Cronaca nera e psiche: come proteggere la tua salute mentale?

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  • Dopo eventi traumatici, le richieste di aiuto psicologico aumentano del 15%.
  • Il disturbo post-traumatico da stress (PTSD) è associato all'esposizione a eventi traumatici mediati dai media.
  • La percezione di pericolosità urbana può aumentare del 20-25% con l'esposizione a cronaca nera.

L’eco dei drammi: l’impatto della cronaca nera sulla psiche collettiva

La continua esposizione a episodi traumatici – che avvenga tramite uno schermo o mediante pubblicazioni cartacee – rappresenta una significativa sfida per il benessere mentale tanto a livello personale quanto collettivo. Il 17 agosto 2025 alle ore 06:47 emerge con particolare forza questa riflessione sul fenomeno in oggetto; tale considerazione si rende necessaria soprattutto in relazione all’impatto in determinate aree geografiche. Le notizie riguardanti fatti di cronaca nera—comprese narrazioni su incidenti gravi e atti violenti—si insinuano nel tessuto della vita quotidiana trasformandosi così in agenti scatenanti che alimentano stati ansiosi diffusi assieme a una crescente sensazione d’insicurezza. È fondamentale sottolineare che questa dinamica non riguarda esclusivamente le persone direttamente colpite né i loro familiari; essa raggiunge una platea più ampia generando quello stato conosciuto come trauma indiretto oppure vicario.

I processi implicati sono intricati: l’acquisizione di dettagli raccapriccianti unitamente alla continua esposizione mediatica ad immagini strazianti o narrativi sconvolgenti contribuiscono alla formazione nella coscienza collettiva del sentimento d’impotenza dentro un ambiente apparentemente protetto; tali esperienze hanno un potere disgregante sull’equilibrio psicologico delle persone coinvolte. È un fenomeno che merita un’analisi approfondita, in quanto si inserisce prepotentemente nel panorama della psicologia cognitiva e comportamentale moderna, della traumatologia e della medicina correlata alla salute mentale.

Recenti studi mostrano che l’esposizione a contenuti violenti nei media può incrementare i livelli di ansia e paura, specialmente tra le popolazioni vulnerabili. Le aree geografiche colpite da eventi traumatici tendono a subire un impatto psicologico più forte: il 15% delle richieste di aiuto psicologico aumenta dopo una copertura mediatica intensificata su crimini e disastri. Fonte: “Mass media: influenza delle notizie negative sulla salute psicologica” – State of Mind.

In particolare, l’attenzione si focalizza su regioni come l’Abruzzo, che, stando a recenti osservazioni, sembrano essere colpite con una frequenza allarmante da eventi di cronaca nera rilevanti. Questa peculiare incidenza solleva interrogativi sulla resilienza delle comunità e sui meccanismi di coping adottati. Non si tratta soltanto di registrare una semplice aumentata incidenza degli eventi; piuttosto osserviamo un’amplificato senso del rischio, esacerbato dall’eco dei media. Sebbene le informazioni abbiamo il compito cruciale di informarci, quando tali notizie non vengono affrontate con attenzione possono dar vita a una sproporzionata ansia collettiva. L’ambito della psicologia comportamentale dimostra chiaramente come esperienze attraverso l’osservazione e ripetute esposizioni a contenuti inquietanti plasmino sentimenti e azioni delle persone. In questa cornice interpretativa emerge la necessità di identificarsi con i soggetti colpiti dagli eventi tragici: quindi empatia nei loro confronti e tendenza alla generalizzazione del rischio costituiscono fattori psicologici cruciali che evolvono dati oggettivi in realizzazioni emotive vivide.

Eventi come quello di un sinistro stradale accaduto nelle vicinanze oppure le notizie su atti criminosi avvenuti in città limitrofe o ancora racconti legati a calamità naturali hanno il potere evocativo necessario a farci sentire più esposti ai rischi anche senza parteciparvi direttamente. Questo porta a una riorganizzazione cognitiva, dove la percezione del mondo esterno diventa più minacciosa e imprevedibile.

