale, la sostenibilità ambientale, il sostegno alla salute mentale, e le misure preventive contro gli incidenti.

Questo approccio olistico riconosce che il benessere dell’atleta va ben oltre la pura performance fisica e richiede un’attenzione costante e multidisciplinare. Si evidenzia che l’aumento dell’attività fisica ai livelli minimi raccomandati dall’Oms (150 minuti di attività fisica di intensità moderata a settimana) eviterebbe 11,5 milioni di nuovi casi di MNT entro il 2050, inclusi 3,8 milioni di casi di malattie cardiovascolari e oltre 400.000 casi di cancro, con benefici economici stimati in 8 miliardi di euro all’anno. Questi dati, menzionati in un articolo del 18 settembre 2025, rafforzano l’urgenza di un approccio integrato.

Recenti studi confermano: La partecipazione allo sport, sia a livelli amatoriali che competitivi, è correlata a numerosi benefici per la salute mentale, inclusi miglioramenti della salute psicologica e risultati sociali positivi. La partecipazione continuativa è associata a livelli più elevati di autostima e minori sintomi depressivi [Il legame tra salute mentale e sport].

Il cammino di recupero da un infortunio, in particolare quelli considerati “emotivi” come descritto dal portiere Mattia Perin in un podcast della Juventus del 2 novembre 2023, spesso inizia quando una serie di contrattempi fisici porta a un vero e proprio disamore per lo sport. Perin, che ha subito ben cinque operazioni, ha riconosciuto che in realtà si trattava di infortuni emotivi, sottolineando come “chiedere aiuto non è sintomo di debolezza, ma è segno di coraggio”. Il suo percorso è iniziato nel biennio 2018-2019 con una mental coach, evidenziando il valore della psicoterapia non solo per gli atleti, ma per chiunque si trovi ad affrontare momenti difficili. Le sue parole, insieme a quelle del professor Giuseppe Vercelli, Juventus Psychological Area Manager, che ha presentato il podcast “Stories of Strength”, sottolineano l’impegno del club nel curare anche la preparazione mentale degli atleti, un progetto nato nel 2008 con finalità educative.

Ricomposizione e sostegno emotivo: Il percorso di recupero degli atleti è integrato da un approccio multidisciplinare che unisce riabilitazione fisica e supporto psicologico, fondamentale per una ripresa completa.

Il 7 aprile 2025, un articolo ha riportato che l’apertura di Rebeca Andrade sul recupero da tre infortuni del crociato anteriore ha offerto conforto alle gemelle Gadirova e all’azzurra Asia D’Amato, anch’esse alle prese con gravi infortuni al crociato, dimostrando la potenza della condivisione esperienziale tra atlete. Naomi Osaka, nel luglio 2021, aveva già anticipato questa riflessione, affermando che “parlando a voce alta potrei aver salvato una vita”. Analogamente, Simone Biles ha trovato ispirazione nella posizione di Osaka, decidendo di agire con coraggio di fronte ai suoi ‘twisties’ a Tokyo 2020. Questi casi evidenziano una realtà complessa e interconnessa, dove il benessere mentale è un pilastro fondamentale della performance e del recupero.

Neuroscienze e dinamiche psicologiche nel recupero post-infortunio

La profonda interconnessione tra traumi fisici e salute mentale negli atleti è un campo che le neuroscienze stanno esplorando con crescente interesse, svelando i meccanismi cerebrali coinvolti nella regolazione delle emozioni e nella risposta allo stress. Un infortunio grave, come la rottura del legamento crociato anteriore che ha colpito Rebeca Andrade, le gemelle Gadirova e Asia D’Amato, non è solo una lesione biologica, ma un evento traumatico che può innescare una serie di reazioni psicologiche complesse.

