Disturbi alimentari: come Peppe Quintale e la neuropsicologia possono aiutarti

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  • Nel 2023, 3.780 decessi per disturbi alimentari, prima causa di morte adolescenti.
  • Il 30% dei casi di dca cronicizzano, con mortalità elevata.
  • Adolescenti: il 10% presenta problematiche legate all’alimentazione.

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Il peso del benessere: Peppe Quintale e i disturbi alimentari

Il recente racconto di Peppe Quintale ha acceso i riflettori su una problematica complessa e spesso sottovalutata: i disturbi alimentari. La sua testimonianza, che lo vede passare da un peso di 126 chili a una forma fisica drasticamente diversa, rivela un percorso non privo di difficoltà, inclusi disturbi alimentari e periodi di depressione. Questa vicenda non è un caso isolato, ma si inserisce in un panorama più ampio di sofferenza. In Italia, si stima che circa tre milioni di persone siano affette da disturbi del comportamento alimentare (DCA), con una prevalenza allarmante tra gli adolescenti.

In particolare, nel 2023, i decessi per malattie legate ai disturbi dell’alimentazione sono stati 3.780, rendendoli la prima causa di morte tra gli adolescenti dopo gli incidenti stradali.

L’anoressia nervosa colpisce tra lo 0,2 e lo 0,8 percento della popolazione, mentre la bulimia raggiunge l’1-5 percento dei casi. Colpisce in modo sproporzionato le donne, rappresentando il 95,9% dei casi. Il periodo dell’adolescenza (che va dai 13 ai 18 anni) rappresenta una fase particolarmente delicata, contrassegnata da una crescente prevalenza dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) come l’anoressia e la bulimia nervosa, che risultano sempre più complicati da gestire. La severità intrinseca a questi disturbi viene ulteriormente aggravata dalla loro diffusione – circa il 10% delle adolescenti presenta problematiche legate all’alimentazione –, dall’accumularsi simultaneo dei sintomi fisici insieme a quelli psicologici o psichiatrici. Non trascurabile è neanche la compromissione della sfera sociale; il tasso elevato d’instabilità o cronicizzazione si attesta intorno al 30%, accanto a una mortalità che colpisce dodici volte più frequentemente le giovani affette rispetto alle loro pari non influenzate.

All’origine dell’aumento ponderale del soggetto Quintale emergeva così una condizione alimentare sottostante simile a quella presente in molti altri casi analizzati. Questi disordini non devono essere interpretati come mera manifestazione estetica; essi incarnano piuttosto indicatori significativi di conflitti interiorizzati, a partire dal riconoscimento del proprio valore personale fino alla relazione con l’autoefficacia. L’incertezza riguardo all’immagine corporea occupa senza dubbio uno spazio significativo nel dibattito attuale ed è associata comunemente a stati d’animo negativamente alterati quali sensazioni d’inadeguatezza e auto-critica spinta oltre misura.

In effetti, questo modus operandi risulta abbastanza ricorrente nei contesti giovanili dove le ragazze distintesi nel mondo accademico tendono a combattere battaglie interiorizzate anche molto ardue.

Le manifestazioni caratteristiche dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) comprendono spesso episodi in cui una persona consuma ingenti porzioni alimentari in tempi ridotti (definiti comunemente come crisi bulimiche o abbuffate), pratiche autodistruttive come il vomito autoindotto oppure l’abuso irregolare sia di lassativi sia di diuretici; tutte queste azioni rappresentano tentativi disperati volti a gestire la propria immagine corporea. È evidente anche una preoccupazione ossessiva riguardo al cibo accompagnata da ritualità particolari associate ai pasti stessi—come ad esempio tagliare meticolosamente gli ingredienti o mescolarli a dovere prima del consumo. Dal punto di vista psicologico ed emotivo i DCA emergono frequentemente attraverso stati depressivi insieme a sentimenti d’ansia intensa e irritabilità accentuata.

È cruciale evidenziare che non ogni comportamento alimentare anomalo equivarrebbe necessariamente all’esistenza di un disturbo: vi sono parametri diagnostici ben definiti da considerarsi. Nonostante ciò—particolarmente in contesti legati all’anoressia nervosa e alla bulimia—si nota una mancanza sostanziale d’interesse nei confronti del trattamento. Indubbiamente molti individui colpiti tendono a sminuire la gravità della loro condizione oppure addirittura a disconoscerne l’esistenza totale rispetto agli interventi proposti; tale dinamicità complica notevolmente le strategie terapeutiche intraprese dalle famiglie coinvolte che spesso si sentono smarrite e incapaci nell’affrontare questa negazione portata dalla propria figlia.

Le radici neurobiologiche dei disturbi alimentari: il ruolo del cervello

Artistic representation of the brain highlighting areas related to obesity and eating disorders, with colorful diagrams illustrating the orbitofrontal cortex and emotional eating reactions.

