Empatismo: può l’empatia rivoluzionare la psicotraumatologia?

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  • L'empatia è definita come la capacità di «mettersi nei panni dell'altro».
  • I neuroni specchio sono fondamentali per l'empatia, l'apprendimento e l'imitazione.
  • Il trauma vicario colpisce i professionisti sanitari che assistono a sofferenze estreme.
  • L'empatia raggiunge la piena maturità attorno ai 13 anni.
  • L'empatia è elemento fondamentale dell'intelligenza emotiva.
  • Nel Disturbo Narcisistico di Personalità (DNP) manca l'empatia.

Il recente interesse nei confronti dell’Empatismo e la sua potenziale applicazione in ambito clinico, in particolare nella psicotraumatologia, sollevano interrogativi rilevanti nel dibattito scientifico e professionale. Questo movimento, che pone l’empatia al centro del proprio approccio, sembra configurarsi non come una semplice tendenza, ma come una possibile evoluzione nel modo di concepire e praticare la cura. La sua rilevanza è ulteriormente sottolineata dall’adesione di figure di spicco nel campo, come la Direttrice del Centro di Psicotraumatologia di Milano e Presidente dell’Associazione EMDR Italia e EMDR Europe Association. Questa convergenza di pensiero tra un movimento emergente e istituzioni consolidate nel trattamento dei traumi suggerisce la necessità di un’analisi approfondita.

L’empatia, dal greco “en-pathos” (sentire dentro), è tradizionalmente definita come la capacità di mettersi nei panni dell’altro, percependo emozioni e pensieri e comprendendo immediatamente i processi psichici altrui senza perdersi nell’identificazione. È un’abilità sociale fondamentale per la comunicazione interpersonale e per la costruzione di relazioni profonde e significative. Già nell’antica Grecia indicava un rapporto emozionale di partecipazione tra l’aedo e il suo pubblico. In ambito filosofico, il concetto fu ripreso a fine Ottocento per descrivere la capacità di cogliere il valore simbolico della natura, tradotto in seguito come “empathy”.

Agli inizi del Novecento, la psicologia, influenzata dalla filosofia, introdusse l’empatia come partecipazione profonda all’esperienza altrui, distinguendola dalla propria esperienza per mezzo di una proiezione. La ricerca scientifica più recente ha fornito basi neurobiologiche per l’empatia, identificando nei neuroni specchio un meccanismo di simulazione incarnata che precede l’elaborazione cognitiva. Secondo questa teoria, la percezione di un’azione o di un’emozione nell’altro attiva le stesse aree cerebrali che si attiverebbero se l’individuo compiesse l’azione o provasse l’emozione in prima persona. Questo processo non conscio e automatico permette una comprensione diretta, quasi empatica, dell’esperienza altrui.

Studi Recenti sui Neuroni Specchio: Recenti ricerche hanno evidenziato come i neuroni specchio non solo siano fondamentali nell’ambito dell’empatia, ma giochino anche un ruolo essenziale nell’apprendimento sociale e nell’imitazione delle emozioni altrui. Questi meccanismi cerebrali ci permettono di interpretare meglio gli stati emotivi e le azioni degli altri. [State of Mind]

Il modello di sviluppo proposto da Martin Hoffman, uno degli autori più influenti in merito, articola l’empatia in diverse forme che evolvono con la crescita, sottolineando la presenza di manifestazioni empatiche fin dai primissimi giorni di vita. La sua teoria identifica tre componenti principali: una affettiva, una cognitiva e una motivazionale. La componente motivazionale è particolarmente interessante in ambito psicoterapeutico, poiché suggerisce che l’empatizzazione con la sofferenza altrui possa fungere da motivazione per attivare comportamenti di aiuto.

La dimensione affettiva* dell’empatia consente di sentire ciò che l’altro prova, mentre *quella cognitiva permette di comprendere e prevedere le emozioni altrui, creando così una fusione tra le due. La componente motivazionale, infine, spinge alla cura e al supporto, evidenziando quanto l’empatia possa essere una leva terapeutica fondamentale nello sviluppo di relazioni significative.