Parallelamente, l’accelerazione dei cicli di informazione e la pervasività dei nuovi media, inclusi i social network, amplificano ulteriormente questo fenomeno. La disponibilità costante di notizie, spesso presentate in modo crudo e immediato, erode le barriere protettive che in passato filtravano l’esposizione a contenuti potenzialmente destabilizzanti. Il confine tra realtà virtuale e vissuto individuale si assottiglia, rendendo più difficile per il singolo modulare l’impatto emotivo delle informazioni. La psicologia cognitiva indaga i processi mentali sottostanti la percezione e l’elaborazione di queste notizie, evidenziando come la memoria emotiva e i bias cognitivi possano distorcere la valutazione del rischio e la percezione di sicurezza.

Glossario:

  • Trauma indiretto: esperienza di trauma attraverso il contatto con il dolore di un’altra persona, senza essere direttamente colpiti da esso.
  • Evidenza empirica: dati raccolti attraverso osservazione diretta o esperimenti che forniscono supporto per una teoria o un’asserzione.

Questo contesto rende la questione del trauma indiretto non solo una preoccupazione clinica, ma anche un tema di rilevanza sociale e culturale, che chiama in causa la responsabilità dei media e la necessità di sviluppare strategie individuali e collettive per un consumo più consapevole e protettivo delle informazioni. I dati recenti che emergono, per esempio, indicano un incremento del 15% nelle richieste di supporto psicologico legate ad ansia e stress cronico in determinate aree geografiche dopo periodi intensi di copertura mediatica di eventi traumatici, suggerendo una correlazione diretta tra l’esposizione alla cronaca nera e il benessere mentale della popolazione.

I meccanismi psicologici del contagio emotivo

Il fenomeno del trauma vicario o indiretto, affondando le sue radici nei principi fondamentali della psicologia sia comportamentale che cognitiva, chiarisce il modo in cui la fruizione dei racconti riguardanti eventi traumatici può scatenare reazioni emotive e fisiche analoghe a quelle vissute dalle persone direttamente coinvolte. Questo non va confuso con una semplice manifestazione empatica; al contrario rappresenta un processo empatico complesso, capace potenzialmente di influenzare gravemente la salute psichica degli individui. La mente umana mostra una predisposizione notevole verso schemi informativi capaci di interferire con il proprio senso innato di sicurezza: ciò accade durante l’immediata diffusione delle notizie più cruenti dove i circuiti neurali collegati alla paura e all’ansia vengono attivati indipendentemente dall’assenza di un pericolo concreto.

Uno dei fattori chiave attraverso cui questo avviene è l’identificazione. Il lettore, approfondendo i dettagli intrinseci a una tragedia, può effettivamente calarsi nella condizione vissuta dalla vittima o dai suoi cari. Il meccanismo descritto avviene spesso in modo inconscio e automatico; è suscettibile a intensificarsi grazie alla risonanza emotiva derivante da specifici dettagli o dall’analogia tra le circostanze presentate nella notizia e esperienze personali già vissute dal soggetto ricevente. Quando si riporta un incidente stradale accaduto su una strada conosciuta oppure atti di violenza avvenuti in aree familiari al lettore stesso, emerge un’accresciuta immedesimazione che infonde al messaggio cariche emozionali significative. Inoltre, non va trascurata l’importanza dell’empatia, abilità cruciale nelle relazioni sociali poiché permette non solo la comprensione ma anche la condivisione delle emozioni degli altri: tale meccanismo rischia però di diventare uno strumento attraverso cui lo stress traumatico viene trasferito all’individuo coinvolto nella fruizione della notizia. Emozioni negative quali tristezza, rabbia e impotenza – tutte percepibili nei resoconti sugli eventi più cruenti – tendono a essere assimilate dal lettore stesso; questo porta alla creazione di una pesante eredità psicologica capace addirittura di superare i limiti delle sue capacità analitiche intrinseche. Le conseguenze possono tradursi nell’insorgenza d’insonnia, malumori ingegnosi o scarsa concentrazione; nelle situazioni più estreme ci si imbatte perfino nello sviluppo effettivo dei classici sintomi riconducibili allo stress post-traumatico.

Recenti ricerche mostrano che il disturbo post-traumatico da stress (PTSD) è associato a esperienze di esposizione a eventi traumatici, anche attraverso la mediazione dei mass media. Questo disturbo può portare a gravi disfunzioni sociali e occupazionali, evidenziando come la copertura mediatica possa succedere in modo traumatico, aggravando le condizioni di salute mentale degli individui.

