Come l’eco-ansia influisce sul 7% degli adulti negli Usa

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  • Il 67% dei giovani globali è inquieto per i cambiamenti climatici.
  • L'eco-ansia è più intensa al Nord globale (76% vs 65%).
  • Il 7% degli adulti negli Usa ha stress legato all'ambiente.

L’onda silenziosa dei traumi ambientali

Il ventunesimo secolo ha inaugurato un contesto nel quale la natura – tradizionalmente vista come sorgente di conforto e sostegno – emerge con sempre maggiore frequenza come generatrice di profondi disagi psicologici. Non soltanto argomenti relegati al campo scientifico o politico, i cambiamenti climatici, insieme ai catastrofici eventi naturali e al continuo deterioramento ambientale, hanno assunto ora il ruolo di elementi scatenanti una particolare forma d’insofferenza mentale; infatti si configura oggi un’onda silenziosa che traversa le menti collettive, alimentando aspetti complessi quali l’eco-ansia. Tale condizione indica uno stato d’allerta intenso e incessante riguardo al destino della Terra e ai suoi abitanti – sia umani sia animali; benché non rappresenti affatto una problematica inedita nella storia sociale contemporanea, la sua portata ha raggiunto dimensioni tali da trasformarla in uno oggetto clinico dal valore degno d’essere studiato con attenzione.

Le evidenze recenti offrono spunti illuminanti sul tema: purtroppo esse restano parzialmente incomplete considerando la giovanile essenza della questione stessa. Tuttavia, rivelano chiaramente crescenti segnalazioni relative ad alterazioni psichiche collegabili alla percezione dell’impatto ambientale avverso. Una ricerca realizzata dal Capgemini Research Institute insieme a Generation Unlimited dell’UNICEF evidenzia che il 67% dei giovani globalmente manifesta inquietudine rispetto alle conseguenze derivanti dai mutamenti climatici. Si registra un incremento di questo valore se confrontato con il 2023, periodo in cui una proporzione pari al 57% della gioventù globale sperimentava la condizione nota come eco-ansia. [ETicaNews]. Il fenomeno dell’eco-ansia emerge con maggiore intensità tra i giovani appartenenti al Nord globale (76%), mentre una quota leggermente inferiore si registra nei coetanei del Sud globale (65%). Si evidenzia inoltre una differenza significativa fra i contesti rurali rispetto a quelli urbani; infatti, ben il 72% dei ragazzi delle città vive situazioni ansiogene correlate all’ambiente, contrastando con solo il 58% nelle zone agricole.

Le ricerche iniziali suggeriscono che una percentuale crescente della popolazione soffre di sintomi ansiosi e depressivi, correlati strettamente alle inquietudini climatiche ed ecologiche. È interessante notare come le nuove generazioni siano particolarmente suscettibili a questo tipo di distress psichico poiché dovranno affrontare gli effetti delle problematiche ambientali future. Tale angoscia va oltre la semplice riflessione razionale: essa si traduce in manifestazioni corporee tangibili quali disturbi nel sonno o difficoltà nell’attenzione fino ad arrivare in situazioni critiche agli attacchi d’ansia.

Non vi è dubbio sulla pertinenza che questa questione assume nell’ambito della psicologia cognitiva e comportamentale: si tratta infatti di un caso emblematico dove stimoli esterni significativi sono capaci non solo d’influenzare ma addirittura ridisegnare le nostre risposte affettive ed elaborate cognitivamente contribuendo così a rendere instabili i processi mediante cui gestiamo lo stress attraverso meccanismi appropriati chiamati coping. L’intelletto umano si dimostra, sebbene straordinariamente robusto, vulnerabile sotto il peso incessante delle pressioni esterne. La sensazione d’impotenza nella gestione delle sfide globali, unitamente alla percezione limitata della propria capacità d’azione verso le soluzioni offerte, può dar luogo a un ciclo pericoloso caratterizzato da pensieri autodistruttivi e comportamenti patologici.

Secondo un’indagine recente, si stima che il 7% della popolazione adulta negli Stati Uniti avverta forme significative di stress psicologico connesso alle problematiche ambientali. [Nature]. La disciplina medica legata alla salute mentale si trova ora nella necessità di attuare un’innovazione nelle sue metodologie di diagnosi e cura. È fondamentale ampliare la sua prospettiva oltre le comuni cause di stress quotidiano, mentre emerge sempre più chiaramente l’importanza determinante dell’ambiente, concepito in una definizione estesa, per la nostra integrità psicologica.

