Incidenti a Monza: l’impatto psicologico in azienda, cosa fare?

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  • Oltre il 60% delle vittime di infortuni soffre di ansia e depressione.
  • Burnout aumentato del 17,9% nel primo trimestre del 2024.
  • Operaio: «Ho visto il mio collega cadere; per settimane non ho chiuso occhio».

Nel panorama odierno della sicurezza sul lavoro, l’attenzione si concentra spesso sui danni fisici immediati, trascurando una dimensione altrettanto critica e profondamente impattante: il trauma psicologico. Recenti episodi, come quelli verificatisi a Monza, sottolineano la necessità impellente di un’analisi approfondita su come gli incidenti sul luogo di lavoro non solo alterino la vita di chi li subisce direttamente, ma creino anche un’eco di disagio e sofferenza tra i colleghi e l’intero ambiente lavorativo. Non si tratta solamente di contusioni o fratture, ma di ferite invisibili che possono compromettere la salute mentale a lungo termine di individui e comunità. La cronaca recente ha evidenziato come le conseguenze di tali eventi possano estendersi ben oltre l’episodio acuto, manifestandosi attraverso sintomi complessi e duraturi che rientrano nel vasto spettro dei disturbi legati allo stress e al trauma. [Fonte]

La natura degli incidenti, sebbene vari, spesso condivide un elemento comune: l’esposizione a situazioni di forte stress acuto, minaccia alla vita o integrità fisica, propria o altrui. A Monza, due eventi distinti, ma altrettanto gravi, hanno riacceso i riflettori su questa problematica. Il primo, avvenuto il 10 giugno 2024 alle 11:30 del mattino, ha coinvolto un operaio edile di 45 anni precipitato da una impalcatura a un’altezza di circa 10 metri. L’uomo, impegnato in lavori di ristrutturazione su un edificio residenziale, ha riportato lesioni multiple, tra cui fratture esposte alle gambe e un trauma cranico. La sua prognosi è riservata, ma, al di là dell’aspetto fisico, l’impatto psicologico di una caduta da tale altezza è incalcolabile.

I colleghi presenti, testimoni diretti dell’accaduto, hanno vissuto momenti di puro terrore e impotenza, un’esperienza che può facilmente sfociare in ansia, disturbi del sonno e, in alcuni casi, disturbo post-traumatico da stress (PTSD). Una recente indagine ha rivelato che oltre il 60% delle vittime di infortuni soffre di ansia e depressione, [Respira] una condizione che rischia di compromettere il reinserimento nel contesto lavorativo. [Mindful Safety]

Il secondo incidente a Monza, verificatosi l’8 luglio 2024 alle 14:00, ha visto protagonista un dipendente di 32 anni di un’azienda logistica. Durante le operazioni di carico e scarico merci, l’uomo è rimasto intrappolato tra due macchinari pesanti, subendo gravi lesioni interne e fratture al bacino e al torace. Anche in questo caso, la prognosi è seria.

Entrambe le situazioni non sono semplici statistiche di infortuni sul lavoro; rappresentano piuttosto squarci dolorosi nel tessuto sociale e psicologico di chi le vive e di chi ne è testimone. La psicologia comportamentale ci insegna che l’esposizione a eventi traumatici, specialmente in contesti professionali dove la sicurezza dovrebbe essere garantita, può alterare profondamente le percezioni di rischio e fiducia negli ambienti lavorativi. [Fondazione IRCSS]

Nota: secondo un recente studio, il burnout è aumentato del 17,9% nel primo trimestre del 2024, evidenziando il crescente bisogno di supporto psicologico nei luoghi di lavoro. [Respira]