La generalizzazione del pericolo è un ulteriore meccanismo rilevante. Di fronte a eventi traumatici frequentemente riportati, la mente umana tende a estendere la percezione del rischio dall’evento specifico a contesti più ampi. Se un incidente si verifica in una certa località, si può iniziare a percepire quella località come più pericolosa in generale. Se si susseguono notizie di aggressioni, la percezione di sicurezza personale nello spazio pubblico può diminuire drasticamente, portando a comportamenti di evitamento o a uno stato di ipervigilanza costante. Questo processo generalizzante ha il suo fondamento nella necessaria evoluzione protettiva dell’individuo; tuttavia si trasforma in qualcosa di controproducente qualora porti all’insorgere di visioni distorte e illogiche rispetto alla verità reale.

Ricerche recenti hanno evidenziato come la continua esposizione ai notiziari focalizzati su attualità riguardanti reati e calamità possa incrementare la sensazione collettiva sulla pericolosità della vita urbana fino al 20-25%, benché non corrisponda a una vera ascesa nelle statistiche della criminalità stessa. Tale incongruenza tra ciò che è realmente verificabile e il modo in cui viene interpretato costituisce uno spaccato significativo sull’influenza esercitata dai mezzi d’informazione sulle nostre menti.

In questo contesto emerge chiaramente come la vulnerabilità percepita acquisti forza ogniqualvolta le certezze circa la sicurezza vengano minate da notizie allarmistiche. Prendendo ad esempio l’Abruzzo – caratterizzato da numerosi episodi legati alle forze della natura oltre a incidenti stradali o crimini – appare evidente come esso sia oggetto privilegiato per esaminare tali dinamiche comportamentali. La conformazione del territorio abruzzese lo espone infatti non solo ai terremoti ma anche ad altre emergenze ambientali; aggiungendo alla situazione già precaria alcuni dati sulla ricorrenza degli incidenti sulle principali vie comunicative presenti nell’area crea dunque una visione complessivamente inquietante da parte dei suoi abitanti.

Uno studio ha evidenziato quanto il consumo di notizie negative possa influenzare negativamente la salute psicologica: l’esposizione prolungata alle notizie di atti di violenza e crimine aumenta il rischio di sviluppare ansia e depressione. Fonte: “Disturbo post-traumatico da stress – MSD Manuals”.

I media, nel loro ruolo di divulgatori, hanno la responsabilità di informare, ma anche la capacità di modulare la percezione della realtà. La ripetizione esasperata di particolari macabri, la tendenza a sensationalizzare le notizie, o la mancanza di contestualizzazione, possono trasformare la narrazione giornalistica in una fonte di stress cronico per i lettori e gli spettatori. La medicina correlata alla salute mentale, in questo scenario, evidenzia la necessità di strategie preventive e di interventi mirati a mitigare gli effetti negativi di questa esposizione, promuovendo una cultura mediatica più consapevole e una maggiore alfabetizzazione emotiva. La ricerca di un equilibrio tra il diritto all’informazione e la salvaguardia della salute mentale collettiva emerge come elemento fondamentale nel dibattito sociale contemporaneo.

Abruzzo: un caso di studio della vulnerabilità psicologica

L’Abruzzo rappresenta un esempio straordinario per l’analisi delle complessità legate al trauma indiretto, grazie alla sua configurazione geografica unica e alle sue peculiarità sociali. Dalla maestosa catena degli Appennini fino ai confini della riviera adriatica, questa regione ha assistito nel corso della storia a una serie impressionante di avvenimenti critici sia naturali sia provocati dall’uomo. Questi eventi hanno infuso nelle coscienze delle persone un senso profondo dell’eredità collettiva. Tra i casi più drammatici spiccano i terremoti: in primis quello devastante del 2009 a L’Aquila – tragico bilancio di oltre 300 morti insieme a distruzioni enormi – seguito dalla calamità meno remota del 2016 nell’area di Rigopiano con le sue terribili conseguenze umane per ben 29 vittime. Oltre ai disastri naturali senza precedenti, sono frequenti anche gli incidenti stradali sulle vie principali unite tra mare ed entroterra oppure fra le impervie zone montane; purtroppo bisogna considerare anche tragici fatti criminali, sebbene rari, ma capaci comunque di scuotere l’intera comunità locale. Tali elementi si intrecciano creando una condizione propizia per l’emergere e l’espandersi del trauma indiretto. È attraverso la ripetizione temporale degli incidenti traumatici—anche se questi non sono direttamente correlati—che si produce una sensazione costante di vulnerabilità esistenziale. Le nuove informazioni riguardanti tragiche evenienze o calamità evocano ricordi precedenti: queste memorie emozionali vengono riattivate mentre aumenta la percezione che il contesto esterno sia fondamentalmente instabile.

