- Nel 2020, la casa di riposo Padre Kolbe ha avuto una letalità del 16%.
- Studio rivela che il 70% dei caregiver con scarso sostegno rischia un lutto intricante.
- Oltre il 50% (53%) dei caregiver di malati terminali è a rischio di lutto complicato.
Tragedie recenti e l’ombra del lutto nella provincia di Belluno
Recentemente la provincia bellunese ha vissuto una serie di accadimenti tragici che hanno rimesso sotto i riflettori una tematica assai delicata: quella relativa alla gestione del dolore e al pericolo insito nel lutto complesso, con particolare attenzione riservata alle persone anziane e alle comunità montanarie. Una successione rapida e imprevedibile di eventi salienti ha rivelato come taluni segmenti della popolazione possano risultare particolarmente vulnerabili dinanzi a perdite tanto repentine quanto devastanti.
Tra gli episodi recentissimi spicca quello concernente due individui settantenni: Annamaria Zambelli Sopalù (64 anni) e Gianfranco Alberti (79 anni), entrambi residenti in zone montuose quali Auronzo di Cadore o Cortina. Le loro scomparse nel mese di agosto 2024 – verificatesi all’indomani delle dimissioni ospedaliere – sollevano interrogativi inquietanti riguardo alla puntualità e all’efficacia delle pratiche sanitarie post-dimissione. Questo fatto ha avviato un’inchiesta ufficiale dalla procura locale, bloccando anche i funerali previsti. L’improvvisività degli eventi, assieme a elementi poco chiari sulle cause dei decessi, può intensificare lo smarrimento vissuto dai cari delle vittime, oltre che dalle rispettive comunità; tali aspetti risultano fondamentali nel contribuire all’emergere del fenomeno del lutto complicato. L’insorgere di questi fenomeni non è da considerarsi una circostanza isolata. Nel dicembre del 2022, infatti, si era già manifestata un’epidemia di gastroenterite a Sossano, nella provincia di Vicenza; essa aveva provocato due decessi e tre ricoveri tra gli anziani, attirando l’attenzione anche delle comunità circostanti, come quella bellunese. Questo tipo di incidenti mette in evidenza il modo in cui la fragilità fisica tipica dell’età avviene in concomitanza con eventi inattesi: ciò crea condizioni che possono amplificare il dolore per una perdita, rendendola più complessa e duratura.
Nel contesto specifico del 2020, va detto che Belluno ha vissuto uno degli anni più tragici della sua storia recente; i dati indicano chiaramente una marcata impennata della mortalità. A maggio dello stesso anno, per esempio, la casa di riposo Padre Kolbe, situata a Pedavena, ha riportato una letalità pari al 16% dovuta al coronavirus. La vittima più giovane risultava essere Anna Fiorin, 72 anni: costei divenne parte integrante delle statistiche che spinsero i familiari verso l’idea della class action. Nello stesso periodo storico segnato dalla pandemia da Covid-19, hanno avuto luogo numerosi decessi su scala provinciale; perciò, già nel mese successivo (dicembre), Belluno registrava il numero massimo di morti rispetto alla popolazione veneta durante la seconda ondata della pandemia. Queste cifre e il boom di casi con un ritmo esponenziale hanno inciso profondamente sul tessuto sociale, mettendo a dura prova la capacità di elaborazione collettiva del lutto.

Più recentemente, nel marzo 2024, un’analisi dello stato di salute dei bellunesi ha evidenziato aree di criticità legate alla mortalità e all’incidenza di malattie, delineando un profilo demografico e sanitario che merita attenzione. Fattori come la mortalità, l’incidenza di malattie e i fattori di rischio generali contribuiscono a una comprensione più approfondita delle sfide sanitarie e psicologiche che la comunità locale deve affrontare. Questi dati, sebbene non direttamente correlati a decessi anziani recenti, offrono un quadro complessivo della salute pubblica che influisce indirettamente sulla capacità di coping della popolazione di fronte a eventi luttuosi, evidenziando come la vulnerabilità fisica e le problematiche sanitarie preesistenti possano aggravare l’impatto psicologico della perdita.
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L’impatto delle perdite improvvise e del trauma nelle comunità montane
All’interno delle comunità montane, quali quelle bellunesi, si osserva un forte spirito di appartenenza accompagnato da sentimenti solidali; tuttavia, esse possiedono anche specifiche vulnerabilità, le quali possono complicare notevolmente l’elaborazione del processo del lutto nel caso emergano eventi mortuari imprevisti. La ricerca scientifica individua il concetto di lutto complicato, noto anche come disturbo da sofferenza prolungata, caratterizzato dalla persistenza debordante ed invalidante della pena dopo la scomparsa d’un affetto stretto. Questa sindrome è stata recentemente incorporata nelle classificazioni dell’ICD-11 insieme al DSM-5-TR e diverge dal cosiddetto lutto normale per quanto concerne la severità e il perdurare dei sintomi che devono registrarsi per almeno sei mesi ai sensi dell’ICD-11.
