- In Italia, oltre 3 milioni di persone soffrono di disturbi del comportamento alimentare (DCA).
- L'anoressia nervosa colpisce circa l'1% della popolazione, con il 90% delle vittime donne.
- Nel primo semestre del 2020, le nuove diagnosi di DCA sono aumentate del 40%.
- L'ospedale Bambino Gesù ha registrato un aumento del 64% delle diagnosi dal 2019.
- Uno studio ha rilevato che l'uso dei social aumenta del 36% i sintomi DCA.
Aumento preoccupante dei casi in italia
Il territorio italiano è attualmente investito da una preoccupante escalation dei disturbi del comportamento alimentare (DCA), fenomeno capace di coinvolgere oltre tre milioni di individui sul suolo nazionale. Tra le forme patologiche prevalenti figurano l’anoressia nervosa e la bulimia, insieme al disturbo da alimentazione incontrollata noto come binge eating disorder. Specificamente riguardo all’anoressia nervosa – malattia che affligge circa l’1% dell’intera popolazione – ci sono oltre 540mila persone interessate; sorprendentemente ben il 90% delle vittime sono donne. Secondo quanto riportato dall’Istituto Superiore di Sanità, la fascia d’età d’esordio predominante per tali malattie oscilla fra i quindici e venticinque anni; tuttavia merita attenzione uno sviluppo inquietante: nei minori, infatti, si evidenzia una crescita costante dei contagiati. Nel corso del primo semestre del 2020, ha avuto luogo un’impressionante impennata delle nuove diagnosi: +40% rispetto al periodo precedente! Le ultime statistiche ci rivelano poi dati ancor più drammatici: nel corrente anno 2023 ben 1.680.456 nuovi casi. Quest’aumento significativo testimonia come la problematica stia evolvendo verso livelli inquietanti, soprattutto nei soggetti minorenni aventi meno di quattordici anni. [Serenis].
Il quadro preoccupante si estende anche al contesto europeo, dove la prevalenza dei DCA nei bambini raggiunge il 2%, un dato che posiziona l’Europa al primo posto a livello globale. Questi numeri evidenziano l’urgenza di adottare un approccio basato su solide fondamenta cliniche, distaccato da semplificazioni mediatiche o narrazioni ideologiche che rischiano di minimizzare la complessità di tali patologie.
Parallelamente, l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma ha registrato un incremento significativo delle diagnosi annuali di disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (DNA) dal 2019, ultimo anno precedente la pandemia di COVID-19. L’aumento si attesta circa al 64% in questo ospedale, mentre a livello nazionale i dati del Ministero indicano un incremento di circa il 35%. Questi numeri sono stati presentati in occasione della Settimana del Fiocchetto Lilla (10-15 marzo), offrendo un quadro aggiornato sulla gestione dei pazienti e sulle strategie terapeutiche impiegate. La dottoressa Valeria Zanna, responsabile dell’Unità operativa semplice di Anoressia e Disturbi Alimentari del Bambino Gesù, conferma che “i dati raccolti negli ultimi anni evidenziano un aumento dell’incidenza dei disturbi alimentari in età pediatrica e adolescenziale” [Il Sole 24 Ore].
Il panorama dei DNA è eterogeneo e comprende, oltre all’anoressia e alla bulimia, il disturbo da alimentazione incontrollata, il disturbo evitante-restrittivo dell’assunzione di cibo (ARFID) e i disturbi alimentari non altrimenti specificati. Si stima che in Italia circa 3,5 milioni di persone, pari al 6% della popolazione, ne soffrano. La prevalenza è maggiore tra le donne (90%), ma si osserva un aumento anche tra gli uomini, che rappresentano il 20% dei casi nella fascia d’età 12-17 anni al Bambino Gesù. L’esordio precoce è un altro aspetto critico, con casi diagnosticati anche a 8-9 anni. Questo abbassamento dell’età, secondo gli esperti, potrebbe essere correlato sia all’abbassamento dell’età puberale nelle bambine sia all’uso sempre più diffuso dei social network, che espongono i giovani a modelli estetici spesso irraggiungibili.