La comprensione dei disturbi alimentari ha fatto passi da gigante grazie alla neuropsicologia, che indaga le alterazioni cerebrali e i meccanismi neurali sottostanti. È stato scoperto, ad esempio, che le persone con disturbi alimentari possono presentare una dimensione maggiore di alcune aree cerebrali, come la corteccia orbito-frontale. Un volume più elevato di questa regione può indurre a smettere di mangiare prima di aver assunto una quantità sufficiente di cibo, contribuendo, ad esempio, all’anoressia.

Le ricerche suggeriscono che anche la capacità di discriminare i sapori può essere alterata: donne affette da obesità o anoressia nervosa reagirebbero ai sapori in modo differente rispetto a chi non ne soffre. Inoltre, le diete drastiche, purtroppo comuni nei tentativi di controllo del peso, possono avere effetti devastanti sul cervello, creando un “effetto yo-yo” che, lungi dall’essere solo una questione metabolica, affonda le sue radici in profonde alterazioni neurochimiche.

Studi recenti hanno rivelato come le diete estremamente restrittive possano “spaventare” il cervello, che le interpreta come periodi di carestia. Questa percezione induce l’ipotalamo, la regione cerebrale responsabile del controllo della fame, a inviare segnali di fame molto più intensi e prolungati. Quando si interrompe la dieta e si riprende a mangiare, il cervello stimola l’appetito eccessivamente per immagazzinare più nutrienti, preparandosi a future “carestie”. Questo meccanismo è alla base del famigerato effetto yo-yo: si perde peso rapidamente, per poi recuperarlo altrettanto velocemente, e spesso con gli interessi.

Ma c’è di più. Per compensare l’assenza di cibo durante le diete estreme, le aree del cervello legate alla ricompensa, il cosiddetto “circuito della ricompensa”, diventano iperattive di fronte al cibo spazzatura, al “comfort food”. Gli alimenti proibiti diventano irresistibili, aprendo la strada a vere e proprie abbuffate compulsive. Se la forza di volontà cede, l’individuo è spinto a compensare il continuo afflusso di segnali di appetito, trasformando il cibo in una vera e propria ossessione. Questo ciclo di perdita e guadagno di peso può avere impatti negativi sulla salute, non solo psicologici (frustrazione, colpa, ansia, depressione e relazioni distorte con il cibo), ma anche fisici: dalla perdita di massa muscolare, che rallenta il metabolismo basale, alla compromissione del metabolismo stesso, che brucia meno calorie a riposo.

Inoltre, le fluttuazioni di peso aumentano il rischio di problemi cardiaci, innalzando pressione sanguigna, colesterolo e zuccheri nel sangue. Le diete estreme, spesso carenti di nutrienti essenziali, possono anche portare a malnutrizione e indebolimento del sistema immunitario. L’intensità di questi segnali del piacere legati al cibo è paragonabile, in certi casi, agli effetti di alcune droghe, come rivelato da studi sui neurotrasmettitori che controllano l’appetito. La ricerca ha dimostrato che le diete drastiche possono alterare il circuito della ricompensa in modo simile alla dipendenza. I topi sottoposti a diete “yo-yo” mostravano una minore sensibilità alla dopamina, il neurotrasmettitore del benessere. Tale considerazione indica che gli individui impegnati in diete drastiche potrebbero manifestare un diminuito senso di soddisfazione, il quale potrebbe tradursi in un impulso incontrastato verso l’abbuffata alimentare.

L’approccio multidisciplinare: una via verso la guarigione

In considerazione della natura complessa dei disturbi alimentari, risulta essenziale adottare un approccio multidisciplinare, ritenuto non solo desiderabile ma imprescindibile per una cura realmente efficace. Tali disturbi emergono da condizioni multifattoriali disfunzionali nelle quali coesistono elementi fisici e psichici. Di conseguenza, tentare di affrontarli tramite una sola area specialistica appare irrealistico. È necessaria la sinergia tra diversi esperti: psicologi, dietisti e psichiatri devono collaborare affinché vengano strutturati percorsi terapeutici su misura.

Un chiaro esempio di questa integrazione si può osservare nel Poliambulatorio San Gaetano, dove operano in sinergia una psicologa clinica/psicoterapeuta cognitivo comportamentale insieme a una dietista professionista. L’intento finale consiste nel progettare interventi individualizzati in grado di rispondere alle particolari necessità del paziente; l’attenzione viene rivolta tanto al ristabilimento del peso quanto alla restituzione di abitudini alimentari sane oltre a intervenire sulle problematiche emozionali correlate.

Una delle modalità terapeutiche più promettenti in campo psico-comportamentale resta indubbiamente la Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT). Si concentra sull’identificazione e la modifica dei pensieri distorti riguardo al cibo, al peso e all’immagine corporea, incoraggiando cambiamenti comportamentali salutari e lo sviluppo di strategie di coping più adattive per gestire stress ed emozioni. Il lavoro del nutrizionista è altrettanto cruciale per ricostruire un rapporto sano con il cibo, superare le paure alimentari e stabilizzare i comportamenti nutritivi grazie a piani alimentari personalizzati e un’educazione alimentare mirata.