L’empatia, nella sua forma matura, si configura quindi come una risposta complessa che integra stimoli comportamentali, espressivi e le conoscenze pregresse sull’altro. Questa abilità, con implicazioni cognitive di alto livello, si sviluppa gradualmente, raggiungendo spesso la piena maturità intorno ai 13 anni. Le definizioni contemporanee concordano su tre aspetti chiave: una reazione affettiva di condivisione emotiva, una capacità cognitiva di perspective-taking e la fondamentale capacità di mantenere una distinzione chiara tra sé e l’altro. La differenza tra empatia e mentalizzazione risiede principalmente nel fatto che l’empatia include la condivisione emotiva e la preoccupazione per l’altro, mentre la mentalizzazione si focalizza sulla comprensione degli stati mentali in modo più equamente distribuito tra sé e l’altro.

Glossario:

  • Neuroni specchio: neuroni attivati sia quando si compie un’azione sia quando la si osserva, fondamentali per l’empatia.
  • Perspective-taking: la capacità di comprendere il punto di vista degli altri, inclusa la percezione delle esperienze emozionali.

La nozione di intelligenza emotiva, intesa come il potere di osservare attentamente le emozioni sia proprie che quelle degli altri, inclusa la facoltà distintiva di impiegarle per orientare pensiero e azione, è caratterizzata dall’ empatia, elemento fondamentale della stessa. Trascurare lo sviluppo dell’intelligenza emotiva porta inevitabilmente a condizioni quali l’analfabetismo emotivo; ciò si traduce nell’incapacità di riconoscere o controllare non solo le emozioni personali ma anche quelle altrui, arrecando un danno significativo alla genuinità dell’empatia e della compassione.

L’empatia nella pratica clinica e il Trauma Vicario

Il ruolo dell’empatia nella pratica clinica ha radici profonde, sebbene la sua piena accettazione come strumento terapeutico sia avvenuta gradualmente. Già Sigmund Freud riconosceva nell’empatia l’unico mezzo per accedere alla vita psichica altrui, pur non considerandola un metodo terapeutico diretto. Fu Heinz Kohut a elevare l’empatia a strumento non solo di conoscenza, ma anche di cura, suggerendo che l’esposizione ripetuta a esperienze di comprensione empatica da parte del terapeuta potesse contribuire a riparare i “difetti del Sé” del paziente. Successivamente, la componente cognitiva dell’empatia fu ulteriormente esplorata, arricchendone la comprensione.

Oggi, l’empatia è riconosciuta come cruciale nell’ambito della psicoterapia. Terapeuti che manifestano calore umano, empatia e schiettezza favoriscono la collaborazione terapeutica e l’efficacia del trattamento. Secondo un recente studio condotto dal neuroscienziato Dan-Mikael Ellingsen, la capacità del medico di comprendere e immedesimarsi nello stato emotivo del paziente gioca un ruolo significativo nella percezione del dolore e nella riduzione dell’ansia durante le esperienze cliniche. [Istituto A. T. Beck] La capacità del terapeuta di calarsi nel mondo del paziente, cercando di percepire le medesime sensazioni e sentimenti e condividendo tale esperienza, rafforza la percezione del paziente di essere capito e nutre la fiducia nel rapporto terapeutico. Questa base fiduciaria è essenziale per affrontare temi delicati e complessi come quelli legati al trauma.

Tuttavia, l’empatia in ambito professionale, specialmente nelle professioni di aiuto che affrontano la sofferenza umana quotidianamente, può presentare dei rischi. L’eccessiva partecipazione emotiva può diventare una fonte di stress e un fattore di rischio per il cosiddetto trauma vicario o stress traumatico secondario. Questo fenomeno si manifesta quando un professionista sviluppa sintomi simili a quelli di un trauma a seguito dell’esposizione indiretta alle esperienze traumatiche altrui, attraverso l’ascolto sistematico delle loro storie.

Conseguenze del Trauma Vicario: Gli operatori della salute mentale sono particolarmente vulnerabili a questo tipo di trauma, con sintomi che includono esaurimento emotivo e una ridotta capacità di provare simpatia, il che può compromettere ulteriormente la loro efficacia professionale. [Unobravo]

La crisi sanitaria legata al COVID-19 ha drammaticamente evidenziato questo rischio in ambito sanitario, dove l’esposizione a sofferenze estreme, turni stressanti e carenza di risorse hanno aumentato esponenzialmente il rischio di burnout e trauma vicario.