La resilienza individuale gioca un ruolo fondamentale, ma non è sufficiente a mitigare l’impatto di eventi così destabilizzanti. È cruciale comprendere che l’effetto a catena di un incidente sul lavoro non si ferma al Pronto Soccorso o al periodo di convalescenza. Si insinua nelle menti dei colleghi, generando paura, incertezza e, talvolta, sentimenti di colpa o impotenza. Chi ha assistito può sviluppare una forma di “trauma vicario”, assorbendo parte dello stress e della sofferenza della vittima. Questo si traduce in un aumento dell’assenteismo, una diminuzione della produttività e un deterioramento generale del clima aziendale. È un segnale che il benessere psicologico non può essere relegato a un aspetto marginale delle politiche di sicurezza, ma deve essere integrato come componente essenziale e proattiva. La salute mentale, in questo contesto, emerge come una variabile strategica per la continuità operativa e il sostentamento di un ambiente lavorativo sano e produttivo. La rilevanza di questi eventi nel panorama della psicologia cognitiva e comportamentale è evidente, poiché ci spingono a riconsiderare le strategie di prevenzione non solo in termini di sicurezza fisica, ma anche psicologica. [Punto Sicuro]

Prevenzione e supporto: un bilancio critico

In considerazione della severità della situazione relativa agli incidenti lavorativi e alle ripercussioni che questi possono avere sulla salute mentale dei dipendenti, risulta fondamentale valutare le strategie preventive attualmente implementate nonché i sistemi predisposti per il sostegno psicosociale ai lavoratori. Mentre la legislazione italiana ha registrato progressi notevoli grazie all’adozione delle normative europee riguardanti la sicurezza nel lavoro, rimangono evidenti delle importanti lacune, specialmente per ciò che riguarda il trattamento delle ripercussioni mentali derivanti da tali eventi. Il sistema preventivo relativo agli incidenti occupazionali è fondato su parametri tecnici consolidati e sulla formazione pratica, oltre che sull’impiego dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI). Nonostante ciò, appare evidente una trascuratezza nei riguardi degli aspetti psicologici inerenti alla salvaguardia del personale. In particolare, risulta carente la preparazione nell’affrontare lo stress durante eventi critici, l’informazione sui rischi psichiatrici connessi al lavoro oppure l’attuazione di iniziative dirette a fornire sostegno prima dell’insorgere dell’incidente, risultando tali interventi poco comuni o mal organizzati. [CNOP]

I protocolli di supporto post-incidente, pur esistenti, spesso si rivelano insufficienti o tardivi. In seguito a un evento traumatico significativo e perturbante, l’attenzione si rivolge necessariamente all’assistenza medica immediata e al lavoro investigativo volto a determinare le responsabilità dei fatti occorsi. Tuttavia, il supporto psicologico tende ad essere disponibile solo in seconda battuta, rischiando così di arrivare quando il trauma è ormai ben ancorato nella psiche degli individui coinvolti. Sebbene i servizi dedicati all’assistenza psicologica siano attivi in alcune grandi aziende, è comunque evidente che costituiscono ancora una minoranza; molte delle microimprese e delle piccole-medie realtà imprenditoriali restano pertanto sprovviste degli strumenti necessari per affrontare tali emergenze emotive. Ove tali risorse siano disponibili, dunque, non è raro imbattersi nella profonda stigmatizzazione associata alla ricerca del supporto mentale.

A tal proposito emerge la testimonianza toccante di un operaio cinquantaduenne presente durante l’incidente avvenuto nell’agosto del 2023: «Ho visto il mio collega cadere; per settimane non ho chiuso occhio; avevo gli incubi. Ma chi ne parla? Ti dicono ‘sei forte’, ‘vai avanti’». Questo racconto sottolinea la persistente “cultura della resilienza silenziosa”, sempre predominante a spese della tutela della salute mentale individuale. [Ambiente & Sicurezza]

Nel contesto dei traumi, i protocolli di debriefing psicologico o di supporto tra pari dovrebbero essere attivati immediatamente a seguito di un evento critico. Le esperienze condivise da alcuni impiegati in una realtà metalmeccanica hanno offerto spunti significativi riguardo a un incidente gravissimo avvenuto nel 2022, il quale ha comportato ripercussioni permanenti per uno dei loro colleghi. Questi lavoratori hanno espresso che «non abbiamo avuto alcun tipo di supporto organizzato. Ognuno ha dovuto fare i conti con quello che ha visto a modo suo. Alcuni sono cambiati, non lavorano più con la stessa serenità». Tale affermazione rivela inequivocabilmente una carenza strutturale: l’assenza di un approccio proattivo e strutturato alla gestione del trauma psicologico successivamente all’incidente stesso. L’indagine su come il cervello umano gestisce le esperienze traumatiche rappresenta una dimensione cruciale della psicologia cognitiva, suggerendo così l’importanza fondamentale dell’intervento immediato al fine di contrastare la possibilità che i sintomi possano diventare cronici. [Ambiente & Sicurezza]

