- Solo il 7,2% delle prestazioni nei servizi territoriali è psicologico.
- Il bisogno di psicologia è aumentato del 40% in Italia.
- Psicologi nel pubblico: media di 5,3 per 100mila abitanti.
Il divario crescente nella gestione delle emergenze: la carenza di supporto psicologico
L’Italia si trova ad affrontare una situazione critica e sempre più evidente: la carenza di psicologi all’interno dei team di primo intervento nelle emergenze. Questo deficit non solo aggrava il trauma delle vittime di incidenti e calamità naturali, ma ostacola anche la capacità di recupero e resilienza delle comunità colpite. La questione è di stringente attualità, con allarmi provenienti da diverse istituzioni e osservatori.
Un report di recente pubblicazione afferma che solo il 7,2% delle prestazioni erogate nei servizi territoriali è di tipo psicologico o psicoterapico, contro il 30,7% di quelle infermieristiche e il 25,2% di quelle psichiatriche, evidenziando così una carenza strutturale di professionisti psicologi nel Servizio Sanitario Nazionale.
Nel settore carcerario, ad esempio, la situazione è stata definita “drammatica” e “gravissima”, con una palese mancanza di educatori, psicologi e psichiatri. Questo scenario si traduce in un aumento dei suicidi e un sovraffollamento che rende inefficace qualsiasi progetto di recupero.
Anche i Servizi per le Dipendenze (SerD) registrano un declino preoccupante: secondo un rapporto di sei mesi fa, negli ultimi cinque anni si è assistito a una diminuzione delle strutture e a una significativa carenza di personale. Questa situazione è ancora più grave se si pensa che quasi il 90% dei somali, colpiti da anni di conflitto, soffre di problemi di salute mentale ma non riceve l’aiuto necessario, enfatizzando l’importanza di una risposta adeguata in contesti di crisi. Non stupisce, quindi, che la salute mentale sia riconosciuta come un’emergenza nazionale: lo dimostrano i 230mila italiani che hanno richiesto il bonus psicologo, un’iniziativa che, purtroppo, si è rivelata insufficiente a coprire la domanda.
Statistiche recenti: – Gli psicologi nel pubblico per quanto riguarda il nostro Paese sono circa 5mila, con una media di 5,3 per 100mila abitanti, esattamente la metà di quella dei Paesi più avanzati. – Il bisogno di psicologia è aumentato del 40% e una persona su tre che manifesta questo bisogno non può accedere alle terapie, perché priva delle risorse finanziarie.
In alcune regioni, come la Calabria, la situazione è definita “insostenibile” a causa della scarsità di professionisti e si sollecita l’utilizzo delle graduatorie esistenti per colmare le lacune. Questa problematica non è isolata ma si inserisce in un quadro più ampio di carenze nel personale medico e sanitario, come evidenziato dalla necessità di importare medici dall’estero per far fronte ad altre emergenze. L’integrazione degli psicologi nei team di primo soccorso non è solo un ausilio post-evento, ma una componente fondamentale per una gestione olistica e lungimirante delle crisi, capace di prevenire il PTSD e altri disturbi mentali a lungo termine.
La tempestività dell’intervento psicologico è cruciale e i protocolli esistenti, seppur validi, richiedono un’applicazione più diffusa e coordinata.
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La psicologia dell’emergenza: un campo orizzontale e trasversale
La psicologia dell’emergenza non è una specializzazione verticale, ma una disciplina che si estende orizzontalmente, intrecciando diverse aree della psicologia come quella sociale, clinica e dello sviluppo all’interno di contesti di crisi. Non si limita al trattamento del trauma, ma opera su un piano più ampio, volto a ristabilire un senso di ordine e prevedibilità in situazioni di caos improvviso. Quando un evento acuto, come un terremoto o un incidente, sconvolge il “cosmos” di un individuo, ovvero il suo universo ordinato di anticipazioni e aspettative, la psicologia dell’emergenza interviene per aiutarlo a costruire un nuovo “cosmos”, seppur irreversibilmente trasformato. Questa disciplina è fondamentale per comprendere le dinamiche di gruppo in situazioni critiche, l’applicazione della leadership in un contesto di emergenza, o anche il modo in cui un bambino di fronte al caos si rappresenti la perdita, ad esempio, di un genitore.