Il trattamento medico e psichiatrico è indispensabile per affrontare le complicazioni fisiche (squilibri elettrolitici, problemi gastrointestinali, osteoporosi) e le comorbilità psichiatriche (depressione, ansia, disturbo ossessivo-compulsivo) spesso associate ai DCA. Questo include monitoraggio dello stato di salute, gestione delle complicanze e, se necessario, supporto farmacologico.

A calming scene depicting a supportive group therapy session for eating disorders, showcasing a cozy setting with participants engaged in sharing experiences.

Un approccio integrato, che combina terapie psicologiche, supporto nutrizionale e cura medica, è cruciale per il recupero da un disturbo alimentare. Quest’azione combinata non solo mira a dissipare i sintomi immediati, ma si prefigge altresì di affrontare le cause profonde e di favorire lo sviluppo di condotte benefiche a lungo termine.

Il paziente che partecipa attivamente al proprio percorso di guarigione, coadiuvato da una rete di specialisti dedicati, può conseguire un ristabilimento durevole e sperimentare un notevole miglioramento della propria esistenza. La lotta contro i disturbi alimentari si avvale in modo determinante della prevenzione. Iniziative volte alla formazione e alla sensibilizzazione, rivolte agli ambienti scolastici e ai nuclei familiari, possono contribuire in maniera significativa a instaurare un sano legame con l’alimentazione e la percezione del proprio corpo, attenuando al contempo il pregiudizio e incoraggiando la richiesta di supporto quando necessario.

Una riflessione sul benessere e la mente

I disturbi alimentari sono una testimonianza tangibile di quanto la nostra mente e il nostro corpo siano intrinsecamente legati. La vicenda di Peppe Quintale, come quella di Nathalie Caldonazzo, che ha raccontato la sua battaglia contro l’anoressia, ci ricorda che dietro ogni comportamento disfunzionale legato al cibo c’è spesso una sofferenza psichica profonda, un tentativo disperato di controllare ciò che sembra fuori controllo nella propria vita. La psicologia cognitiva, in questo contesto, ci insegna che i nostri pensieri e le nostre credenze, anche se distorti o irrazionali, hanno un impatto diretto sulle nostre emozioni e sui nostri comportamenti. Se crediamo di non essere abbastanza “belli” o “degni” a causa del nostro peso, questa credenza può innescare un ciclo vizioso di restrizione, auto-punizione e, paradossalmente, di perdita di controllo.

A un livello più avanzato, la neuropsicologia ci rivela come i traumi, le pressioni sociali e le diete estreme possano effettivamente modificare le strutture e le funzioni cerebrali, alterando i circuiti neurali della ricompensa e del piacere. Questo significa che la “dipendenza” dal cibo o la compulsione alimentare non sono semplici questioni di volontà, ma possono essere il risultato di adattamenti neurobiologici che rendono difficile, se non impossibile, resistere a certi impulsi. Come in una scacchiera, ogni mossa errata (una dieta troppo rigida, un pensiero ossessivo) può spostare i nostri pezzi cerebrali, rendendo la partita più difficile da vincere.

Pensate a quanto sia fondamentale, allora, non solo riconoscere il disagio, ma anche comprenderne le radici profonde, sia psicologiche che neurobiologiche. Il percorso di guarigione, come ci dicono gli esperti, è lungo e richiede pazienza, ma soprattutto un approccio integrato che curi non solo il corpo, ma anche la mente. Riconoscere le proprie vulnerabilità, chiedere aiuto e intraprendere un percorso terapeutico multidisciplinare non è un segno di debolezza, ma di grande forza. È un atto di amore verso se stessi, un passo essenziale per riprendere il controllo della propria vita, non attraverso un controllo coercitivo sul cibo, ma attraverso una profonda integrazione tra mente, corpo ed emozioni. Impariamo a vedere il cibo non come un nemico da combattere o un premio da ottenere, ma come nutrimento, energia e piacere, in armonia con il nostro benessere complessivo.

Glossario:

  • Anoressia nervosa: disturbo caratterizzato da un’alimentazione insufficiente e paura intensa di ingrassare.
  • Bulimia nervosa: disturbo alimentare caratterizzato da episodi di abbuffate seguiti da comportamenti di compensazione.
  • Disturbo da alimentazione incontrollata (binge eating disorder): caratterizzato da episodi regolari di ingestione eccessiva di cibo senza comportamenti di compensazione.
  • Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT): approccio terapeutico focalizzato sulla modifica di pensieri disfunzionali e comportamenti associati.
  • Circuito della ricompensa: sistema cerebrale che regola sensazioni di piacere e gratificazione.

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