Il modello bio-psico-sociale: La salute non dipende esclusivamente da fattori fisici, ma è influenzata anche da aspetti psicologici e sociali, come evidenziato dal modello bio-psico-sociale, fondamentale per un recupero completo dopo un infortunio. L’integrazione di diversi professionisti è essenziale per affrontare la complessità dell’atleta e le sue esigenze.

Dal punto di vista neuroscientifico, il trauma fisico attiva l’amigdala, il centro della paura nel cervello, e l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), scatenando una risposta allo stress che produce cortisolo. Livelli elevati e prolungati di cortisolo possono influenzare negativamente l’ippocampo, cruciale per la memoria e la regolazione emotiva, e la corteccia prefrontale, coinvolta nella pianificazione e nel controllo degli impulsi. Questa alterazione può manifestarsi con sintomi di depressione, ansia, irritabilità, perdita di motivazione e difficoltà di concentrazione, come notato nell’esperienza di Simone Biles con i ‘twisties’, che rappresentano una disconnessione tra mente e corpo a livello neurologico.

Lo psicologo e psicoterapeuta Emanuel Mian, in un articolo del 28 marzo 2025, ha sottolineato come l’ossessione per l’allenamento e l’immagine corporea possa sfociare in disturbi del comportamento alimentare (DCA), un fenomeno in crescita costante e particolarmente problematico nel mondo sportivo.

Statistiche DCA Atlete Donne Atleti Uomini
Prevalenza di disturbi del comportamento alimentare 14% – 45% Fino al 19%

Questi disturbi, come l’anoressia, la bulimia e la vigoressia – la dismorfia muscolare in cui l’atleta si percepisce sempre troppo piccolo o non abbastanza muscoloso – sono spesso innescati da una profonda distorsione nella percezione del proprio corpo, amplificata dalla pressione del contesto sportivo. Da una prospettiva neurobiologica, si osserva che i disturbi del comportamento alimentare (DCA) influenzano profondamente i circuiti cerebrali dedicati alla ricompensa oltre ai meccanismi implicati nella regolazione dell’appetito, attivando sostanze chimiche come dopamina e serotonina. Il fervente desiderio di controllare l’alimentazione insieme all’esercizio fisico tende a generare un ciclo vizioso costituito da pensieri ossessivi e azioni compulsive; questa spirale impattante va a ledere sia la salute fisica che quella psichica o sociale delle persone interessate.

Una significativa preoccupazione rilevata da Mian è rappresentata dalla sottorappresentazione nel campo sportivo delle figure professionali qualificate, quali gli psicologi specializzati nel comportamento alimentare. Spesso ci si avvale della collaborazione dei mental coach: sebbene utilissimi nell’ambito prestativo agonistico, non sono equipaggiati con le conoscenze necessarie per riconoscere né affrontare disordini psichici complessi; sottolineando così l’urgenza che tematiche riguardanti la sanità mentale siano esclusive responsabilità degli esperti nel settore terapeutico quali psicologia o psichiatria. La rinomata occasione del Summit Internazionale su Sport and Medicine svoltosi allo Stadio Olimpico romano lo scorso 17 settembre del corrente anno ed evidenziato in data successiva al 22 luglio, così come lo previsto Summit della Molisana fissato al prossimo 18 settembre, confermano ulteriormente quanto sia cruciale promuovere scambi conoscitivi tra discipline differenti. Questi eventi hanno incluso esperti di medicina sportiva, fisioterapisti, tecnici ortopedici e psicologi, segnalando un’evoluzione verso un approccio più integrato.

Strategie preventive: È essenziale sviluppare programmi che prevengano i DCA, fornendo un ambiente in cui la salute mentale è prioritizzata, e dove gli allenatori sono formati per riconoscere i segnali d’allerta.