A metà degli anni ’90, la psicologia dell’emergenza era ancora embrionale e spesso ridotta alla sola prevenzione del PTSD. Tuttavia, l’esperienza sul campo, come quella del terremoto dell’Abruzzo nel 2009, ha dimostrato il bisogno di un approccio più ampio e coordinato. In quell’occasione, circa 60-70mila sfollati in oltre 150 tendopoli richiesero l’intervento di tra 500 e 600 psicologi nell’arco di sei mesi, evidenziando una sfida organizzativa senza precedenti in Europa. L’intervento psicologico in emergenza non si concentra sulla patologia da curare, ma piuttosto sulla preservazione della normalità e sul sostegno alla capacità delle persone di affrontare e gestire un momento straordinario. Questo include anche il Primo Soccorso Psicologico (PSP), un modello di intervento che mira a mitigare il disagio acuto attraverso protocolli come il CISM (Critical Incident Stress Management) o il RAPID.
Messo in sicurezza delle emozioni: Il protocollo CISM è un sistema completo per la prevenzione e il trattamento delle reazioni psicologiche a eventi critici, mentre il RAPID si concentra sul primo intervento. L’obiettivo ultimo è favorire la “recovery”, ovvero il ripristino della vita e dei processi psicosociali a medio e lungo termine, che vanno ben oltre la gestione del trauma immediato.
Questo approccio è particolarmente prezioso perché permette di capire come le diverse componenti della psiche reagiscano alle perturbazioni e come rimettere in moto i processi che consentono la riorganizzazione della realtà dopo un evento destabilizzante. La Psicologia dell’Emergenza, quindi, mira a consolidare la capacità di auto-organizzazione e di resilienza degli individui e delle comunità di fronte all’imponderabile.
Sfide e prospettive future: il ruolo dello psicologo come “messo in sicurezza”
Lo psicologo dell’emergenza non è un “cacciatore di traumi”, ma una figura che, metaforicamente, “mette in sicurezza le emozioni e le relazioni”. Il suo compito è aiutare individui, famiglie, gruppi e istituzioni a funzionare in modo sano in una situazione di eccezionalità, consentendo la pensabilità degli eventi e la possibilità di immaginare un nuovo “cosmos” che emerga dal caos. L’obiettivo non è la perfezione, ma un livello di funzionamento “sufficientemente buono”, come in una logica winnicottiana, che permetta di progredire e adattarsi. Un ruolo cruciale è anche quello di tutelare gli operatori stessi, prevenendo il burn-out e garantendo che possano lavorare efficacemente in condizioni estreme.
Nonostante l’incidenza del PTSD dopo eventi traumatici sia relativamente bassa (circa 3-5% dei casi, esclusi i lutti diretti), un’ampia maggioranza di persone subisce un disagio significativo che richiede supporto per la ricostruzione del significato dell’esperienza vissuta. Questo include, ad esempio, anziani che, pur non manifestando un trauma acuto, a distanza di mesi dall’evento possono presentare un picco di mortalità e morbilità a causa dell’interruzione delle loro routine, delle reti sociali e dei servizi sanitari. In tal senso, la psicologia dell’emergenza deve focalizzarsi su interventi psicosociali e comunitari a medio e lungo termine, superando la visione miope che si concentra solo sull’immediato post-evento.
Emergenza Psicologica: Secondo dati recenti, in Italia oltre 16 milioni di persone lamentano disturbi mentali. Tra queste, il 50% degli adolescenti tra i 18 e i 25 anni ha dichiarato di aver sofferto di ansia e depressione legate alla pandemia.
L’Italia, con il suo elevato numero di tipologie di disastri naturali, vanta un’esperienza di sviluppo della psicologia dell’emergenza tra le più avanzate in Europa tra il 2004 e il 2015. Modelli di intervento raffinati, come l’utilizzo di specifici zaini per l’infanzia sviluppati in Valle d’Aosta e adottati dalla Croce Rossa francese, testimoniano questa leadership. Tuttavia, dopo il 2012, il sistema nazionale di protezione civile ha subito un indebolimento, con una riduzione di corsi di formazione e master universitari, e tensioni all’interno delle associazioni. Ciò ha condotto a una diminuzione dell’energia creativa nel settore.
Oggi si prospetta l’opportunità di stabilizzare e riequilibrare la psicologia dell’emergenza, puntando al riconoscimento nei servizi sanitari, nelle forze dell’ordine e nei vigili del fuoco. L’innovazione deve orientarsi verso un’ottica che veda l’intervento psicosociale come un diritto continuo, non limitato all’evento acuto, ma in una logica di continuità territoriale. Questo significa abbandonare l’idea dello psicologo “rambo” che arriva per “salvare dal trauma” e abbracciare una visione più psicosociale e comunitaria, essenziale per un futuro sostenibile della disciplina in un contesto di emergenze sempre più complesse e diffuse, come dimostrato dalla meta-emergenza Covid-19, che ha coinvolto l’intera popolazione rendendo tutti, soccorritori inclusi, potenziali “vittime”.