Ad esempio, a seguito del terremoto avvenuto nel 2009, vi è stata una crescita notevole nel numero delle diagnosi legate ad ansia e depressione non soltanto nei luoghi immediatamente colpiti ma anche nelle aree circostanti; qui gli abitanti seguivano da vicino gli sviluppi grazie ai mass media, riportando le esperienze tragiche vissute dalle vittime. Le narrazioni relative a tali situazioni sono caratterizzate dalla loro minuziosità e spesso offrono ampio spazio alle voci dei sopravvissuti, generando così una forte eco emotiva tra il pubblico.

In questo scenario complesso, i mezzi d’informazione svolgono una funzione duplice: assicurano da un lato il diritto della società all’informativa sui fatti accaduti; dall’altro però la maniera in cui tali news vengono comunicate potrebbe paradossalmente aumentare l’ansia collettiva tra i cittadini. La ricerca attuale tende verso uno storytelling avvincente, il quale talvolta si trasforma in sensazionalismo sfrenato; parallelamente vi è la ripetizione incessante d’immagini e suoni angoscianti che sovraespongono gli spettatori e i lettori al dolore degli altri. In territori dove già si vive sulla pelle la precarietà dell’esistenza umana, tale esposizione continua intensifica profondamente i meccanismi identificativi ed empatici nei confronti delle esperienze altrui. Un’ulteriore illustrazione emerge dall’impatto emotivo provocato da notizie riguardanti incidenti stradali gravi: ogni segnalazione può riflettersi nelle coscienze riguardo ai pericoli connessi alla mobilità nella zona interessata; ciò genera pertanto una sorta d’allerta innata quando ci si appresta a percorrere le medesime arterie stradali.

Nonostante le popolazioni abruzzesi manifestino notevoli doti resilienti e abilità rigenerative sorprendenti dalle calamità affrontate nel tempo, esse vivono sotto l’incessante pressione psicologica dovuta alle circostanze esterne quotidiane; questo fenomeno potrebbe minare progressivamente tanto la loro fiducia nei giorni futuri quanto il senso d’assenza relativa della propria sicurezza individuale.

Essenziale rimarcare come sia erroneo considerare vulnerabilità equivalente a debolezza: essa rappresenta infatti un grado superiore d’apertura rispetto agli stimoli provenienti dall’ambiente circostante. L’insegnamento fornito dalla psicologia dei traumi, del resto, evidenzia come anche le esperienze traumatiche indirette contribuiscano ad accumularsi fino a influenzare negativamente il benessere psicologico generale degli individui coinvolti. Considerando questo aspetto, l’Abruzzo si configura come un autentico laboratorio naturale, utile all’esame dei modi in cui determinati fattori geografici, insieme alla particolare incidenza di situazioni critiche e alla diffusa narrazione offerta dai media, possano influenzare profondamente la salute mentale degli individui residenti. Un’indagine meticolosa su questo fenomeno potrebbe rivelarsi estremamente vantaggiosa nella creazione di approcci efficaci sia nell’intervento che nella prevenzione. Queste informazioni possono rivelarsi utili non solo alle persone che abitano nel territorio abruzzese, ma anche agli individui collocati in altre aree con simili vulnerabilità dovute a esperienze traumatiche. Si propone così l’intento ambizioso di convertirla in capacità resiliente tramite la sensibilizzazione verso un consumo responsabile delle informazioni mediatiche e mediante il potenziamento delle risorse psicologiche sia su base individuale che collettiva.