La consapevolezza che l’atleta non è solo un corpo, ma un sistema complesso in cui mente e fisico sono interconnessi, spinge verso l’adozione di strategie di intervento psicologico e di supporto mirate. Il cammino per affrontare questi infortuni “emotivi” passa attraverso il riconoscimento dei segnali d’allarme – perdita di peso improvvisa, ossessione per le calorie, allenamenti eccessivi, cambiamenti d’umore, isolamento sociale – e la creazione di un ambiente sano che promuova il benessere dell’atleta prima del risultato, un tema sottolineato anche da un articolo del 21 maggio 2025 riguardo alle pressioni di genitori e allenatori che portano il 70% dei bambini ad abbandonare lo sport entro i 13 anni.

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Strategie di intervento e il ruolo della prevenzione

Affrontare gli effetti deleteri provocati da infortuni e pressioni mentali sulla psiche degli atleti richiede l’implementazione di approcci innovativi ispirati alle più avanzate conoscenze nel campo delle neuroscienze e della psicologia comportamentale. Un passo iniziale indispensabile consiste nel fostering of a sporting culture that normalizes the request for psychological help, contribuendo così a rimuovere lo stigma associato alla fragilità emotiva. La figura emblematicamente rappresentativa del nuotatore Michael Phelps evidenzia questa necessità: il suo percorso attraverso momenti bui legati alla depressione dopo ciascuna olimpiade ha trasformato il suo status in quello di fervente promotore del benessere mentale; le sue parole, “la vulnerabilità è una cosa buona… significa solo cambiamento”, offrono uno spunto significativo per considerare il processo di guarigione.

In ambito cognitivo-comportamentale risulta essenziale supportare gli atleti nell’opera di ristrutturazione dei pensieri nocivi o disfunzionali che possono insorgere durante i periodi post-infortunio o quando si confrontano con disturbi alimentari. Tecniche come la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) possono essere integrate nei percorsi di riabilitazione, focalizzandosi sull’identificazione e la modifica di schemi di pensiero distorti, come l’ossessione per la perfezione corporea o la paura di non essere più all’altezza dopo un infortunio. Questa terapia aiuta a sviluppare meccanismi di coping più adattivi, rafforzando l’autostima e la resilienza. Dal punto di vista comportamentale, l’introduzione di programmi di allenamento che alternino giorni di attività intensa a giorni di riposo, come evidenziato in un articolo del 6 ottobre 2024, è essenziale per il recupero fisico e mentale e per la prevenzione degli infortuni. Questo approccio riconosce che il riposo non è solo una componente passiva del recupero, ma una fase attiva e necessaria per la crescita muscolare e il benessere psicologico.

Il supporto della multidisciplinarità: L’intervento deve coinvolgere medici, psicologi, nutrizionisti e preparatori atletici, lavorando insieme per garantire un recupero olistico dell’atleta.

La prevenzione gioca un ruolo chiave, specie negli sport a rischio come la ginnastica ritmica, la danza classica, il pattinaggio artistico e gli sport con categorie di peso (judo, boxe), dove l’aspetto fisico e il controllo del peso sono costantemente sotto esame. È necessario evitare commenti sul peso e sull’aspetto fisico degli atleti, come suggerito da Mian, e focalizzarsi invece su forza, tecnica e capacità atletiche. La gestione dell’alimentazione deve essere affidata a professionisti qualificati (dietisti, nutrizionisti), scoraggiando il “fai-da-te” e i consigli dietetici non richiesti. Gli allenatori, in questo contesto, assumono un ruolo “decisivo e cruciale” nella prevenzione e nella gestione dei DCA, imparando a riconoscere i segnali d’allarme e incoraggiando un dialogo aperto ed empatico. L’influenza negativa dei social media, con fitness influencer spesso impreparati, rende ancora più urgente l’intervento di figure professionali e la creazione di un ambiente di squadra positivo, dove il benessere dell’atleta venga promosso prima del risultato.