Esiste una molteplicità di fattori connessi al rischio associabile al lutto complicato; tali elementi possono essere suddivisi in categorie riguardanti le componentistiche psicologiche, demografiche, socialmente rilevanti nonché contestuali. È importante notare che all’interno delle realtà montane alcuni tra questi attributi acquistano maggior peso specifico. Di fronte alle dinamiche legate alle perdite avvenute, un indubbio predittore verso esiti lugubri nel processo da calo è costituito dalla presenza della <>. Situazioni tragiche come i decessi repentini avvenuti nei casi emblematici dell’Annamaria Zambelli Sopalù e del compianto Gianfranco Alberti incarnano profondamente questa problematica insidiosa, destando notevole inquietudine all’interno del contesto familiare e comunitario. In aggiunta a questo malessere psichico si manifesta spesso anche una profonda frustrazione legata alla scarsità d’intimità nel momento della dipartita: il timore della non presenza adeguata nella vita del defunto porta con sé quella sensazione corrosiva definita dal doloroso sintagma delle opportunità perdute – una percezione dovuta ai tanti incubi lasciati irrisolti.
Dallo strato delle interazioni personali emerge con forza l’importanza vitale del bene prezioso noto come rete sociale; infatti, all’interno delle zone montane esiste purtroppo quel paradosso: sebbene ci possa apparire prevalente il senso comunitario effervescente da sempre tramandato tra le genti locali, risulta parallela anche l’esistenza dell’isolamento geografico associato alla bassa densità abitativa – entrambi questi fattori complicano sensibilmente l’accessibilità ai servizi dedicati alla salute mentale avanzata. Secondo uno studio rivelatore, circa il 70% dei caregiver che avverte lo scarso sostegno è predisposto al rischio d’un lutto intricante; ciò sottolinea magistralmente quanto ogni legame si riveli cruciale nei momenti critici. Infine, menzioniamo variabili cruciali quali l’essere rimasti vedovi oppure il dolore derivante dalla perdita prematura – specificamente quella condivisa con figli o partner –, poiché queste condizioni aumentano notevolmente le probabilità per chi vive tali tragedie attraverso percorsi duraturi e intensificati nel tempo nell’elaborazione del lutto stesso. Da una prospettiva intrapersonale, sono numerose le caratteristiche che possono intensificare la suscettibilità individuale al fenomeno del lutto complicato. Fra queste spiccano appartenenza al genere femminile, livelli ridotti sia in termini educativi sia economici; tali aspetti risultano frequentemente interconnessi. Un contributo notevole è dato dalla presenza pregressa della sintomatologia depressiva prima del decesso, unitamente ai segnali riferiti a lutti esperiti prima della perdita definitiva (lutto pre-perdita) – particolarmente evidente nei contesti caratterizzati da malattie croniche avanzate dove il processo del dolore comincia ancor prima dell’evento tragico. Risulta altresì importante considerare come storie cliniche legate a disturbi psichiatrici o problemi d’ansia possano aggravare ulteriormente questa vulnerabilità; non dimentichiamo poi l’incidenza negativa dell’abuso quotidiano di alcol nel panorama del rischio psicologico complessivo. Recentemente sono stati condotti studi specifici riguardanti i caregiver dei pazienti affetti da neoplasie in fase terminale: è emerso che ben >50%< sottostà a un elevatissimo rischio (53%) per lo sviluppo di manifestazioni pertanto forme incipienti dal cripico egoistico bagaglio annessario A. R. I. S. S., ponendo così in primo piano necessità urgenti derivanti da azioni tempestive preventive volte alla cura preventiva.
L’espressione del lutto complicato va oltre lo straordinario dipanarsi emotivo delle sofferenze profonde causate dalla mancanza della persona cara; essa infatti incorpora diverse sfaccettature psicologiche rilevanti che rimandano ai propri disagi affini a eventi traumatici.