L’eco-ansia: un nuovo orizzonte diagnostico

L’eco-ansia, termine ormai diffuso, non è solo una metafora o un costrutto generico; sta assumendo i contorni di un vero e proprio quadro sintomatologico specifico, pur non essendo ancora formalmente inclusa nei principali manuali diagnostici. Tuttavia, il consenso clinico sta crescendo rapidamente, suggerendo la necessità di una sua formalizzazione. Le sue manifestazioni sono variegate e possono includere preoccupazione costante e intrusiva per il clima, il futuro del pianeta e la sopravvivenza delle specie, che si traduce in sentimenti di impotenza, tristezza profonda, colpa e irritabilità. Spesso si accompagna a una sensazione di “lutto ecologico”, ovvero il dolore per la perdita di ecosistemi, di biodiversità e di un ambiente come lo conoscevamo.

Gli psichiatri e gli psicologi che si occupano di questo fenomeno riportano casi dove l’eco-ansia sfocia in disturbi più gravi. Ad esempio, la ricerca ha dimostrato che le persone con elevati livelli di ansia climatica tendono a impegnarsi maggiormente in comportamenti pro-ambientali e in azioni collettive contro il cambiamento climatico [Ballew et al.]. Individui particolarmente sensibili possono sviluppare disturbi d’ansia generalizzata con forte componente ecologica, o addirittura depressione clinica. In altri casi, l’esposizione diretta a eventi estremi, come un’alluvione o un incendio di vaste proporzioni, può scatenare un vero e proprio disturbo da stress post-traumatico (PTSD). Le immagini e le esperienze di distruzione si insinuano nella memoria, provocando flashback, incubi e un’ipervigilanza persistente.

Un ruolo chiave in questo contesto è giocato dai media: la costante esposizione a notizie catastrofiche e immagini di devastazione ambientale, sebbene necessaria per informare, può contribuire ad alimentare un senso di minaccia incombente e di disperazione.

Un aspetto interessante è l’intersezione dell’eco-ansia con la psicologia comportamentale. Le persone che ne soffrono possono sviluppare comportamenti di evitamento, come il rifiuto di leggere notizie ambientali o di partecipare a discussioni sul tema, nel tentativo di proteggersi dal sovraccarico emotivo. In contrasto a ciò, vi sono individui che tendono a manifestare comportamenti compensatori, come un incessante attivismo o una frenesia nell’acquistare prodotti considerati sostenibili. Questo comportamento è motivato dal desiderio di riacquisire una sensazione di controllo e agenzia personale. Tuttavia, quando queste risposte vengono estremizzate, il loro effetto può risultare disadattivo.

È fondamentale comprendere le intricate dinamiche cognitive e comportamentali alla base dei fenomeni citati per poter ideare interventi realmente efficaci. Questo rappresenta un ambito in continua evoluzione; la ricerca attuale offre spunti innovativi sulla resilienza umana nonché sulle complesse relazioni esistenti tra psiche individuale, contesto ambientale e sistema sociale.

Strategie di coping e il potere della resilienza

Affrontare l’eco-ansia e i traumi ambientali richiede un approccio multifattoriale che coinvolga sia strategie individuali che interventi a livello comunitario e sociale. La resilienza, la capacità di riprendersi dalle avversità e di adattarsi ai cambiamenti, emerge come un pilastro fondamentale in questo contesto. Non si tratta solo di “superare” il trauma, ma di sviluppare una nuova capacità di interazione con una realtà mutata.

Gli psicologi e gli psichiatri che lavorano su questi temi stanno sperimentando nuove forme di terapia, che spesso combinano tecniche tradizionali con approcci innovativi. Tra le strategie di coping più efficaci, la connessione con la natura si rivela un elemento potente. La “terapia forestale” o il “bagno nel bosco” (shinrin-yoku in giapponese) è una pratica che sta guadagnando sempre più riconoscimento per i suoi benefici sul benessere psicofisico. Passare tempo in ambienti naturali, anche solo in un parco cittadino, può ridurre i livelli di stress, migliorare l’umore e favorire un senso di appartenenza e di serenità. Questa immersione lenta e consapevole negli ambienti naturali può ristabilire un equilibrio interiore, fornendo una prospettiva più ampia e attenuando la sensazione di isolamento e disperazione spesso associata all’eco-ansia.