Dati allarmanti: Il 70% dei bambini abbandona lo sport entro i 13 anni a causa delle pressioni, aumentando la necessità di strategie di intervento efficaci. [Dati del settore sportivo]

L’obiettivo è costruire una cultura sportiva in cui la salute, intesa nella sua complessità psico-fisica, sia centrale in ogni sua fase, dalla formazione giovanile all’agonismo di alto livello. È essenziale che si instauri un impegno collettivo, coinvolgendo non solo i club, ma anche i dirigenti, i genitori, gli allenatori e i professionisti della salute mentale.

L’importanza di una mente sana in un corpo forte: riflessioni sulla neuroplasticità e la resilienza

L’interrelazione fra salute mentale e fisica rappresenta uno dei temi cardine nell’ambito del benessere umano. Non si può sottovalutare l’impatto che una mente equilibrata ha sull’efficienza del nostro bustro energetico. L’idea della neuroplasticità indica quanto sia affascinante scoprire come il nostro cervello possa rimodellarsi attraverso esperienze vissute; ciò consente infatti agli individui non solo di adeguarsi alle sfide quotidiane ma anche di ottenere quella forza interiore nota come resilienza.

Il confine tra una sana attenzione all’alimentazione e all’allenamento e un’ossessione dannosa si varca quando il cibo e l’esercizio smettono di essere fonti di piacere e nutrimento per trasformarsi in cause di ansia, paura o senso di colpa. Quando ogni pasto diventa un’angoscia, quando il peso si trasforma in un’ossessione costante, o quando si alternano diete punitive ad abbuffate seguite da comportamenti compensatori, l’equilibrio si rompe. L’atleta, in questi casi, compromette non solo la salute fisica, con carenze nutrizionali e infortuni, ma anche il piacere stesso dello sport e della vita sociale, come sottolinea Mian.

Dal punto di vista della psicologia cognitiva, un concetto fondamentale è quello di neuroplasticità: la capacità del nostro cervello di modificarsi e riorganizzarsi in risposta all’esperienza. Questa plasticità è cruciale nel recupero da un infortunio o da un trauma psicologico. Quando un atleta subisce un infortunio, non solo il corpo fisico guarisce, ma anche le connessioni neurali relative al movimento, alla percezione di sé e alla gestione dello stress devono essere “riscritte”. Un approccio psicologico mirato, che includa tecniche di visualizzazione, mindfulness e training autogeno, può favorire la neuroplasticità, permettendo al cervello di creare nuove vie neurali che supportino la ripresa e rafforzino la resilienza.

Resilienza e preparazione mentale: La resilienza non è una qualità innata, ma una competenza che può essere sviluppata attraverso allenamenti mentali.

La consapevolezza di questa intrinseca connessione tra mente e corpo non è un optional, ma un prerequisito per navigare le complesse sfide dello sport moderno. Come esseri umani, siamo tutti soggetti a momenti di difficoltà emotiva, e riconoscere che anche gli eroi dello sport attraversano queste prove dovrebbe essere un monito per ciascuno di noi a coltivare la propria salute mentale con la stessa dedizione con cui curiamo il nostro corpo. Chiedere aiuto, come suggerito da Mattia Perin, non è un segno di debolezza, ma un gesto di profonda intelligenza emotiva, un passo verso una maggiore consapevolezza di sé che, proprio in virtù della neuroplasticità, può aprire la strada a un cambiamento radicale e duraturo. Pensiamo all’atleta che, dopo un infortunio, anziché cedere alla disperazione, decide di dedicarsi con la stessa disciplina all’allenamento mentale: sta attivamente rimodellando il suo cervello, creando un terreno fertile per un ritorno non solo fisico, ma anche psicologico, ben più forte e consapevole di prima. Questa è la vera lezione che lo sport, attraverso il dolore e la ripartenza, può offrire alla vita di tutti i giorni.

Glossario:
  • Neuroplasticità: la capacità del cervello di modificarsi e riorganizzarsi.
  • Disturbi del comportamento alimentare (DCA): disturbi caratterizzati da comportamenti alimentari anormali e preoccupazioni eccessive riguardanti il cibo e il peso.


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