Emotività costante – con risvolti angosciosi – viene accompagnata indubbiamente dai morbosissimi PESSIMISMI RELATIVI A MANCANZA. Le conseguenze possono sfociare in un deterioramento significativo della qualità della vita oltre che nel funzionamento sociale dell’individuo. Tali effetti tendono a stabilizzarsi nel tempo ed elevano il rischio riguardante disturbi del sonno, malattie cardiache e ipertensione; sul piano psichiatrico si osservano altresì fenomeni come l’abuso di sostanze, comportamenti autodistruttivi e ideazione suicidaria. La specificità dei contesti montani – che generalmente presentano una popolazione con età media elevata e una disponibilità ridotta delle risorse sanitarie – espone queste comunità a una vulnerabilità accentuata. Di conseguenza si rendono necessarie strategie d’intervento accuratamente pensate.
Strategie e interventi di supporto nelle zone montane
L’accresciuta consapevolezza sui pericoli legati al lutto complicato si rivela particolarmente urgente nelle aree svantaggiate delle comunità montane del Bellunese. Ciò ha avviato un processo critico volto alla definizione della necessità impellente di elaborare delle specifiche misure d’intervento. I dati raccolti da ricerche eseguite nel periodo compreso fra il 1993 e il 2013 ed amplificati da studi successivi fino al biennio corrente del 2024 offrono un’illustrazione evidente: la difficoltà persistente nella gestione del lutto, lungi dall’essere solamente l’allungarsi dell’esperienza dolorosa, si configura piuttosto come una autentica sindrome clinicamente significativa.
Per la rilevazione degli individui vulnerabili è stato realizzato uno strumento diagnostico noto come BEREAVEMENT RISK QUESTIONNAIRE. Sottoposto a verifica in oltre cinquecento hospice negli Stati Uniti, questo questionario ha messo in luce che condizioni quali:
- L’assenza percepita di un valido sostegno sociale;
- L’eventuale storia pregressa riguardante abusi relativi a sostanze;
- Carenze nelle abilità necessarie ad affrontare situazioni difficili;
- Episodi passati riconducibili a disturbi mentali.
Sono emerse tutte quantificate rispettivamente (70%, 68%, 68%.) con ogni evidenza quali aspetti centrali costituenti per l’identificazione dei caregivers. Inoltre, la giovane età del paziente scomparso (63%) è risultata un fattore significativo. L’implementazione di tali questionari nelle ASL (Aziende Sanitarie Locali) e nei centri di assistenza territoriale bellunesi potrebbe rappresentare un primo passo cruciale per la prevenzione.

Un elemento chiave emerso dalla letteratura è la definizione di un lutto complicato oltre i sei mesi dalla perdita. Questa tempistica, cruciale per la diagnosi, impone che i percorsi di supporto siano strutturati per accompagnare gli individui per un periodo prolungato. L’obiettivo non è solo alleviare il dolore acuto, ma prevenire la cronicizzazione dei sintomi. Modelli diagnostici, come quelli proposti da Horowitz e Prigerson, sebbene con differenze sulle tempistiche e sui sintomi specifici, convergono sull’importanza di identificare il distress da separazione e i sintomi post-traumatici come indicatori di un percorso di lutto problematico. In aggiunta, il fattore genere riveste una funzione significativa: le dame, infatti, risultano essere maggiormente esposte rispetto ai loro colleghi maschili al manifestarsi di lutti complessi, in particolare nei casi riguardanti la perdita del partner o della prole. Essere nella posizione sia del compagno che della figlia nel ruolo di caregiver si correla chiaramente a una probabilità aumentata per quanto concerne sintomi quali grave ansia e depressione insieme al suddetto lutto difficoltoso. Tali evidenze indicano l’urgenza dell’implementazione d’iniziative specifiche pensate per questi gruppi distintivi, creando opportunità per lo scambio emotivo e il sostegno psicologico.
Nelle zone montane, creare delle reti solidali comunitarie nonché sviluppare servizi di telepsicologia potrebbe risultare fondamentale per abbattere le barriere nell’accesso alle cure necessarie. Visto che la carenza del sostegno sociale emerge tra i principali fattori predittivi legati al lutto complicato, favorire attività sociali come gruppi auto-organizzati e sistemi volontari può realmente portare vantaggi. È essenziale orientarsi anche verso una preparazione ad hoc degli operatori sul campo (medici generali, assistenti sociali e volontari) affinché possano identificare tempestivamente i segnali premonitori legati ai lutti problematici e indirizzare gli individui verso appropriate traiettorie d’assistenza.
La prevenzione e il sostegno in queste aree non possono prescindere da una valutazione olistica. Non si tratta solo di rispondere all’emergenza, ma di costruire una residenza collettiva, capace di assorbire l’impatto delle perdite e di trasformare il dolore in un processo di crescita. La sfida consiste nel calibrare gli interventi alle specificità del territorio, valorizzando le risorse locali e integrando le competenze professionali con il senso di appartenenza che caratterizza queste preziose comunità.

