- Ogni giorno, 1.571 persone accedono al pronto soccorso per problemi mentali.
- Ospedalizzazioni psichiatriche aumentate di 7.000 casi nel 2022.
- Accesso ai servizi territoriali cresciuto del 10%, superando 860.000 utenti.
SUL DIVERSIFICATO E SEMPRE PIÙ ONEROSO FARDELLO PSICOLOGICO CHE AFFLIGGE IL PERSONALE DEL 118 SI ALZA UNA VOCE DI ALLERTA PER LA SANITÀ ITALIANA.
Il servizio di emergenza urgenza 118, pilastro inossidabile del sistema sanitario italiano, si trova oggi ad affrontare una sfida senza precedenti, che va ben oltre la gestione delle emergenze fisiche acute. Si parla infatti di un aumento esponenziale degli interventi legati alla salute mentale, una tendenza che pone in luce le crescenti fragilità psicologiche della popolazione e, di riflesso, l’enorme stress a cui sono sottoposti gli operatori chiamati a intervenire. Se tradizionalmente il 118 è associato a incidenti e patologie cardiovascolari, la realtà attuale vede un numero sempre maggiore di richieste di aiuto per crisi di ansia, attacchi di panico, tentativi di suicidio e altre manifestazioni di disagio psichico.
Il Rapporto Salute Mentale 2023 del Ministero della Salute rivela che ogni giorno 1.571 individui cercano assistenza presso i pronto soccorso in relazione a problematiche di natura psicologica, con un incremento annuale di circa 26. Nel corso dell’anno 2022 si sono registrati ben 000 ingressi in confronto all’anno precedente. Parallelamente emerge una significativa crescita nel numero delle ospedalizzazioni psichiatriche, con un incremento pari a 7.000 casi e una consistente espansione nell’accesso ai servizi territoriali (+10%). Così facendo si supera la soglia critica degli 860.000 utenti.
Tale metamorfosi nella tipologia di richieste d’intervento non va considerata come trascurabile; essa configura invece una modifica sostanziale dell’intero sistema assistenziale stesso. È evidente la necessità impellente per un dovuto adeguamento sia sotto il profilo materiale sia in termini di formazione specifica e sostegno psicologico rivolto agli operatori stessi. Le peculiarità intrinseche ed eccentriche collegabili alla gestione della crisi tendono ad alimentare ulteriormente il livello emotivo destabilizzante proprio della professione.
La continua esposizione ad esperienze gravose, segnata da intensissime manifestazioni sofferenziali – talvolta persino caratterizzate da attitudini violente o autolesionistiche – ha potenziali ricadute enormemente pesanti sulla salute mentale degli operatori medici coinvolti nella fase operativa quotidiana. Inoltre, lo stress viene accentuato dal frequente sovraccarico cui fanno fronte numerosi settori sanitari italiani, incluse le strutture d’emergenza come i pronto soccorso; qui gli addetti al servizio d’emergenza sociale sono portati frequentemente a collocare pazienti in situazioni già problematiche, creando nuovi conflitti all’interno delle pratiche solitamente adottate nel management ospedaliero. Questo porta a tempi di attesa prolungati e a una frustrazione diffusa che può sfociare, in alcuni casi, in episodi di aggressione verbale o fisica verso il personale, come dimostrato da recente cronaca che ha visto infermieri minacciare colleghi in contesti di estrema pressione.
È un contesto in cui il riconoscimento del lavoro come “usurante” per tutti gli operatori sanitari non è solo una richiesta sindacale, ma un’inderogabile necessità per salvaguardare il benessere di chi è in prima linea. La gestione di situazioni ad alto impatto emotivo, aggravata dal rischio di aggressioni (un fenomeno in costante aumento e purtroppo sottostimato), rende indispensabile la messa in atto di strategie di prevenzione della violenza nei luoghi di lavoro e, soprattutto, di specifici interventi volti a ridurne le conseguenze psichiche.
L’impatto psicologico del sovraffollamento e delle aggressioni sul personale del 118
Le testimonianze e gli studi in materia confermano che gli operatori sanitari del 118 sono regolarmente esposti a fattori di stress che possono compromettere seriamente il loro benessere psicologico. L’imprevedibilità degli eventi, l’età dei pazienti soccorsi (in particolare bambini o anziani), la gestione di pazienti psichiatrici e la confrontazione con la sofferenza e la morte sono solo alcuni degli elementi che quotidianamente mettono a dura prova la tenuta emotiva di questi professionisti.
Dati Importanti: Ogni giorno 1.571 accessi ai pronto soccorso per disturbi mentali, con un incremento annuale di circa 26mila casi rispetto al 2022. La situazione dei servizi è critica e il personale è insufficiente. Gli utenti assistiti dai 139 Dipartimenti di salute mentale sono aumentati da 776.829 a 854.040.