Navigare il caos per costruire futuri possibili
Il cammino verso una Psicologia dell’Emergenza più solida e integrata è un percorso di costante apprendimento e adattamento. Fondamentale, per chi si avvicina a questo ambito, è un’attenta riflessione personale: perché si desidera lavorare nell’emergenza? Spesso, in noi vibrano desideri di onnipotenza, la pulsione di “salvare” gli altri nei momenti più critici della loro esistenza. Questa spinta, se non elaborata, può diventare un ostacolo, finendo per danneggiare noi stessi e coloro che cerchiamo di aiutare. È per questo che la terapia personale è un passo cruciale per qualsiasi professionista che intenda operare in contesti così intensi e carichi.
In un contesto così volatile, è imperativo non agire mai da soli. La regola d’oro è il lavoro di squadra, l’intervisione quotidiana con i colleghi e la supervisione al termine dell’intervento. Questo non è solo un principio etico, ma una vera e propria “igiene mentale”, un presidio essenziale per il benessere psicologico di tutti gli operatori. Il materiale emotivo accumulato durante le emergenze è denso e magmatico; necessita di essere condiviso e rielaborato all’interno di una rete di supporto solida. Ricordiamo il monito di chi ha vissuto in prima persona l’emergenza: “L’emergenza ti mangia e ti sputa”, sottolineando la sua natura usurante, sia psichicamente che fisicamente. L’adrenalina e la seduzione di agire in un ambiente di crisi possono essere ingannevoli, rendendo facile perdersi nella frenesia del momento.
Nel panorama della psicologia, l’esperienza nell’emergenza offre un laboratorio formativo straordinario. Essa permette di affinare competenze trasversali applicabili anche al lavoro quotidiano, arricchendo la propria identità professionale. Ma l’approccio costruttivista, che ci aiuta a comprendere la transizione dal “cosmos” al “caos” e la necessità di ricostruire un senso, non basta da solo. Lo psicologo dell’emergenza deve essere un esperto a 360 gradi, non limitato a un unico modello teorico. Deve conoscere la comunicazione, saper leggere le dinamiche sociali, avere un’infarinatura di geografia dei disastri e comprendere il quadro normativo.
Indirizzi di apprendimento: – È fondamentale uscire dallo stereotipo dello psicologo che arriva in tendopoli solo per “far disegnare il terremoto” ai bambini o per cercare “pazienti traumatizzati” prefissati. – La vera domanda, allora, non è “dove sono i miei pazienti traumatizzati?”, ma “dove posso essere utile in questo momento, qui e ora, con le reali necessità di queste persone?”.
In questo vasto campo, la psicologia cognitiva e comportamentale ci fornisce strumenti preziosi per comprendere come gli eventi traumatici impattino sui processi di pensiero e sulle risposte emotive individuali. Ad esempio, il protocollo EMDR, menzionato tra le tecniche di intervento, si basa su principi di elaborazione delle informazioni per facilitare l’integrazione di ricordi traumatici. A un livello più avanzato, la salute mentale nell’emergenza può essere illuminata dalla Teoria dell’Attaccamento: come le relazioni sicure e l’interazione con figure di accudimento possono proteggere individui e comunità dalla disorganizzazione psicologica, anche quando il mondo esterno sembra crollare.
Conclusioni fondamentali: La capacità di mantenere o ricostruire questi legami, anche simbolicamente, può essere un faro nella tempesta del caos, fornendo un ancoraggio identitario e relazionale essenziale per riemergere in un nuovo cosmos. La vera sfida è permettere che le menti, sconvolte dal caos, possano navigare l’imponderabile, cogliendo l’attimo per ricostruire, non solo ciò che è perduto, ma anche ciò che, da quel caos, può fiorire di nuovo.
Glossario
Glossario:
- PTSD: Disturbo da Stress Post-Traumatico, una condizione mentale che può svilupparsi dopo un’esperienza traumatica.
- PSP: Primo Soccorso Psicologico, un intervento progettato per fornire supporto immediato in situazioni di emergenza.
- EMDR: Eye Movement Desensitization and Reprocessing, una terapia per il trattamento di traumi psicologici.