Il trauma vicario è un processo di cambiamento progressivo nella percezione del mondo, del sé e degli altri che deriva dall’ascolto del dolore altrui. Questo concetto, formalmente introdotto nel 1995, affonda le sue radici nelle precedenti concettualizzazioni di stress da compassione e burnout, con significative implicazioni per la salute mentale dei professionisti.

Area di Funzionamento Effetti del Trauma Vicario
Senso di Sé Alterazione della percezione di sé e del proprio valore
Gestione delle Emozioni Intensificazione della paura, rabbia e disperazione
Relazioni Interpersonali Isolamento e difficoltà nel mantenere legami
Sistemi di Credenze Impacto sulla spiritualità e sulle credenze personali

I professionisti della salute mentale sono particolarmente vulnerabili al trauma vicario a causa del loro coinvolgimento empatico e del continuo contatto con storie di sofferenza intensa. Affrontare il fenomeno del trauma vicario implica riconoscere i molteplici segnali che ne derivano: esaurimento emotivo, rabbia, irritabilità e una diminuzione nella capacità di provare sentimenti quali simpatia ed empatia. Coloro che ne sono colpiti possono notare anche una diminuzione della soddisfazione nel contesto lavorativo insieme a un aumento degli episodi d’assenteismo e a una difficoltà nel prendere decisioni in modo efficace. Sul piano cognitivo si potrebbero presentare flashback indesiderati così come pensieri intrusivi; dal punto di vista comportamentale si evidenziano tendenze all’evitamento delle situazioni legate al trauma con possibili stati di distacco emotivo utilizzati come strategia difensiva. Inoltre, i sintomi fisici non sono da trascurare: essi includono insonnia persistente, stanchezza generalizzata oltre a cefalee o contratture muscolari.

Per affrontare adeguatamente questa condizione psicologica è essenziale applicare misure preventive attraverso pratiche mirate all’autocura quotidiana; questo comprende anche supervisione costante del proprio stato psico-emotivo ed equilibrio tra vita privata e professionale; infine, è fondamentale mantenere solidi legami sociali per avere supporto attorno a sé. L’adozione dell’empatia clinica, capace di delineare distintamente il confine tra sé stesso e il paziente trattato, rappresenta uno degli approcci più efficaci per salvaguardarsi dall’insorgere del burnout, garantendo al contempo un’elevata efficacia terapeutica nel lungo periodo.

Cosa ne pensi?
  • 💡 L'empatismo potrebbe davvero rivoluzionare la psicotraumatologia, offrendo nuove prospettive......
  • 🤔 Non sono convinto che l'empatismo sia la soluzione a tutti i problemi......
  • 🤯 E se l'eccessiva enfasi sull'empatia portasse a una sorta di 'burnout empatico'......
  • ❤️‍🩹 L'empatia: una chiave per curare i traumi e costruire relazioni più profonde......

L’Empatismo e il trattamento dei disturbi di personalità

L’indagine sul fenomeno dell’Empatismo rivela un’importanza cruciale nell’ambito della terapia dei disturbi della personalità, specialmente per quanto concerne quelli collocati nel contesto del Cluster B. Questi disturbi presentano manifestazioni come l’drammaticità, l’impulsività e una sostanziale difficoltà nelle interazioni sociali nonché nella gestione delle emozioni. Si registra frequentemente in tali condizioni un significativo deficit empatico che aggrava le problematiche relazionali esistenti.

Prendendo in esame il caso del Distro Narcisistico di Personalità (DNP), risulta evidente come la mancanza d’empatia rappresenti una caratteristica fondamentale: gli individui tendono ad avere serie difficoltà nel riconoscimento dei desideri o delle emozioni degli altri, enfatizzando invece l’assolutezza delle loro stesse esigenze quale prioritaria rispetto a qualsiasi altra considerazione. Parimenti, nel caso del Distro Istrionico di Personalità (DIP), pur evidenziandosi una continua ricerca d’attenzione accompagnata da reazioni emotive intese come esuberanti, gli interventi terapeutici sono focalizzati principalmente sul miglioramento delle capacità sociali nonché sull’accrescimento dell’empatia per gestire comportamenti talora seduttivi o provocatori con lo scopo finale di promuovere legami più genuini. Il Disturbo Antisociale di Personalità (DAP) è contraddistinto dalla mancanza di rispetto verso i diritti altrui e dai sentimenti delle persone che li circondano. I soggetti affetti presentano tipicamente un’empatia ridotta, accompagnata da scarsa sensibilità nei confronti delle preoccupazioni altrui. È frequente che la loro vita personale evidenzi comportamenti disfunzionali sin dall’infanzia fino all’adolescenza, evolvendosi nell’età adulta in una mancanza di responsabilità e nella difficoltà di mantenere relazioni interpersonali stabili.

