Commozioni cerebrali nello sport: scopri i rischi (e come proteggerti)

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  • Circa 1/5 degli atleti negli sport di collisione subisce commozioni cerebrali a stagione.
  • Le valutazioni annuali delle commozioni sportive variano tra 200.000 e 3,8 milioni.
  • Uno studio su 28 persone ha mostrato danni neurali anche senza accumulo di tau.
  • Si è osservata una diminuzione del 56% dei neuroni nello strato corticale.
  • Palloni a 80 km/h: problematiche alla memoria dopo 1800 colpi di testa.

Discipline come il football americano, il rugby, l’hockey e il calcio sono frequentemente legate a impatti ripetuti sulla regione cranica; questa associazione solleva preoccupazioni riguardo alla salute neurologica degli atleti nel lungo periodo. Uno studio recente pubblicato nella rivista Nature ha evidenziato che tali traumi possano portare non solo alla distruzione neuronale ma anche all’infiammazione del cervello stesso, manifestandosi già prima dell’insorgere dei sintomi caratteristici delle malattie neurodegenerative.

Nell’ambito degli sport da contatto è frequente sperimentare episodi di commozioni cerebrali, intesi come alterazioni temporanee nelle funzioni cognitive conseguenti a lesioni craniche. È stimato che circa un quinto dei partecipanti ai cosiddetti “sport di collisione” possa subire questo tipo d’infortunio durante una singola stagione agonistica. Le valutazioni annuali per le commozioni relazionate agli eventi sportivi oscillano tra 200.000 e 3,8 milioni; tale ampia gamma è attribuibile alle difficoltà incontrate nell’ottenere informazioni affidabili nei casi in cui gli atleti non ricorrono al pronto soccorso.

Encefalopatia Traumatica Cronica (CTE): una minaccia sottovalutata

L’encefalopatia traumatica cronica (CTE) si configura come una malattia neurodegenerativa insorgente per effetto delle ripetute sollecitazioni alla testa. Tale condizione è contrassegnata dalla presenza anomala della proteina tau in specifiche zone del cervello e si manifesta con una serie variegata di sintomi tra cui disturbi dell’umore, difficoltà cognitive ed episodi comportamentali alterati. Fino ad ora, l’unico metodo per diagnosticare la CTE con certezza risulta essere l’esame autoptico dei tessuti encefalici; un aspetto preoccupante se si considera che numerosi giovani sportivi mostrano segni premonitori già prima della manifestazione clinica delle patologie associate allo stadio avanzato della malattia.

Nell’ambito dello studio condotto sono stati analizzati campioni cerebrali post-mortem da parte degli esperti su un gruppo composto da 28 persone al di sotto dei 51 anni: otto senza alcun precedente trauma cranico registrato; nove soggetti impegnati in discipline sportive da contatto privi d’accumulo significativo della proteina tau; infine undici pazienti riconosciuti affetti da CTE nelle fasi iniziali dello sviluppo patologico. Quasi tutti questi atleti erano stati praticanti nel football americano e dalle conclusioni emerge chiaramente che ogni singolo atleta presentava danni neurali consistenti anche nei casi in cui non era stato rilevato un accumulo tangibile nella proteinuria comparata ai controlli sani.»

Si è osservata in particolare una diminuzione del 56% dei neuroni all’interno dello strato corticale superficiale; quest’area del cervello riveste un’importanza cruciale per le funzioni cognitive e il benessere emotivo. Tale danno si presenta senza alcun legame apparente con l’accumulo di tau, indicando quindi che potrebbe manifestarsi al di fuori delle consuete patologie associate alla CTE.

A differenza delle circostanze relative ad altri tipi di traumi cranici – quali quelli dovuti a incidenti automobilistici – l’attività sportiva costituisce un rischio costante e persistente nel tempo: ciò incrementa notevolmente le possibilità di incorrere in lesioni ripetitive. Gli atleti precedentemente colpiti da una concussione senza aver ottenuto una completa remissione mostrano inoltre una vulnerabilità elevata verso ulteriori incidenti craniali. Dopo essersi rimessi completamente da episodi traumatici iniziali, anche solo uno fino a quattro eventi aggiuntivi possono verificarsi più frequentemente rispetto agli individui privi di esperienze simili; persino urti apparentemente banali possono generare nuove concussioni successive.

Mentre in molte situazioni una concussione isolata si risolve positivamente senza lasciare strascichi permanenti, alcuni soggetti che affrontano ripetute esperienze traumatiche vedono comparire effetti collaterali gravi e duraturi come nel caso della CTE.