La percezione di rabbia, dolore e frustrazione da parte dei pazienti e dei loro familiari trova spesso nel personale del 118 un facile sfogo, portando a episodi di violenza che, purtroppo, non sempre vengono denunciati. Un’indagine osservativa realizzata in Italia dal 2012 al 2014 ha rivelato informazioni cruciali sui Dipartimenti di emergenza – compreso il servizio del numero unico per le emergenze 118 – insieme ai settori dedicati alla salute mentale e medicina interna presso l’Ausl della Romagna. Il risultato principale emerso dall’indagine è che le aggressioni subite dai professionisti sanitari portano con sé significative conseguenze sul piano psicologico. Delle cinquantina di episodi documentati nel periodo considerato, ben trentacinque hanno richiesto un intervento da parte dei servizi psicologici.
Nell’arco delle successive novantasei ore all’accaduto sono stati documentati vari tipi di sintomi: quelli cognitivi hanno mostrato una prevalenza con ben cento sei manifestazioni registrate; seguono quelli emotivi con sessantotto segnalazioni; infine ci sono stati sessantadue casi legati a reazioni somatiche. Pur se sei settimane dopo l’incidente si evidenzia un apprezzabile abbassamento dei disagi avvertiti, la permanenza anche lieve dei disturbi resta motivo d’allerta. Tra le diverse tipologie analizzate emerge soprattutto una notevole contrazione nei fenomeni cognitivi (-52) ed emotivi (-26); al contrario, la flessione legata ai disturbi somatici risulta essere più modesta (-12). Curiosamente, lo studio sottolinea come i malesseri riportati non siano proporzionali alla severità del fatto subito ma piuttosto si colleghino a qualsiasi tipo d’evento traumatico avvenuto. Questa constatazione suggerisce infatti che anche una semplice esposizione alla violenza può generare disagi significativi.
Questo aspetto evidenzia una problematica culturale diffusa, soprattutto nei servizi di salute mentale, dove il subire violenza verbale è talvolta percepito come “parte del lavoro”, portando a una sottostima e una sotto-segnalazione degli episodi. Tale atteggiamento, figlio di una visione ideologica che tende a giustificare il paziente, ostacola la prevenzione e il sostegno psicologico necessari. La violenza sul posto di lavoro non solo genera sofferenze individuali, ma porta anche a conseguenze organizzative come il decremento della produttività, l’assenteismo e un elevato turnover del personale, con costi sociali ed economici ancora da quantificare pienamente.
Tra le conseguenze psicologiche più gravi si annoverano il disturbo post-traumatico da stress, il disturbo d’ansia generalizzata e diverse forme di depressione.

Strategie di coping e la necessità di supporto psicologico adeguato
Di fronte a un quadro così complesso e gravoso, la necessità di implementare strategie efficaci per la protezione e il supporto psicologico degli operatori sanitari diventa prioritaria.
Interventi cruciali: La formazione sulla gestione delle situazioni di emergenza comportamentale è fondamentale per aumentare la consapevolezza e sviluppare competenze adeguate a fronteggiare gli episodi critici.
La ricerca ha dimostrato che la formazione specifica sulla gestione delle situazioni di emergenza comportamentale è un elemento chiave per aumentare la consapevolezza del fenomeno e sviluppare competenze atte a fronteggiare gli episodi critici. Infatti, operatori adeguatamente istruiti e informati riportano spesso un maggiore senso di sicurezza nell’affrontare comportamenti ostili, il che può contribuire a ridurre l’incidenza delle aggressioni e l’impatto psicologico negativo.
Oltre alla formazione preventiva, è fondamentale che i programmi di gestione della violenza includano interventi concreti di sostegno psicologico per gli operatori che hanno subito aggressioni. L’evidente incapacità del 118 ad affrontare le emergenze sanitarie – specialmente quelle legate alla salute mentale – rappresenta un punto critico da considerare. La pressione costante esercitata su un personale già sovraccarico rischia infatti di influire negativamente sull’efficacia operativa. Spesso questo gruppo si ritrova sprovvisto delle risorse necessarie per fronteggiare adeguatamente le sfide emozionali e comportamentali presentate dai pazienti in crisi.
Quando ci si confronta con individui affetti da disturbi psichiatrici manifestanti sintomi evidenti d’alterazione del comportamento, emerge chiaramente quanto essi rappresentino uno dei maggiori fattori di stress per l’équipe di emergenza. Per trattare questi casi è imprescindibile disporre non solo di una preparazione specialistica, ma anche abbracciare una metodologia empatica assieme a una fermezza decisiva. Tutto ciò mette in luce l’urgenza d’includere il supporto psicologico come elemento fondativo nella formazione continua, piuttosto che relegarlo a mera pratica successiva all’evento critico.