A livello terapeutico, si stanno esplorando approcci che integrano la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) con elementi di mindfulness e terapie basate sulla compassione. La CBT può aiutare a ristrutturare i pensieri negativi e catastrofici legati ai problemi ambientali, mentre le pratiche di mindfulness possono aumentare la consapevolezza del momento presente e ridurre l’ansia. La psicoterapia sensomotoria e la terapia EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) si sono dimostrate promettenti nel trattamento dei traumi più acuti, come il PTSD derivante da disastri naturali. Queste tecniche aiutano a elaborare le memorie traumatiche e a ripristinare il senso di sicurezza.

Un’altra strategia cruciale è l’azione collettiva e il senso di comunità. Sentirsi parte di un movimento o di un gruppo che lavora per affrontare i problemi ambientali può contrastare la sensazione di impotenza e dare un significato all’impegno individuale. La partecipazione a iniziative di sostenibilità, l’attivismo e la condivisione di preoccupazioni con altri possono creare un sistema di supporto sociale robusto, essenziale per la resilienza.

La creazione di spazi di dialogo e di confronto, sia online che offline, dove le persone possono esprimere le proprie paure e condividere soluzioni, è fondamentale per demistificare l’eco-ansia e per promuovere un approccio proattivo e costruttivo.

Riflessioni e orizzonti futuri

Il fenomeno dell’eco-ansia e dei traumi ambientali ci obbliga a riflettere su una nozione fondamentale della nostra psiche: la nostra profonda interconnessione con l’ambiente. La psicologia cognitiva ci ha insegnato che la nostra percezione del mondo esterno modella incessantemente i nostri stati interni e che il “rumore di fondo” di una minaccia esistenziale può filtrare i nostri processi di pensiero, influenzando ogni nostra reazione. Quando il contesto è quello di una crisi climatica percepita come imminente e pervasiva, non possiamo aspettarci che la nostra mente rimanga immune. È come se il nostro sistema di allarme interno fosse costantemente attivato, generando uno stato di stress cronico.

A un livello più avanzato, la psicologia comportamentale ci ricorda che non siamo semplici recettori passivi di queste informazioni. I nostri comportamenti, le nostre scelte quotidiane, piccole o grandi che siano, influenzano e sono influenzate da questa consapevolezza ambientale. Pensiamo alla dissonanza cognitiva che si genera quando le nostre azioni non sono allineate con i nostri valori ecologici: questo non solo provoca ulteriore stress, ma può anche sfociare in apatia o, al contrario, in un attivismo eccessivo e auto-distruttivo. Comprendere questi meccanismi è cruciale per orientare le persone verso risposte più equilibrate e costruttive.

Questo scenario globale ci pone di fronte a una sfida senza precedenti, che si estende ben oltre le mura delle cliniche e dei laboratori di ricerca. Ci invita a considerare non solo la psicopatologia individuale, ma anche la “salute ecologica” della nostra psiche collettiva. Come possiamo ricostruire un senso di speranza e di agency in un mondo che sembra scivolare verso l’incertezza? Forse, la risposta risiede nella capacità di riconoscere la nostra vulnerabilità, di accettare il dolore per ciò che abbiamo perso e che stiamo perdendo, e di trasformare questa consapevolezza in una fonte di azione. Non si tratta di negare la gravità della situazione, ma di trovare la forza interiore per affrontarla, coltivando la resilienza non solo a livello individuale, ma anche comunitario.

La connessione autentica con gli altri, la condivisione delle proprie paure e la collaborazione per un futuro più sostenibile possono essere le ancore di salvezza in questo mare tempestoso. È un viaggio che ci chiama a essere più compassionevoli, sia verso noi stessi che verso il nostro pianeta, un viaggio che ci spinge a ridisegnare il nostro rapporto con la natura e, in definitiva, con la nostra stessa umanità.

Glossario:

  • Eco-ansia: Stato di ansia e preoccupazione per le conseguenze del cambiamento climatico e la distruzione ambientale.
  • PTSD: Disturbo da stress post-traumatico, condizione mentale che può svilupparsi dopo aver vissuto eventi traumatici.
  • CBT: Terapia cognitivo-comportamentale, un tipo di psicoterapia che aiuta a cambiare schemi di pensiero disfunzionali.
  • : L’American Psychological Association, nota come Associazione Americana di Psicologia, rappresenta un’istituzione di riferimento nel campo della psicologia.

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