La condizione nota come CTE è stata inizialmente segnalata nei pugili e può emergere in chiunque abbia subìto un numero consistente di colpi alla testa. Tra i sintomi riscontrabili vi sono disturbi legati alla memoria e alle funzioni cognitive, oltre a problematiche comportamentali; inoltre, si verifica una compromissione nel giudizio e nelle scelte decisionali. Non mancano cambiamenti caratteriali significativi insieme a manifestazioni depressive e al parkinsonismo. È triste notare come molti atleti celebri abbiano trovato la morte tramite il suicidio dopo aver affrontato cicli ripetuti di concussione cerebrale; ciò avviene verosimilmente anche in relazione alla presenza della CTE.

Prompt per l’immagine:

Visualizzare un’immagine iconica ispirata all’arte neoplastica e costruttivista.

Nella composizione visiva si dovranno evidenziare tre componenti fondamentali attraverso forme geometriche:

  1. Cervello: Sarà rappresentato tramite una sfera stilizzata segmentata in aree geometriche distintive; linee sia orizzontali che verticali definiranno la sua architettura interna.
  2. Atleta: Quest’ultimo apparirà come un’entità umana formata da figure semplici quali rettangoli e triangoli disposte per trasmettere l’idea di movimento sportivo attivo.
  3. Impatti: I danni verranno illustrati mediante linee dritte che si dirigono verso il cervello dell’atleta, a simboleggiare gli effetti dei traumi cranici ricorrenti.

Sarà opportuno adottare tonalità fredde e poco saturate (come blu, grigio e bianco), supportate da contorni netti neri. L’opera dovrà essere priva di testi scritti ed unirsi armonicamente per garantire immediata comprensione della connessione fra le varie componenti oltre all’effetto dei colpi sul cervello stesso.

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Prevenzione e diagnosi precoce: una necessità impellente

I dati emersi da recenti ricerche mettono in evidenza come i danni cranici reiterati siano sufficienti a provocare trasformazioni durature all’interno del cervello, indipendentemente dall’emergere della patologia nota come CTE. Tale aspetto chiarisce perché i giovani sportivi possano sperimentare disturbi emotivi quali depressione e ansia, oltre a un declino delle capacità cognitive o mutamenti nella personalità, anche in assenza dei tipici indicatori clinici associati alla malattia. Questi nuovi insight potrebbero aprire la strada allo sviluppo delle seguenti innovazioni:

  • Distretti diagnostici avanzati, progettati per rilevare modifiche cellulari ancor prima dell’insorgere patologico.
  • Terapie altamente specifiche con l’obiettivo di combattere l’infiammazione e salvaguardare le cellule nervose.
  • Piani strategici preventivi, destinati ad attenuare il rischio derivante dai colpi continui nei praticanti sportivi più giovani.

A parere degli specialisti del settore, è cruciale intensificare gli sforzi previsti dalla prevenzione già nelle prime fasi dell’attività sportiva giovanile. Adottando strategie d’allenamento focalizzate sull’aspetto fisico, mantenendo regole rigorose riguardanti sia la quantità che l’intensità delle contusioni ammesse e impiegando strumenti adeguati al monitoraggio dello stato neurologico, sarà possibile contenere significativamente il rischio di danno irreversibile nel tempo.

I caschi migliorati dal punto di vista della sicurezza, i sensori progettati per valutare il grado d’impatto dei colpi e iniziative informative rivolte a famiglie, tecnici e organizzazioni sportive sono considerati strumenti fondamentali.

Nella pratica del calcio, si osserva come un giocatore possa effettuare da 6 fino a 12 tocchi con la testa durante una gara; in certi casi, vi sono atleti che arrivano anche oltre questa media nel tentativo di smistare palloni che si muovono a una velocità impressionante pari a 80 km/h. Una ricerca ha indicato che si possono iniziare ad avvertire problematiche legate alla memoria dopo aver eseguito circa 1800 colpi al pallone con la testa.