Inoltre, è fondamentale che le dirigenze aziendali acquisiscano consapevolezza riguardo all’essenzialità degli interventi proposti: devono offrire un sostegno strutturato volto a contrastare il fenomeno dell’isolamento, salvaguardando così gli operatori dal rischio di adottare soluzioni impulsive generatrici esclusivamente della negazione del trauma esperito oltre all’insidioso assestamento a contesti potenzialmente letali.
Percorsi per la resilienza e la prevenzione del disagio
Affrontando sistematicamente le questioni concernenti il benessere psicologico degli operatori del 118 e dell’intero apparato d’emergenza, diventa essenziale concepire una strategia tesa a potenziare tanto la resilienza individuale quanto quella collettiva, dedicando attenzione primaria alla mitigazione dei disagi.
Dal punto di vista della psicologia cognitiva, è vitale promuovere tra gli operatori una chiara coscienza riguardo ai processi attraverso i quali vengono elaborate le informazioni, sia durante sia successivamente agli eventi traumatici. Infatti, L’INTELLIGENZA UMANA SI PRENDE CURA DELLE ESPERIENZE FORTI. Sennonché l’assenza degli appropriati strumenti cognitivi o del sostegno adeguato potrebbe far sì che tale rielaborazione finisca per incanalarsi verso meccanismi nocivi come i pensieri intrusivi associabili al disturbo post-traumatico da stress. È imperativo comprendere come “memorie ed emozioni possano riemergere nel tempo”: tale consapevolezza rappresenta il passo iniziale per riconoscere l’effetto profondo delle esperienze sul campo operativo.
Per quanto concerne la psicologia comportamentale, è determinante trasmettere agli interessati delle tecniche operative preventive. Non ci si limita semplicemente a contrapporsi alla violenza; piuttosto, è essenziale promuovere attitudini che possano mitigare il rischio ed evitare vulnerabilità. Ciò implica saper individuare segnali precoci indicativi di una possibile escalation della situazione violenta; usare metodologie atte a facilitare una de-escalation sia sul piano verbale sia su quello non verbale; infine adottare misure protettive altamente funzionali.
In tal senso, la formazione assume valore poiché rappresenta ben oltre una semplice disseminazione teorica: essa fornisce occasioni concrete per esercitare ed assorbire risposte adeguate.
Esplorando ulteriormente il campo della salute mentale, insieme all’ambito afferente alla medicina associata al benessere psichico, emerge come fattore chiave l’aspetto cruciale delle pratiche legate alla prevenzione secondaria e terziaria. La prima forma d’intervento mirato allerta soprattutto su quanto abbia luogo in fase iniziale riguardo ai segni rivelatori di eventuale disagio psicologico subito dopo accadimenti traumatici. Riconoscerne i sintomi senza indugi diviene fondamentale affinché le conseguenze non evolvano in situazioni croniche. In tale ottica ci appare vitale la ricerca del tipo menzionato precedentemente: gli studi condotti attraverso follow-up post-evento – ad esempio quelli valutati sei settimane dopo – risultano decisivi dal momento che possono agevolmente identificarsi cambiamenti nei quadri sintomatologici con la finalità di effettuare interventi tempestivi. La prevenzione terziaria affronta invece la questione legata alla gestione dei disagi cronici. Essa si propone come scopo fondamentale quello di attenuare le conseguenze durature sui percorsi esistenziali sia professionali che privati degli operatori. Questo obiettivo richiede l’implementazione di servizi terapeutici facili da accedere ed estremamente riservati; pertanto si rende necessaria una presenza costante nel sostegno psicologico assieme al monitoraggio continuo della condizione psichica del personale coinvolto.
Dall’esperienza emerge chiaramente che non è opportuno attendersi da coloro i quali prestano assistenza agli altri l’abilità o la volontà di ignorare le proprie problematiche emotive. La competenza dimostrata da parte delle strutture sanitarie nel garantire attenzione alla salute mentale dei propri lavoratori rappresenta una misura tangibile dello sviluppo operativo dell’intero sistema sanitario, oltre a rifletterne pure l’efficacia globale. Infatti, ciascun operatore del 118 trascende il proprio ruolo puramente tecnico: egli incarna anche il peso emotivo derivante dal dolore altrui. Pertanto diventa essenziale identificare questa sfaccettatura, offrendo gli strumenti adeguati insieme ad appositi canali d’assistenza; ciò va considerato tanto come imprescindibile obbligo morale quanto come opportunità strategica volta a migliorare le condizioni operative generali nella fornitura dei servizi medici stessi. Si rivela dunque cruciale considerare con attenzione la nostra dipendenza rispetto ai suddetti specialisti durante i periodi critici poiché, costoro hanno parimenti necessità pressanti di una rete robusta volta ad evitare collassi sotto il fardello delle esperienze accumulate. Solo così potranno continuare a essere la “prima risposta” nel vero senso della parola, non solo alle emergenze fisiche, ma anche ai bisogni più profondi e invisibili della nostra comunità.