Le interviste con psicologi specializzati in traumi lavorativi hanno rivelato un quadro ancora più dettagliato. La Dottoressa Sofia Rossi ha accumulato più di 15 anni d’esperienza come psicologa del lavoro e osserva: «Spesso le aziende ci chiamano quando il danno è già fatto. Sarebbe fondamentale un intervento preventivo che includa programmi di sensibilizzazione, formazione sulla gestione dello stress e la creazione di una cultura aziendale che normalizzi la richiesta di aiuto per problemi di salute mentale». Allo stesso modo si esprime il Dottor Marco Bianchi; psichiatra ed esperto in consulenze aziendali, afferma quanto sia cruciale «monitorare anche i colleghi indirettamente coinvolti», poiché potrebbero mostrare segni preoccupanti come sintomi da stress secondario o addirittura soffrire per trauma vicario. Le evidenze in campo della medicina riguardante la salute mentale indicano chiaramente come un trattamento anticipato possa abbattere drasticamente i rischi associati a disturbi cronici quali depressione e PTSD complesso. Tali professionalità si accordano nel considerare necessaria un’innovazione nel paradigma: è essenziale transitare da strategie reattive ad altre proattive, permettendo l’integrazione della sfera psicologica nella più ampia strategia relativa alla sicurezza e al benessere lavorativo.

In sintesi:
  1. La numeizzazione dei dipendenti è fondamentale per prevenire traumi.
  2. L’importanza di un intervento precoce è cruciale per il recupero.
  3. Le pratiche di mindfulness possono ridurre l’impatto degli eventi traumatici.
Cosa ne pensi?
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  • Trovo che l'articolo ignori completamente le responsabilità individuali...😠...
  • Forse dovremmo chiederci se l'ossessione per la sicurezza non stia creando...🤔...

Testimonianze e opportunità di miglioramento

Il confronto diretto con coloro che hanno sperimentato gli effetti traumatici sul luogo di lavoro o che hanno assistito alle sue ripercussioni disastrose riveste una grande importanza nel cogliere la necessità impellente di un cambio significativo. I racconti condivisi si fondono tra loro e rivelano modelli ricorrenti di sofferenza insieme al desiderio latente di un sostegno idoneo. Un ex operaio metalmeccanico sessantenne, rientratosi dopo essere stato coinvolto in un grave incidente causato da un macchinario nel 2019, esprime con profonda amarezza: «Dopo quell’episodio, non sono più tornato lo stesso in fabbrica. Ogni rumore, ogni movimento improvviso… mi riportava lì. Mi sentivo costantemente in allerta, non riuscivo a dormire bene. Nessuno a cui parlarne, se non la mia famiglia. Ma loro cosa potevano capire veramente?». Questo racconto pone alla luce il dilungarsi del disagio psichico nel tempo, unitamente alla sensazione d’isolamento nell’affrontare tali sfide personali—una problematica ulteriormente accentuata dalla sensazione diffusa di essere malcompresi all’interno della realtà lavorativa. La mancanza di strumenti adeguati, sia formali che informali, per affrontare il trauma psicologico all’interno dell’ambiente lavorativo genera effetti significativi e prolungati sul benessere generale dei dipendenti. [Ambiente Sicurezza]

Un’altra lavoratrice del settore sanitario, 48 anni, che ha assistito a un grave infortunio di un collega nel 2021, racconta: «Il sangue, le urla. .. quest’esperienza è rimasta impressa nella mia memoria. Rientrare in quel corridoio e trovarmi davanti alla stessa porta si rivelava essere una fonte quotidiana d’inquietudine. Ho tentato d’ignorare i miei sentimenti per lungo tempo, ma l’ansia gravava su di me incessantemente, pesante come una pietra. Alla fine dei conti, mi sono visto costretto a richiedere una pausa lavorativa: non riuscivo più ad affrontare quell’ambiente oppressivo. Non ho mai ricevuto alcuna proposta da parte degli altri riguardo alla possibilità d’un incontro con uno psicologo; sembrava che il mio disagio fosse considerato esclusivamente un mio affanno». Questo racconto evidenzia la straordinaria pressione sociale a mantenere una facciata resiliente e il totale mancato riconoscimento ufficiale del trauma vicario, oltre all’impatto diretto derivante dall’esposizione ad eventi traumatici quale significativo elemento predisponente per problemi legati alla salute mentale. Secondo i principi della psicologia comportamentale applicata, sarebbe fondamentale generare spazi nei quali la vulnerabilità venga vista non già come segno d’impotenza ma piuttosto come un’opportunità per lo sviluppo individuale e collettivo all’interno dell’ambiente professionale.