Riflessioni sulla resilienza e il significato della perdita
La morte è uno degli eventi più toccanti dell’esperienza umana; perciò il lutto rappresenta uno dei sentimenti più intensi e universali conosciuti dal genere umano. Si tratta infatti della reazione innata alla perdita: un viaggio solitario caratterizzato da profondo dolore attraverso cui molte persone transitano nel corso della loro vita, aprendosi gradualmente all’integrazione dell’assenza nell’esistenza quotidiana. Eppure si osserva anche che per un certo numero significativo di individui questa esperienza diviene ardua: essa evolve così in una forma cronica di dolore capace di incidere pesantemente sul benessere psichico oltreché fisico.
Nell’ambito della psicologia cognitiva riveste cruciale importanza capire le modalità con cui l’intelletto gestisce la disabilità emotiva provocata dalla scomparsa. All’inizio del processo del lutto emerge spesso un senso d’incredulità accompagnato da meccanismi protettivi quali il diniego stesso; tale stato mentale si impegna a salvaguardare l’individuo dall’accettazione prematura di una verità insopportabile a livello affettivo. Per quanti vivono ciò che viene definito lutto complesso, questa persistenza dello stato incredulo continua nel tempo, ostacolando dunque quella necessaria ristrutturazione dei propri schemi mentali così come delle narrazioni autobiografiche cruciali alla definizione dell’identità personale e del proprio senso esistenziale. L’attaccamento a un racconto emotivo permane nel quale l’amore perduto continua ad essere presente; pertanto, è impossibile considerare significativa l’esistenza stessa priva della sua essenza.
Secondo le linee guida della psicologia comportamentale riguardo ai processi del lutto difficile, osserviamo frequentemente manifestazioni sotto forma di comportamenti attivi d’evitamento. Tale evitamento coinvolge spazi fisici ed emozionali: ci si tiene a distanza da individui o reminiscenze collegabili all’individuo scomparso. Contemporaneamente potrebbero affiorare tendenze verso una partecipazione smodata, mostrando devozione nei confronti delle abitudini condivise con chi non c’è più; tali azioni includono frequenti pellegrinaggi ai luoghi commemorativi oppure l’organizzazione compulsiva degli effetti personali del defunto. Queste dinamiche, invece di promuovere un processo sano d’elaborazione, tendono a battere sempre più sulla ferita emotiva, bloccando il soggetto nella necessità viscerale dell’affrontare l’inevitabile assenza e nell’impossibilità elaborativa verso una nuova fase esistenziale. La psiche così facendo sembra ergere barriere interne contro una condizione aggiornata della vita stessa, risultando prigioniera in un ciclo doloroso senza fine.
Recenti studi nel campo della psicologia dei traumi indicano che tale forma complessa d’elaborazione del lutto potrebbe anche essere interpretata attraverso le lenti del disturbo da stress post-traumatico (DPTS), peculiare alle esperienze associative alle perdite. Le immagini intrusive, i pensieri ricorrenti e l’intensa angoscia che si manifestano sono simili a quelli esperiti da chi ha subito un trauma. In questo senso, la perdita non è solo un evento doloroso, ma un vero e proprio trauma che frantuma le assunzioni fondamentali sulla vita e sul mondo che ogni individuo costruisce. Il “lavoro del lutto”, come lo definiva Freud, diventa un processo di ristrutturazione profonda delle fondamenta stesse dell’esistenza.
La sfida più profonda del lutto non è dimenticare, ma ricollocare affettivamente la persona deceduta in un “luogo interno” meno doloroso. Non si tratta di cancellare la memoria, ma di permettere alla tristezza di alternarsi con sentimenti positivi, il che, paradossalmente, è un segno di resilienza. Rinunciare all’illusione di poter recuperare la persona perduta per costruire nuovi legami e un nuovo senso è una delle tappe più ardue ma liberatorie. Ogni individuo, di fronte alla perdita, è chiamato a ridefinire la propria identità, affrontando una crisi esistenziale che, se superata, può condurre a una più profonda comprensione della fragilità e della bellezza della vita. La via per superare il lutto, anche il più complicato, passa attraverso il coraggio di abbracciare il cambiamento, di onorare il passato senza rimanervi prigionieri e di aprirsi con rinnovata forza al futuro.
Glossario
- lutto complicato: una forma di lutto prolungato che interferisce con la capacità di riprendere la vita quotidiana.
- disturbo da stress post-traumatico (DPTS): una condizione psicologica derivante dall’esperienza di un evento traumatico.
- lutto persistente: lutto che dura oltre le aspettative normali e richiede supporto professionale per l’elaborazione.