I disturbi alimentari hanno mostrato un incremento durante il periodo della pandemia, con un tasso di diagnosi raddoppiato nei minori, evidenziando l’evoluzione della patologia in dati concreti e preoccupanti. Il fenomeno dei DCA si contraddistingue per la sua complessità intrinseca, necessitando così di una risposta articolata da parte di diversi esperti: psichiatri, pediatri, psicologi, dietisti e professionisti della medicina interna sono tutti chiamati a collaborare. È cruciale riconoscere come l’anoressia e la bulimia possano dare origine a complicanze mediche severe se non vengono affrontate con prontezza e competenza. Infatti, i disturbi alimentari segnano il vertice nella lista delle patologie psichiatriche per quanto concerne la mortalità; specificamente riguardo all’anoressia nervosa si stima un aumento del rischio di morte compreso tra 5 e 10 volte rispetto alla popolazione sana dello stesso sesso ed età. In Italia registriamo annualmente circa 4.000 perdite umane attribuibili ai DCA. [SuperAbile].
L’Ospedale Bambino Gesù ha registrato un aumento del 38% nell’attività clinica dell’Unità operativa semplice di Anoressia e Disturbi Alimentari dal 2020, con i day hospital che sono passati da 1.820 a 2.420 nel 2024. L’andamento annuale per età e diagnosi rivela un incremento significativo dei nuovi accessi nelle fasce d’età più giovani (<10 anni e 11-13 anni), che sono aumentati del 50% tra il 2019 e il 2024. Inoltre, la distribuzione delle diagnosi evidenzia un'incidenza crescente di anoressia nervosa (aumentata del 68% dal 2019) e ARFID (aumentata del 65%), sottolineando la necessità di protocolli di intervento sempre più mirati. Le nuove diagnosi totali di DNA sono aumentate del 64% nello stesso periodo.
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L’impatto dei social media e la dispercezione corporea
I social media, nell’era digitale, sono emersi come un fattore di primaria importanza nell’influenzare la percezione del corpo e nell’amplificare la diffusione dei disturbi alimentari. Sebbene non siano considerati la causa scatenante di anoressia, bulimia o binge eating, costituiscono un importante fattore di rischio. La Giornata nazionale del fiocchetto lilla, celebrata il 15 marzo, ha rappresentato un’occasione per riflettere su questa problematica, sottolineando come l’espressione “disturbi del comportamento alimentare” sia stata ampliata a “disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione” (DNA) per includere una gamma più vasta di manifestazioni. Lo scopo è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica e orientare verso percorsi di cura e prevenzione, in particolare per i preadolescenti, la fascia d’età più a rischio.
Diversi studi hanno riscontrato che l’uso dei social media ha provocato un aumento del 36% dei sintomi associati a disturbi alimentari, come ansia e depressione, contribuendo a un significativo incremento di ricoveri legati a queste patologie [State of Mind].
La preoccupazione per l’impatto dei social è condivisa da medici e ricercatori. Il confronto continuo con modelli estetici spesso non realistici, promosso dalle piattaforme online, può esacerbare l’insoddisfazione corporea e contribuire a una bassa autostima. La ricerca medica e psicologica indaga attivamente i possibili legami causali tra l’uso dei social media e lo sviluppo di DNA. Un’indagine recente condotta su una community di giovani adulti con un’età media di 30 anni ha rivelato che l’81% degli intervistati ritiene che i social media abbiano esercitato un’ampia influenza sul loro rapporto con il cibo e il corpo. In un paese come l’Italia, dove oltre 42 milioni di persone sono registrate sui social media (il 71% della popolazione, secondo il report Digital 2025 Italy), l’azione di questi strumenti nel condizionare i comportamenti diventa determinante.
Alcuni contenuti specifici sui social sono considerati particolarmente dannosi. Le foto delle trasformazioni fisiche, i cosiddetti “Before & After”, sono indicate come le più problematiche dal 34% degli intervistati. Seguono i post che normalizzano le restrizioni alimentari estreme (24%) e i video “What I eat in a day” (17%), in cui vengono mostrati i pasti consumati durante la giornata, spesso con dettagli sull’apporto calorico o nutrizionale. Questi contenuti, sebbene apparentemente innocui, possono alimentare vulnerabilità preesistenti e ostacolare il percorso di recupero per chi soffre di DCA.