Verso un futuro più sicuro per gli atleti: la sfida dello sport moderno

L’analisi divulgata su Nature sottolinea come i danni cerebrali derivanti da traumi ripetuti, lungi dall’essere circoscritti ad effetti futuri, emergano in maniera preoccupante ben prima della manifestazione clinica della CTE. Pertanto, risulta cruciale avvalersi di strategie efficaci di prevenzione e diagnosi anticipata, al fine di tutelare adeguatamente i giovani praticanti dello sport ed assicurare loro prospettive di salute ottimali nel tempo. L’integrazione fra innovazioni nella ricerca scientifica con nuove normative in ambito sportivo e sanitario costituisce uno degli approcci più incisivi nella gestione delle problematiche relative all’integrità mentale degli atleti moderni: preservare la salute cerebrale pur mantenendo viva la passione così come i vantaggi associati alla pratica atletica.

L’implementazione di una strategia che abbracci diverse discipline risulta imprescindibile nell’affrontare questa questione complessa. Infatti, oltre ai progressi scientifici ed alle direttive sportive formulate ad hoc, si richiede l’attivismo concertato di tutti gli attori socialmente rilevanti: professionisti sanitari, tecnici sportivi, famiglie e gli stessi praticanti devono collaborativamente sviluppare una cultura del rischio consapevole ed adottare proattivamente misure preventive appropriate affinché possa delinearsi un orizzonte futuro significativamente più sicuro per gli atleti.

Conseguenze a Lungo Termine: Un Approccio Olistico alla Salute Mentale degli Atleti

I traumi cranici reiterati nel contesto sportivo vanno oltre i danni fisici immediatamente visibili o la condizione nota come CTE. È imperativo considerare gli effetti duraturi sulla salute mentale degli sportivi. Manifestazioni quali depressione, ansia e disturbi dell’umore, accompagnate da modifiche nel comportamento individuale rappresentano potenziali conseguenze che potrebbero affiorare anche dopo anni dalla conclusione dell’attività agonistica. Di conseguenza risulta essenziale seguire una strategia globale riguardante il benessere dei praticanti atletici, includendo tanto elementi di fisicità quanto dimensione psicologica.

Sotto il profilo della psicologia cognitiva, si evidenzia come i colpi ricevuti al capo possano compromettere l’elaborazione delle informazioni stesse; questi fattori influenzano aspetti cruciali come memoria e attenzione nonché funzioni esecutive primarie. Le implicazioni correlate sono tali da poter disturbare profondamente la quotidianità per chi pratica sport: si rilevano difficoltà nelle interazioni sociali così come problemi nella reintegrazione lavorativa ed esiti nella gestione dello stress stesso. Al contempo,la psicologia comportamentale suggerisce metodologie pratiche volte ad affrontare dinamiche emozionali e transizioni comportamentali scaturite dagli eventi traumatici subiti.

L’impiego della terapia cognitivo-comportamentale (CBT) offre agli sportivi strumenti per affinare le loro abilità di gestione dello stress emotivo, contribuendo in modo significativo al trattamento dell’ansia e della depressione, mentre migliora anche il benessere complessivo.

Addentriamoci ulteriormente nella questione. Uno dei fondamenti della psicologia cognitiva attinente alla tematica è rappresentato dal principio di plasticità neuronale. Questo fenomeno evidenzia come il cervello umano sia straordinariamente versatile nell’adattarsi alle nuove situazioni attraverso riorganizzazioni delle sue connessioni neurali. Tuttavia, esposizioni prolungate o eventi traumatici reiterati possono compromettere tale plasticità neurale; ciò ostacola i processi cognitivi necessari per una piena funzionalità mentale ed accresce il rischio associato all’insorgenza di patologie neurodegenerative nel lungo periodo. Sul piano teorico avanzato troviamo inoltre la proposta della teoria del carico allostatico; quest’ultima implica che situazioni continuative ad elevato livello di stress – quale può essere causato da esperienze traumatiche ricorrenti – rischiano non solo l’integrità fisica ma anche quella cerebrale degli individui causando una propensione crescente verso disturbi sia somatici sia psichici.

Cerchiamo di analizzare una questione fondamentale: come può la nostra società tutelare efficacemente il benessere psicologico degli sportivi? In che modo possiamo allestire spazi atletici capaci di favorire una condizione di sano equilibrio mentale e ridurre i danni permanenti derivanti dai colpi alla testa? Potremmo scoprire che tutto si traduce nella necessità di un vero sforzo culturale, in cui l’attenzione ai potenziali rischi diventa prioritaria affiancata da pratiche concrete rivolte alla protezione e al sostegno. È fondamentale considerare con serietà come nulla sia più cruciale della salute mentale rispetto a quella fisica, ricordando sempre che dietro ogni atleta c’è innanzitutto una persona.


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