- Il cervello si sviluppa fino ai 25 anni, in contrasto con l'imputabilità a 14.
- L'incompleta mielinizzazione causa scarsa capacità di giudizio e maggiore impulsività.
- Proposta di legge del 7 febbraio 2023 per abbassare l'imputabilità a 12 anni.
Lo sviluppo incompleto del sistema nervoso centrale e l’imputabilità
Il tema riguardante l’imputabilità nei minorenni ha generato un acceso dibattito nel corso degli ultimi anni; tale confronto si avvale ora delle intuizioni offerte dalle neuroscienze contemporanee. Mentre nell’adulto vi è una presunzione generalizzata della capacità di comprendere e agire, che viene esaminata solo nel caso emergano motivi specifici d’esclusione o restrizione, nella fascia giovanile sussistono dinamiche decisamente più intricate e differenziate a seconda dell’età del soggetto coinvolto. La questione centrale concerne quei ragazzi compresi fra quattordici e diciotto anni: qui, infatti, occorre una valutazione analitica dettagliata da effettuarsi singolarmente. Le scoperte delle neuroscienze hanno rivelato una verità imprescindibile: il cervello umano non conclude il proprio sviluppo se non attorno ai venti-cinquanta anni, più che sottrarre agli individui minorenni gli strumenti cognitivi necessari ad affrontare determinati atti della vita adulta. Questo aspetto risulta in contrasto con il limite attualmente stabilito a 14 anni riguardo all’imputabilità; inoltre, le recenti proposte legislative sull’abbassamento ulteriore della soglia sollevano profonde inquietudini.
Le evidenze scientifiche sostengono che l’adolescenza rappresenta un periodo caratterizzato da una rilevante ristrutturazione cerebrale. In particolare, lo sviluppo del sistema frontale, cruciale per le funzioni esecutive come la pianificazione, il controllo degli impulsi e la presa di decisioni consapevoli, non è ancora completo. Questo “cantiere” cerebrale in corso si manifesta con una immaturità neurofunzionale che può influire negativamente sulle capacità cognitive, sui processi di apprendimento e sull’acquisizione di competenze socio-relazionali. Ad esempio, è stata riscontrata una incompleta mielinizzazione del prosencefalo, che si traduce in una scarsa capacità di giudizio e una maggiore impulsività.
Fattore | Effetto sull’Adolescente |
---|---|
Incompleta Mielinizzazione | Scarsa capacità di giudizio, maggiore impulsività |
Ipotrofia del Corpo Calloso | Correlata a trascuratezza e abbandono |
Attività Prefrontale Ridotta | Minore capacità di mentalizzazione e comprensione dei sentimenti altrui |
Attività dell’Amigdala Aumentata | Iperattività, ipervigilanza, stati emotivi negativi |
L’ipotrofia nell’area del corpo calloso può essere correlata a trascuratezza e abbandono, mentre una minore attività delle regioni prefrontali, essenziali per la mentalizzazione e la comprensione degli stati mentali altrui, e una maggiore attività dell’amigdala, legata alla gestione delle emozioni come paura e rabbia, possono portare a ipervigilanza, ipereattività e stati emotivi negativi. I fattori neurobiologici in questione possono esercitare un’influenza diretta sul comportamento degli adolescenti, rendendoli più esposti a intraprendere atti impulsivi e meno capaci di considerare pienamente le implicazioni legali e sociali delle loro azioni. La scarsa maturità nei campi neurofunzionale, psicologico ed interpersonale determina una diminuzione della capacità di autocontrollo e una ridotta abilità nel pianificare i comportamenti; questi sono aspetti imprescindibili per la corretta valutazione dell’imputabilità. Di conseguenza, se si effettua un’analisi basata esclusivamente sull’età cronologica, trascurando tali evidenze scientifiche, si corre il rischio d’ignorare la complessità intrinseca dello sviluppo durante l’adolescenza, dando luogo all’applicazione di criteri valutativi che non rispecchiano autenticamente la reale capacità discernitiva del minore.