Il monitoraggio di hashtag pericolosi ha portato a scoprire che video e immagini legati a standard di bellezza irraggiungibili continuano a proliferare sui social media, contribuendo alla crescita della disparità nei rapporti corporei [Rai News].
Gli esperti evidenziano come l’uso problematico degli schermi, soprattutto senza un adeguato controllo da parte degli adulti, esponga i giovani a informazioni e immagini di difficile interpretazione. La continua esposizione a contenuti legati alla perdita di peso e a modelli estetici irraggiungibili può essere alimentata dagli algoritmi delle piattaforme, creando un circolo vizioso. Questo può portare a un’insoddisfazione crescente verso il proprio corpo e a ricorrere a regimi alimentari restrittivi o eccessivi, spesso suggeriti da influencer privi di competenze sanitarie. Il rischio è che questi comportamenti si traducano in patologie complesse da trattare.
Il dibattito sull’influenza dei social media non si limita ai rischi, ma include anche la diffusione di contenuti legati ai disturbi alimentari. Accanto alle community “pro-ED” (pro-eating disorder), che incoraggiano comportamenti disordinati, sono emerse comunità “pro-recovery”, orientate alla guarigione. Le piattaforme online hanno amplificato la portata di entrambi i tipi di contenuti. Mentre i contenuti pro-ED promuovono i disturbi alimentari come una scelta di vita, associando immagini di corpi sottopeso a messaggi di perdita di peso estrema, le comunità pro-recovery offrono spazi di supporto, ispirazione e motivazione per intraprendere un percorso di cambiamento. Tuttavia, anche gli spazi pro-guarigione possono presentare insidie, come la perpetuazione della “cultura della dieta”, la presenza di immagini scatenanti e il rischio di confronti continui incentrati sull’aspetto fisico.
Uno studio esplorativo statunitense ha analizzato video su TikTok legati alla guarigione dai disturbi alimentari, esplorando come vengono rappresentati questi percorsi nelle community online. L’analisi ha evidenziato la centralità del cibo nelle discussioni, sia come “cibi della paura” affrontati nel processo di guarigione sia come elemento distintivo delle esperienze con i disturbi alimentari. I video mostrano come i creator utilizzino l’umorismo nero per descrivere le loro esperienze e come il recupero venga rappresentato sia come un processo di lotta che come un percorso di speranza. La possibilità di ricevere e dare aiuto è un tema ricorrente, con suggerimenti pratici e narrazioni di esperienze in contesti di cura professionale. Tuttavia, la “cultura della dieta” si insinua anche negli spazi pro-recovery, con critiche agli standard di magrezza ma anche contenuti che promuovono la perdita di peso in un’ottica di “guarigione”. Queste dinamiche evidenziano la complessità del ruolo dei social media e la necessità di un approccio critico ai contenuti che propongono.
Strategie di prevenzione e percorsi di cura
La complessità inerente ai disturbi alimentari esige una soluzione non solo articolata ma anche multifaceted che affronta la questione attraverso diversi ambiti: dalla prevenzione fino al trattamento clinico vero e proprio. È imprescindibile implementare strategie preventive al fine di evitare l’emergere delle suddette patologie nelle classi giovanili vulnerabili. A questo proposito, gli interventi possono essere distinti sulla base del loro grado temporale d’azione: la previsione primaria orienta i suoi sforzi verso la popolazione generale con intenti informativi volti ad accrescere la consapevolezza sui potenziali rischi; gli sforzi della previsione secondaria mirano invece agli individui o gruppetti ritenuti maggiormente suscettibili; infine, la previsione terziaria si propone come obiettivo quello di ridurre il peso dell’affezione nei soggetti già colpiti da essa ed impedire eventuali recidive.
È quindi essenziale, nel contesto preventivo, abbracciare un approccio nutrizionale sano sin dalla tenera età ed elaborarlo come una vera propria barriera protettiva contro i disturbi dell’alimentazione. L’adozione o meno di regimi alimentari estremamente restrittivi durante l’adolescenza assume una rilevanza critica, dato che frequentemente fungono da precursori per lo sviluppo dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA). La Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA) sottolinea il ruolo chiave dell’educazione alimentare e della promozione della salute psichica nei giovani. Questo include percorsi strutturati di alfabetizzazione digitale nelle scuole, rivolti sia agli studenti che alle famiglie, per affrontare in modo critico i contenuti online legati al cibo e all’immagine corporea.