Costruire resilienza: strategie per un consumo media consapevole

Affrontare l’impatto del trauma indiretto richiede un approccio multisfaccettato che coinvolga sia i singoli individui sia i professionisti dei media. La costruzione della resilienza di fronte alla diffusione della cronaca nera non si basa sull’evitare l’informazione, ma piuttosto sullo sviluppo di strategie per un consumo consapevole e protettivo dei media. Questo significa riconoscere che non tutte le notizie hanno lo stesso peso emotivo e imparare a modulare la propria esposizione per salvaguardare la propria salute mentale. Nel campo della psicologia comportamentale, l’adozione di abitudini mediatiche più sane può essere paragonata all’implementazione di qualsiasi altra strategia di benessere: richiede consapevolezza, disciplina e la capacità di auto-monitoraggio.

Alcuni strumenti efficaci per limitare l’esposizione a notizie traumatiche includono:

  • Selezione critica delle fonti: privilegiare fonti informatiche con standard etici.
    • Delineare dei confini temporali riguardo alla fruizione delle notizie.
    • Contrastare il sensazionalismo mediante una scelta accorta dei contenuti divulgati.

Iniziando dalle raccomandazioni fondamentali, emerge come prioritaria la necessità della selezione critica delle fonti. Non tutte le piattaforme informative rispettano i medesimi criteri in termini di precisione, imparzialità e delicatezza nella trattazione degli eventi traumatizzanti. Dare precedenza a organi d’informazione o canali ritenuti affidabili e professionali nel proprio operato consente una significativa diminuzione dell’esposizione ai reportage allarmistici oppure a descrizioni particolarmente inquietanti senza un vero motivo giustificativo. Ciò richiede una riflessione approfondita non soltanto su cosa venga trasmesso, ma altresì su come l’impostazione narrativa possa condizionare le nostre risposte emozionali.

Un aspetto cruciale consiste nell’evitare quelle fonti propense ad approfittare della sofferenza umana per aumentare visibilità e audience; questa accortezza rappresenta un punto cardine nell’alleggerimento dello stress psicologico accumulato dai fruitori d’informazione. Secondo uno studio condotto nel 2023, è emerso chiaramente come le persone che attingono da giornali considerati più obiettivi presentino livelli d’ansia legati alle notizie inferiori del 20% rispetto ai lettori fidelizzati su mezzi maggiormente improntati al sensazionalismo.

Parallelamente, è cruciale stabilire dei limiti temporali all’esposizione. Non è necessario o salutare essere costantemente aggiornati su ogni singolo sviluppo di una notizia. Prendersi delle pause dall’informazione, dedicare del tempo ad attività non legate ai media e stabilire orari specifici per l’aggiornamento notizie può aiutare a creare un cuscinetto protettivo.

Secondo studi recenti, limitare l’esposizione ai notiziari a uno o due momenti della giornata contribuisce a una risposta emotiva più equilibrata e a una maggiore serenità. ? I dati mostrano che un’adeguata regolazione dell’esposizione è correlata a un miglioramento del benessere psicologico.

Questa pratica di detox digitale per le notizie è sempre più riconosciuta come una strategia efficace per ridurre i livelli di ansia e migliorare il benessere generale. Dall’angolo della psicologia cognitiva, è utile sviluppare la capacità di contestualizzare le notizie e di sfidare i pensieri catastrofici. È frequente osservare come la cronaca nera possa trasmettere una visione distorta circa la probabilità d’incorrere in situazioni analoghe ai fatti esposti. È cruciale ricordare che gli episodi drammatici sono rarissimi dal punto di vista statistico e non costituiscono il normale andamento della vita quotidiana. Focalizzarsi sull’effettiva gravità dei rischi presenti ed esaminare le personali attitudini nel fronteggiare tali difficoltà permette il ripristino del senso di controllo interiore, oltre alla mitigazione dell’ansia complessiva.

In aggiunta, l’importanza della ricerca di supporto sociale emerge come uno dei fondamenti per costruire resilienza psicologica. Confrontarsi riguardo a timori e inquietudini con amici intimi o specialisti del settore psico-sanitario favorisce processi elaborativi sani delle emozioni stesse, contribuendo ad alleviare il sentimento d’isolamento individuale rispetto alle problematiche affrontate. Questa pratica consente alla dimensione emotiva condivisa e al riconoscimento vissuto delle esperienze altrui di trasformarsi in opportunità propizie per consolidare i legami sociali attraverso forme reciproche d’assistenza.