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Neuroscienze e imputabilità: il rischio di un ritorno al modello medico-nosografico
L’introduzione delle neuroscienze nel panorama del dibattito riguardante l’imputabilità penale – con una particolare attenzione ai minori – ha suscitato timori relativamente alla possibilità che si possa tornare ad abbracciare una visione medico-nosografica della malattia mentale. Tale visione ricorda quella delineata dal codice Rocco, dominata da concetti cari alle teorie ottocentesche lombrosiane. Quest’ultimo approccio era orientato verso la tendenza a interpretare ogni forma comportamentale umana attraverso il prisma della fisiologia neuromuscolare, considerando le patologie mentali come mere affezioni cerebrali. In questo contesto spiccava il fatto che una diagnosi volta a definire disturbi mentali d’origine organica frequentemente conduceva – anche se senza alcun fondamento definitivo – all’esclusione dell’imputabilità stessa; ciò era spesso seguito dalla dichiarazione della pericolosità sociale del soggetto incriminato ed infine dalla loro segregazione in istituti manicomiali. Con il passare del tempo però si è assistito al graduale scostamento dal modello monofattoriale, grazie all’apertura verso nuovi paradigmi aventi natura sociologica e psicologica, fino ad approdare al riconoscimento dell’eziologia multifattoriale dei disturbi psichiatrici: oggi si propende infatti per uno schema integrativo capace di abbracciare interazioni tra vari elementi biologici, dinamiche ambientali e psychosociali, nonché fattori psicologici che influenzano il comportamento individuale. Il timore di un eventuale ripristino di un modello biologico-organico monofattoriale nel contesto giuridico italiano, grazie all’aumento dell’interesse verso le neuroscienze, appare infondato se comparato alle recenti decisioni della giurisprudenza. Oggi notiamo invece una propensione verso l’applicazione cauto-differenziata delle innovazioni scientifiche emergenti. È opportuno riaffermare che la valutazione clinica è destinata ad essere integrativa piuttosto che sostitutiva rispetto agli approcci analitici derivanti da neuroimaging ed altre metodologie neuroscientifiche; pertanto l’approccio alle perizie forensi continua a fondarsi su elementi provenienti dall’anamnesi psicologica e comportamentale dell’individuo esaminato. Inoltre, anche in presenza di avanzati strumenti diagnostici come il neuroimaging, i professionisti sottolineano continuamente come non sia possibile circoscrivere la complessità intrinseca dell’essere umano a schemi predefiniti o semplicistici. È indispensabile procedere sempre alla valutazione della scientificità delle prove neuroscientifiche, della loro idoneità e ammissibilità, nonché all’analisi critica dei risultati ottenuti. Pertanto, l’idea di un determinismo genetico, anche rispetto al minore, è considerata inammissibile. Prevale invece il concetto di “vulnerabilità” dell’individuo, influenzata dall’interazione tra fattori biologici e ambientali al raggiungimento della “maturità”.
La valutazione del minore tra fattori biologici e influenze ambientali
Contrariamente a visioni riduzionistiche, la valutazione della maturità del minore ai fini dell’imputabilità richiede un approccio multifattoriale e multidisciplinare. Accanto ai fattori prettamente biologici, come lo stato di sviluppo cerebrale, è cruciale considerare e dare rilevanza agli elementi sociali, affettivi, culturali e ambientali che modellano la personalità dell’adolescente. L’ambiente in cui il minore cresce, le sue esperienze relazionali, il contesto socio-culturale di appartenenza e le sue caratteristiche personologiche individuali interagiscono tra loro in modo complesso e influenzano significativamente il suo sviluppo e il suo comportamento. È importante ricordare che la natura tumultuosa dell’adolescenza, con le sue sfide emotive e comportamentali, è fisiologicamente “normale”. Si tratta di un periodo di profondo cambiamento e adattamento, un percorso necessario verso il processo di adultizzazione. Ignorare la complessità di questa fase evolutiva per concentrarsi esclusivamente su presunte “disfunzioni” cerebrali, senza inserirle nel più ampio quadro dello sviluppo individuale e contestuale, sarebbe un errore riduttivo. Di conseguenza, l’esame della bontà intellettuale dei minorenni, nell’ambito della responsabilità penale, è necessario che si basi su un’analisi multidisciplinare. Infatti, una diagnosi esclusivamente neuropsicologica offre indicazioni utili circa la maturazione cerebrale, ma risulta insufficiente senza il supporto della analisi clinica, comportamentale e socio-culturale riguardante il giovane. Strumenti quali le tecniche di neuroimaging e i test neuroscientifici dovrebbero assumere il ruolo di approfondimenti metodologici piuttosto che ricoprire una funzione sostitutiva nei confronti delle indagini olistiche. La sola considerazione degli elementi interconnessi tra fattori psicologici, biologici e ambientali consente effettivamente di disporre valutazioni più complete riguardo alla lucidità mentale del minorenne, per facilitare decisioni giuridiziarie giuste, equilibrate e miranti al suo progresso sociale e alla sua reintegrazione nel tessuto comunitario.