È essenziale migliorare la formazione e la sensibilizzazione degli operatori sanitari riguardo ai DCA per garantire percorsi di cura appropriati e tempestivi [Lilac Centro DCA].
Accanto alla prevenzione, un pilastro fondamentale nella lotta ai DCA sono i percorsi di cura. La terapia più riconosciuta ed efficace per il trattamento dei disturbi alimentari è la terapia cognitivo-comportamentale (TCC), in particolare nella sua forma “migliorata” o “transdiagnostica” (CBT-E). Questo approccio terapeutico è considerato il trattamento d’elezione per la bulimia nervosa ed è applicato con successo anche nell’anoressia nervosa e nel disturbo da alimentazione incontrollata. La CBT-E si distingue per essere un trattamento breve, della durata variabile dai quattro ai dodici mesi, con sedute settimanali nella maggior parte dei casi.
Christopher Fairburn, psicologo di fama mondiale, ha sviluppato la CBT-E, oggi riconosciuta come il protocollo di riferimento per il trattamento dei disturbi alimentari, applicato a una vasta gamma di pazienti, inclusi adolescenti e adulti [State of Mind].
Esistono diverse pubblicazioni e manuali dedicati alla pratica della TCC per i disturbi dell’alimentazione, rivolti sia ai professionisti della salute mentale sia ai pazienti stessi. Questi materiali forniscono indicazioni teoriche, descrivono il trattamento e presentano casi clinici, anche per differenti modalità di cura, come la TCC multistep.
È importante sottolineare che il trattamento dei DCA richiede un approccio multidisciplinare, che coinvolga diversi operatori sanitari con competenze specifiche. Tra questi figurano medici internisti con competenze nutrizionali, psichiatri, psicologi e psicoterapeuti (specializzati in TCC, FBT, ecc.), dietisti, infermieri professionali e fisioterapisti.
Tuttavia, l’accesso alle cure rappresenta una sfida in Italia. L’indagine condotta da ‘Lilac – Centro DCA’ ha evidenziato notevoli ostacoli nel trovare un operatore sanitario specializzato nel trattamento dei DCA, con l’80% degli intervistati che ha riscontrato difficoltà. Inoltre, il 67% dei pazienti si è sentito minimizzato nel proprio disturbo da parte di alcuni professionisti, con affermazioni del tipo “il tuo peso è nella norma, quindi non hai un problema”, “non sembra che tu abbia un disturbo alimentare” o “mangia di più e vedrai che ti passa”. Questi risultati sottolineano l’urgente necessità di migliorare la formazione e la sensibilizzazione degli operatori sanitari.
Altri ostacoli all’accesso alle cure includono la paura di non essere “abbastanza malati” (26%), che porta molte persone a ritardare la ricerca di supporto, e i costi elevati delle terapie (19%). A livello nazionale, sebbene esistano oltre 150 centri per il trattamento e la cura dei DCA, la loro diffusione è irregolare e molte Regioni sono sprovviste di strutture dedicate. La Piattaforma Disturbi Alimentari dell’Istituto Superiore di Sanità offre uno strumento di ricerca per individuare il centro o l’associazione più vicina.
La prevenzione delle ricadute è un aspetto cruciale del percorso di cura. Strategie a lungo termine per un benessere durevole includono un supporto nutrizionale approfondito, il mantenimento del benessere olistico e l’implementazione di strategie specifiche per prevenire il ritorno a comportamenti disfunzionali. Uno studio condotto dal Centro per la cura dei disturbi alimentari di Villa Miralago e dall’Università di Milano ha evidenziato la necessità di pianificare in modo dinamico e personalizzato l’assunzione di calorie e proteine nel percorso riabilitativo nutrizionale, considerando marcatori chiave come peso, Indice di Massa Corporea (IMC), massa grassa e massa magra. Le evidenze emerse indicano che il consumo calorico ha un ruolo determinante nel ripristino tempestivo della massa adiposa, mentre è fondamentale l’apporto proteico per mantenere intatta la massa muscolare e stimolare i processi di rigenerazione cellulare. La ricerca mette in evidenza l’assenza di una metodologia nutrizionale universale e immutabile; al contrario, si deve perpetuamente modificare il piano alimentare in funzione delle necessità individuali di ciascun assistito.