Le consultazioni con gli specialisti tracciano chiaramente le principali aree dove intervenire decisivamente. Secondo la Dottoressa Rossi, risulta imperativo «investire in programmi formativi mirati destinati a dirigenti e manager, così da permettere loro l’acquisizione delle necessarie abilità nel riconoscere indizi relativi al disagio psicologico. Essenziale è altresì fornire le informazioni corrette ai collaboratori riguardo a come cercare aiuto specializzato. Non stiamo parlando della formazione professionale come psicologi, bensì del rendere tali figure sensibili e consapevoli». Parole incisive sono quelle del Dottor Bianchi: «la predisposizione di dettagliati protocolli standardizzati, pensati appositamente per affrontare incidenti critici con una particolare attenzione alla dimensione psicologica sin dalle prime fasi dell’emergenza è cruciale. Di fatto richiede l’attivazione istantanea dei servizi specialistici a sostegno non solo della persona direttamente colpita dall’evento traumatico, ma anche dei testimoni oculari e altri membri del personale coinvolti». Tali servizi devono caratterizzarsi come altamente confidenziali e funzionalmente accessibili. Riguardo alla questione della gestione del trauma, il contributo della psicologia comportamentale applicata serve quindi ad affermare. In tal senso, un intervento tempestivo e adeguatamente strutturato può determinare la distinzione fondamentale tra il recupero delle capacità funzionali e l’insorgere di disturbi psicologici cronici.

Il progresso verso l’adozione sistematica dei check-up psicologici regolari, insieme all’inserimento nella routine aziendale di pratiche come i percorsi legati alla mindfulness, oltre che tecniche efficaci per gestire lo stress, ha il potenziale per coltivare un contesto lavorativo caratterizzato da maggiore resilienza ed autoconsapevolezza. Le organizzazioni dovrebbero prendere in considerazione la necessità di introdurre profili professionali quali lo psicologo del lavoro specializzato, o persino creare una rete consultiva con esperti esterni facilmente accessibili. Questa operazione si configura come un investimento strategico non solo nel rispetto delle normative vigenti ma soprattutto nel rafforzamento del proprio patrimonio umano; ciò sottolinea che il benessere psichico dei dipendenti rappresenta uno strumento chiave per il successo aziendale complessivo. Gli sforzi compiuti in tal senso devono essere interpretati non come spesa ma piuttosto come un investimento duraturo nella crescita della produttività, nell’abbattimento delle assenze ingiustificate sul lavoro e nel miglioramento dell’immagine corporativa. La disciplina della medicina legata alla sfera psichica dimostra chiaramente che interventi precoci mirati possono evitare oneri sociali ed economici significativamente più onerosi derivanti da condizioni mentali compromesse nei dipendenti.