Riflessioni sull’impatto dell’imputabilità precoce e la salute mentale
Il tema dell’abbassamento dell’età dell’imputabilità accompagnato da una visione meramente punitiva nei riguardi dei minori solleva interrogativi rilevanti circa la loro salute mentale. La necessità di entrare nel meccanismo del sistema giudiziario fin dalla giovane età si traduce in una fase fortemente complessa della vita degli adolescenti: essi sono infatti in una fase di formazione psicologica molto delicata. L’esperienza delle procedure legali può rivelarsi profondamente traumatica per i giovani individui. Quando i minorenni sono coinvolti in processi penali o soggetti ad altre misure restrittive, si trovano ad affrontare sentimenti pesanti come ansia, depressione e sensazioni opprimenti quali la vergogna oppure il senso di colpa; questo potrebbe risultare fatale per lo sviluppo della loro sfera psicologica ed emotiva. Durante questi anni così vulnerabili nella vita giovanile, gli effetti negativi derivanti da un sistema giuridico percepito principalmente come coercitivo invece che come opportunità educativa possono risultare disastrosi. Le scoperte delle neuroscienze evidenziano che gli adolescenti presentano una particolare predisposizione agli esiti deleteri provocati dallo stress ripetuto; quindi, basta poco perché esperienze traumatiche avvengano nell’ambito della plasticità cerebrale. È vitale quindi riconoscere la possibilità che tali pressioni possano lasciar tracce indelebili nella sfera psichica degli individui più giovani.
È qui che entrano in gioco i concetti fondamentali della psicologia cognitiva e comportamentale. La psicologia cognitiva ci insegna che il pensiero e la percezione della realtà in adolescenza sono ancora in evoluzione. La capacità di “mentalizzare”, ovvero di comprendere i propri e altrui stati mentali (pensieri, intenzioni, emozioni), è un processo che si affina con la maturazione cerebrale ed esperienziale. Un minore con una minore capacità di mentalizzazione potrebbe avere difficoltà a comprendere le motivazioni dietro un reato, a percepire la gravità delle conseguenze o a empatizzare con le vittime. La psicologia comportamentale, a sua volta, si concentra sulle relazioni tra comportamenti e ambiente. Le azioni di un adolescente sono spesso influenzate da fattori contestuali, dal gruppo dei pari, dalla ricerca di gratificazione immediata e da una minore capacità di valutare i rischi a lungo termine. In questo quadro, un approccio unicamente punitivo rischia di non affrontare le cause alla base dei comportamenti devianti, che possono essere legate a difficoltà emotive, relazionali, a traumi pregressi o a complesse interazioni con l’ambiente.
Un approccio più avanzato e umanistico, basato sulla psicologia dello sviluppo e sulla salute mentale, suggerisce che interventi mirati alla riabilitazione e al supporto psicologico siano molto più efficaci nel prevenire la recidiva e nel favorire un sano sviluppo. Invece di concentrarsi unicamente sulla colpevolezza, il sistema penale minorile dovrebbe porre l’accento sulla responsabilità nel senso di “capacità di rispondere” alle sfide dello sviluppo, di apprendere dai propri errori e di reinserirsi positivamente nella società. Questo richiede non solo sanzioni, ma anche percorsi educativi, terapeutici e di sostegno che aiutino l’adolescente a comprendere le proprie azioni, a elaborare i traumi, a sviluppare capacità emotive e sociali mature e a costruire un progetto di vita alternativo alla devianza.
Conclusioni sull’interazione tra neuroscienze e diritto minorile
L’integrazione delle neuroscienze nel sistema legale minorile non rappresenta soltanto un’opportunità per una maggiore comprensione del comportamento umano, ma anche una sfida cruciale che può ridefinire i confini della responsabilità penale. Con l’espansione della conoscenza neuropsicologica, il diritto deve affrontare nuove domande etiche e pratiche su come applicare queste scoperte in modo che migliorino la vita dei giovani e delle loro famiglie. La riflessione sulla necessità di trovare un equilibrio tra giustizia e recupero assume un’importanza fondamentale per costruire un sistema penale minorile più efficace e umano, che si basi su prove scientifiche e su una profonda comprensione della vulnerabilità e delle potenzialità di ogni giovane.
- PDF che analizza il ruolo delle neuroscienze nell'imputabilità dei minori.
- Approfondimento sullo sviluppo cerebrale, funzioni esecutive e capacità decisionali.
- Approfondisce lo sviluppo del cervello adolescenziale, fragilità e potenzialità.
- Approfondimento sulla disregolazione emotiva e il suo legame con disturbi psichiatrici.