Affrontare la complessità con consapevolezza e cura
I dati non lasciano spazio a dubbi: i disturbi alimentari sono una realtà in crescita e sempre più complessa in Italia, con un’incidenza preoccupante tra i più giovani. Questo incremento, sebbene non direttamente causato dai recenti eventi globali, è stato indubbiamente amplificato da una serie di fattori, tra cui l’onnipresenza dei social media nella vita quotidiana. L’impatto di queste piattaforme sulla percezione di sé e sull’immagine corporea è tangibile e richiede un’attenzione particolare. Non si tratta di demonizzare uno strumento, ma di riconoscerne la potenziale influenza e di sviluppare strategie per navigarla in modo sano.
Dal punto di vista della psicologia cognitiva, uno degli elementi chiave che contribuisce allo sviluppo e al mantenimento dei disturbi alimentari è il fenomeno della “distorsione cognitiva”. Si tratta di schemi di pensiero irrazionali o disfunzionali che portano l’individuo a percepire se stesso e il mondo in modo inaccurato. Nel contesto dei DCA, queste distorsioni si manifestano spesso come pensieri catastrofici legati al cibo, al peso e alla forma corporea. Ad esempio, un singolo pasto considerato “sbagliato” può essere interpretato come un fallimento totale, portando a sensi di colpa e a comportamenti compensatori estremi. Il confronto sociale, facilitato e incentivato dai social media, alimenta ulteriormente queste distorsioni, esponendo gli individui a ideali estetici spesso irrealistici e promuovendo una cultura della perfezione inaccessibile. Questa costante valutazione di sé in relazione agli altri può erodere l’autostima e rinforzare l’idea che il proprio valore sia legato esclusivamente all’aspetto fisico.
Un concetto più avanzato della psicologia comportamentale applicabile a questo tema è quello del “condizionamento operante”. Nei disturbi alimentari, i comportamenti disfunzionali (come la restrizione alimentare, il vomito autoindotto o l’esercizio fisico eccessivo) possono essere rinforzati da esiti positivi percepiti, anche se dannosi a lungo termine. Ad esempio, la perdita di peso, inizialmente vista come un successo o un raggiungimento di un obiettivo, può diventare un rinforzo positivo che incentiva il mantenimento dei comportamenti restrittivi, nonostante le conseguenze negative sulla salute fisica e mentale. Contemporaneamente all’evasione delle emozioni negative collegate al cibo o all’immagine corporea — fenomeno che si manifesta attraverso comportamenti disfunzionali — può presentarsi un rinforzo negativo, facendo così perdurare il ciclo del disturbo stesso.
Esaminando simili dinamiche è necessario ponderare sull’importanza cruciale dell’acquisizione di una consapevolezza aumentata tanto sul piano personale quanto su quello collettivo. Comprendere le strutture cognitive e comportamentali fondamentali nei disturbi alimentari è cruciale non solo per individuare in modo tempestivo segnali d’allerta in noi stessi o negli altri, ma anche per dotarci della capacità necessaria ad affrontare la persuasiva ed insidiosa influenza dei social media. Si deve quindi differenziare tra il ritirarsi da un panorama digitale opprimente ed apprendere la strategia giusta per selezionarne i messaggi; tutto ciò implica lo sviluppo di un’auto-percezione realistica ed empatica nei confronti nostri e degli individui circostanti. È imperativo investire nel perfezionamento professionale degli operatori sanitari: abbattere stereotipi nocivi ed ampliare le possibilità d’accesso verso programmi terapeutici specializzati come la terapia cognitivo-comportamentale. Questi interventi rappresentano passaggi cruciali volti alla costruzione di una comunità capace di fronteggiare con salute mentale adeguata le varie sfide contemporanee. Il concetto di solidarietà, quando si traduce in un’assistenza concreta a chi affronta simili difficoltà, evolve in un segno d’affetto e assume la funzione di una battuta d’arresto decisiva nel cammino verso la salute.