Nell’attuale panorama informativo caotico, caratterizzato da una continua esposizione alle vicende tragiche dell’umanità tramite ogni singolo clic digitale, risulta imperativo concedere spazio alla riflessione personale su quanto ci circonda. L’analisi psicologica cognitiva, mediante uno studio rigoroso dei nostri meccanismi mentali interni, sostiene con forza un concetto cardine: l’interpretazione personale della realtà è sempre soggettiva anziché obiettivamente veritiera. Tale interpretazione emerge come un’attività costruita dalla mente stessa e modellata da tutte quelle informazioni assimilate. In situazioni in cui siamo esposti a cronache drammatiche piene di eventi tragici o inquietanti, la nostra psiche reagisce attivando processi complessi che vanno oltre il semplice atto del ricordare fatti neutri; si tratta invece di un’operazione che include un’elaborazione profonda delle emozioni, collegandosi strettamente al bagaglio esperienziale individuale e ai punti fragili presenti nella nostra vita.

Questo processo dinamico, noto come risuonanza emotiva, pur essendo impercettibile agli occhi comuni, ha il potere distruttivo d’inflazionare gradualmente l’equilibrio tra percezione sicura e insicurezza quotidiana. Nella sostanza, ogni narrazione dolorosa letta o ascoltata penetra nel cuore umano, caricandolo emotivamente anche quando non venga sperimentata in prima persona.

Inoltre, quando analizziamo approfonditamente questo argomento attraverso l’occhio critico fornito dalla psicologia comportamentale, diviene evidente quanto possa essere impattante: reazioni persistenti nei confronti d’esperienze negative – seppur lontane – possono orchestrare modelli disfunzionali nelle emozioni umane, determinando effetti rilevanti sulle azioni future. Riflettiamo sul concetto dell’apprendimento vicario: l’assenza di esperienza diretta con un pericolo non esclude l’assimilazione del timore nei suoi confronti. Anche semplicemente osservando o leggendo delle esperienze altrui colpite da danno, si comincia a instaurare un senso di preoccupazione anticipatoria. Questo fenomeno diventa particolarmente rilevante in relazione alla cronaca nera; infatti, l’esposizione continua a racconti che descrivono episodi violenti, incidentali o catastrofici – incluse le emergenze ambientali – tende a far insorgere una ipervigilanza costante. Tali attitudini si concretizzano attraverso abitudini quotidiane: ripetuti controlli sulla chiusura delle porte; l’evitamento deliberato di zone diventate emblematiche del rischio secondo i reportage; oppure ancora il sorgere ingiustificato d’ansie durante gli spostamenti. Qualora questo stato allarmistico non venga trattato adeguatamente, può evolvere in disturbi ansiogeni reali nel corpo stesso degli individui oppure avere effetti deleteri sulla qualità esistenziale complessiva degli individui stessi, impedendo loro un vivere autentico ed equilibrato nelle esperienze giornaliere. A fronte dell’insorgere di tali questionamenti sorge dunque un interrogativo decisivo: come è possibile mantenersi aggiornati e coinvolti rispetto alle realtà del nostro contesto globale senza lasciarsi sopraffare dalle fortissime emozioni suscitate dalla cronaca? Il vero problema non deve essere ricercato nell’ignoranza; piuttosto si trova nella consapevolezza. Dobbiamo esaminare criticamente la “dieta mediatica” da noi scelta allo stesso modo in cui ponderiamo ciò che mangiamo. Potrebbe apparire controintuitivo pensarlo, ma forse l’alternativa non consiste nel disconnettere il televisore o nel rinunciare ai quotidiani: essa sta piuttosto nello sviluppare abilità nel selezionare informazioni rilevanti dalla miriade di notizie disponibili quotidianamente. Solo attraverso questa competenza potremo calibrare correttamente le nostre fonti d’informazione ed esercitare quel giudizio critico necessario per separare il dato concreto dal mero sensazionalismo.

Tale metodologia può fungere da scudo contro i dannosi effetti del trauma indiretto e potenziarci come cittadini più attenti ed impegnati (pensanti) & (responsabili), abilitati così a offrire contributi significativi verso un dibattito collettivo caratterizzato da maggiore serenità anziché apprensione. Questa è davvero una sollecitazione all’introspezione; rappresenta un’esortazione al rafforzamento della nostra resistenza emotiva nell’attuale contesto informativo straordinariamente invadente. Non dimentichiamoci mai della sacralità della nostra quiete interiore: essa è uno scrigno prezioso meritevole della massima attenzione.


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