Trattamento dei Disturbi di Personalità: Il trattamento dei disturbi di personalità combina terapia psicosociale e, in alcuni casi, terapia farmacologica. Le terapie più efficaci sono quelle che mirano a ridurre il disagio soggettivo e a modificare i comportamenti disadattivi. Per molti disturbi, il trattamento diventa più efficace con il tempo. [MSD Manuals]

L’Empatismo, ponendo l’accento sullo sviluppo e sull’utilizzo dell’empatia come strumento terapeutico, potrebbe offrire nuove prospettive nel trattamento di questi disturbi. La formazione delle capacità empatiche — tanto dal punto di vista affettivo quanto cognitivo — si configura come un’opportunità preziosa per rafforzare i legami interpersonali, migliorare la regolazione delle emozioni e accrescere la consapevolezza del sé in individui con tali difficoltà psicologiche. È essenziale padroneggiare l’empatia con flessibilità, adattandola alle varie circostanze e contesti; questo approccio è fondamentale per prevenire da un lato il sovraccarico emotivo che potrebbe condurre al burnout o alla depressione, dall’altro una completa assenza dell’empatia stessa che danneggerebbe gravemente il benessere nelle relazioni. Considerando l’idea dell’empatia come una competenza soggetta a esercizio e affinamento, si aprono pertanto innovative strade per interventi terapeutici mirati.

Rifessioni conclusive sull’Empatismo e il suo impatto

Concludendo il discorso sull’adesione delle figure professionali d’élite all’Empatismo, in modo particolare quelle del campo della psicotraumatologia, si pone in evidenza la necessità che tale movimento riceva attenzione approfondita dalla comunità scientifica e clinica. La questione va oltre la semplice rivalutazione dell’importanza dell’empatia, il cui ruolo nel promuovere il benessere psichico nonché nelle interazioni umane viene largamente accettato ed avvalorato da studi rigorosi. L’Empatismo, infatti, sembra delineare una strategia più organizzata ed attenta nell’utilizzare l’empatia quale soglia cruciale per le pratiche terapeutiche nei contesti sfidanti associati ai traumi.

In riferimento alla disciplina della psicologia cognitiva, l’empatia viene concepita non solo sotto il profilo affettivo ma anche in qualità di meccanismo cognitivo altamente elaborato capace di facilitarci nell’assimilare e interpretare i punti di vista altrui. Questa facoltà del prendere prospettiva si rivela indispensabile per gestire rapporti intrisi di complessità ed offre il presupposto necessario a garantire un’assistenza utile ed efficace. Su scala ancor più avanzata nell’ambito della psicologia comportamentale emerge la possibilità di interventi formativi focalizzati sull’empatia; tali azioni sono volte a ristrutturare reazioni istintive consolidate stimolando comportamenti proattivi verso gli altri. Per esempio, di fronte alla sofferenza altrui, un individuo con sviluppate capacità empatiche potrebbe essere più propenso ad attivare risposte di aiuto, piuttosto che di evitamento o di distacco emotivo.

Riflettendo su questi concetti, è interessante notare come la nostra capacità di connetterci autenticamente con gli altri sia non solo innata, ma anche plasmabile e allenabile. In un mondo che spesso sembra favorire l’individualismo e la superficialità, l’Empatismo ci ricorda il potere trasformativo della comprensione profonda e condivisa. Pensiamo a quanto le nostre interazioni migliorerebbero se dedicassimo maggiore attenzione a “sentire dentro” le esperienze altrui, mantenendo al contempo la nostra identità distinta. Questa pratica non solo beneficerebbe le nostre relazioni personali e professionali, ma potrebbe anche avere un impatto significativo sulla nostra resilienza emotiva di fronte alle sfide e alle difficoltà. L’Empatismo, in quest’ottica, potrebbe rappresentare un invito a coltivare attivamente una delle nostre qualità più umane, con possibili benefici non solo per chi soffre, ma per la società nel suo complesso.


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