L’architettura della resilienza: un nuovo paradigma aziendale

La questione centrale da affrontare concerne l’implementazione autentica di una architettura della resilienza all’interno delle entità aziendali, un quadro sistemico concepito per riconoscere ed esaltare il benessere mentale dei dipendenti, considerato essenziale per garantire sia l’efficienza operativa sia il soddisfacimento del personale. Tale nuova visione imprenditoriale richiede una strategia globale capace non solo di interagire con i requisiti normativi vigenti, ma anche di abbracciare appieno una cultura orientata alla cura e alla prevenzione in ogni sua forma espressiva nell’ambito professionale. La problematica si estende oltre la semplice fornitura degli strumenti protettivi oppure il mantenimento periodico; emerge quindi l’urgenza di dare eguale valore alla sicurezza psicologica rispetto a quella fisica, sostenendo così entrambe con pari dignità e attenzione. Le organizzazioni devono concepirsi come degli ambienti educativi nonché come veri e propri sistemi capaci di offrire supporto, incentivando pertanto lo sviluppo non solo delle abilità tecniche, ma altresì delle capacità emotive e relazionali. È fondamentale stabilire politiche chiare ed esplicite riguardanti la salute mentale, garantendo così una corretta allocazione delle risorse verso iniziative mirate a sostegno dei lavoratori. Per raggiungere questo obiettivo è necessario promuovere una cultura organizzativa caratterizzata dal dialogo sincero che possa contribuire a eliminare lo stigma legato alle problematiche psicologiche. Una proposta concreta consiste nel mettere in atto Corsi formativi ricorrenti, coinvolgendo ogni singolo membro del personale nella consapevolezza sia dei rischi fisici sia degli aspetti psico-emotivi del lavoro; ciò permetterebbe loro di acquisire competenze utili nel riconoscimento dei segni premonitori dello stress o dell’ansia negli altri così come in se stessi. Inoltre, l’istituzione di un servizio telefonico anonimo specificamente indirizzato al sostegno psicologico, condotto da esperti esterni all’organizzazione stessa, rappresenterebbe un passo decisivo nel superamento delle paure connesse alla denuncia delle proprie fragilità mentali.

In aggiunta a queste misure strutturali, appare vitale sviluppare gruppi interni di supporto tra pari; tali team dovrebbero comprendere colleghi ben addestrati capaci di offrire ascolto empatico iniziale ed orientamento ai lavoratori in situazioni critiche – fungendo così da collegamento essenziale tra le esigenze personali degli individui e i servizi professionali disponibili sul territorio. La modalità attraverso cui si attua il supporto fra pari ha ottenuto riconoscimenti in molteplici ambiti, quali quello dei primi soccorritori, risultando essere sicuramente molto efficace per attenuare gli effetti traumatici nelle fasi iniziali dell’esperienza critica. L’approccio cognitivo-psicologico, infatti, dimostra come la disponibilità a relazioni sociali significative possa influenzare favorevolmente le reazioni cerebrali agli eventi stressanti ed agevolare i meccanismi legati all’adattamento. Da un’ottica della psicologia comportamentale, invece, uno spazio lavorativo favorevole al reciproco sostegno ed alla cooperazione tra colleghi contribuisce a consolidare atteggiamenti pro-sociali ed accrescere il senso d’appartenenza nonché la percezione della sicurezza sul luogo di lavoro.

Un elemento frequentemente sottovalutato riguarda infine la questione della reintegrazione dei lavoratori dopo episodi accidentali gravi. Non basta una completa guarigione fisica; diviene cruciale guidarli attraverso uno specifico processo di reinserimento professionale che prenda coscienza delle possibili ferite emotive residue. Tale processo potrebbe prevedere l’attivazione di Piani per la Riabilitazione Psicosociale, incontri dedicati con esperti del settore psicologico e, se opportuno nel caso individuale, una gradualizzazione nell’assunzione delle vecchie responsabilità o percorsi orientati alla nuova qualifica professionale. L’ambito della medicina correlata alla salute mentale evidenzia il rischio che comporta una reintegrazione rapida o disattenta; tale approccio può aggravare i traumi già presenti ed indurre recidive nei disturbi psicologici. È pertanto cruciale che le imprese collaborino con i servizi sanitari e specialisti per delineare percorsi individualizzati, orientati sia al recupero funzionale sia al pieno restauro del benessere psichico e della sicurezza all’interno dell’ambiente professionale. Tale impostazione costituisce il nucleo stesso nella progettazione di un’architettura resiliente: non si tratta semplicemente di riparare danni preesistenti; questo sistema dovrebbe invece saper prevenire situazioni problematiche future, fornendo supporto attivo per la salute mentale. In tal modo è possibile trasformare gli ambienti lavorativi in luoghi caratterizzati da produttività ed empatia reciproca.

Riflessioni su resilienza e la mente al lavoro

A questo punto intraprendiamo una dissertazione più sfumata sulle dimensioni della condizione umana e sulla intricata architettura dell’intelletto umano. Nella discussione riguardante gli incidenti sul lavoro e le loro ripercussioni dal punto di vista psicologico non siamo semplicemente immersi in analisi quantitative o procedure operative standardizzate; stiamo rivelando il vissuto dei soggetti colpiti da tali avvenimenti imprevedibili ed estremamente sconvolgenti. La psicologia cognitiva, dal canto suo, mette in evidenza il fatto che l’intelletto umano funge da processore per informazioni complesse ma presenta anche vulnerabilità intrinseche; dinnanzi a esperienze traumatiche gravi, ogni tentativo razionale può essere gravemente alterato o addirittura irrimediabilmente bloccato nel tempo. Considerate l’immagine mentale di una biblioteca: quando si verifica un evento traumatizzante nella vita individuale, sembra proprio che uno dei volumi fondamentali venga estratto con forza dai suoi posti regolari, generando così caos e confusione all’interno dell’intera collezione organica delle nostre memorie personalizzate, così come delle nostre concezioni esistenziali. Noi stessi potremmo vederci trasformati nei nostri fondamentali meccanismi d’identificazione personale.

In aggiunta a questo approccio analitico avanzato, discorrere dell’importanza apportata dalla psicologia comportamentale: essa rappresenta lo strumento attraverso cui poter esaminare dettagliatamente i cambiamenti indotti dal trauma nella sfera intellettiva ed emotiva degli individui, oltre alle conseguenze sui comportamenti quotidiani. Pensate al condizionamento operante: dopo un’esperienza negativa sul luogo di lavoro, anche un semplice suono o un odore legato all’ambiente lavorativo può diventare uno stimolo che innesca una reazione di paura o ansia. È come se il sistema nervoso, per proteggerci da future minacce, entrasse in uno stato di allerta permanente, alterando il nostro modo di agire e di interagire. Questo può manifestarsi in evitamento (non voler tornare al lavoro), irritabilità, o una maggiore propensione a reazioni di “lotta o fuga” anche in situazioni non minacciose. Queste risposte, sebbene inizialmente funzionali alla sopravvivenza, possono diventare disadattive e compromettere seriamente la qualità della vita. [Psicologia delle Emergenze]

La riflessione personale che scaturisce da queste considerazioni è profonda e multifacida. La riflessione qui proposta ci spinge a considerarci: siamo veramente consapevoli del costo nascosto sostenuto da numerosi lavoratori? In quale misura possiamo noi stessi e in quanto comunità abbracciare il dolore impercettibile – quello capace di erodere interiormente senza lasciare traccia? E ancora: quale contributo possiamo dare – sia in qualità di dipendenti, oppure nell’ambito dei ruoli dirigenziali o da semplici membri della società – affinché si creino contesti professionali capaci non soltanto di esaltare i risultati economici, ma altresì rispettosi della dignità individuale e dell’integrità psicologica delle persone coinvolte? Ogni evento tragico rimarca la vulnerabilità intrinseca all’essenza umana ed evidenzia con urgenza la necessità stringente di intessere legami solidali più efficaci ed empatici. Questo rappresenta dunque un richiamo alla sensibilizzazione verso l’empatia stessa; occorre rompere i muri dello stigma circostante riguardo alla richiesta di aiuto – infatti questo gesto denota invece una profondissima volontà d’umanità oltre a uno straordinario coraggio. La salute mentale deve essere considerata sacrosanta; al fine poi quel lavoro – generalmente inteso come veicolo verso autorealizzazione – può trasformarsi drammaticamente in causa silenziosa di devastazione personale. Riflettiamo, in quest’ottica, su come possiamo contribuire, nel nostro piccolo contesto, a costruire un mondo del lavoro più sicuro, più umano e più consapevole delle complesse interconnessioni tra corpo, mente e spirito.

Glossario:
  • PTSD: Disturbo Post-Traumatico da Stress, una condizione mentale che può svilupparsi dopo aver subito o assistito a un evento traumatico.
  • Mindfulness: Consapevolezza del momento presente, un’attività volta a concentrare la mente sull’attimo attuale; impiegata per mitigare livelli elevati di ansia e stress.
  • Burnout: Forma severa di affaticamento, coinvolgente sfere fisiche, mentali ed emotive scaturita da intensa esposizione allo stress professionale.

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