Violenza giovanile: come l’effetto lucifero online influenza i ragazzi italiani

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  • Dal 2019 al 2022, i minori segnalati per lesioni dolose sono aumentati di circa 1.069 unità.
  • Quasi il 34% dei minorenni è coinvolto in episodi di «violenza assistita».
  • Nel 2023, il 58% dei minori ha subito «maltrattamenti» di vario tipo.
  • Oltre il 70% degli adolescenti vittime di violenza online si confida con gli amici.

L’esplosione della violenza giovanile e le sue radici profonde

L’Italia sta assistendo a un preoccupante aumento delle aggressioni giovanili, un fenomeno che si è intensificato
notevolmente dopo la pandemia di Covid-19. Questa crescita non è un mero dato statistico, ma il sintomo visibile di
un malessere più radicato che affonda le sue radici in congiunzioni di difficoltà economiche familiari e fragilità
psicologiche giovanili. Il numero di minori segnalati per lesioni dolose è passato da poco più di 2.500 nel 2019 a
circa 3.569 nel 2022, e questa tendenza, seppur lievemente, continua a crescere. Un dato che, come una sentinella
silenziosa, ci ammonisce sulle conseguenze di un periodo storico senza precedenti.

L’elemento dirimente di questo disagio è spesso l’uso, sempre più diffuso, di armi bianche, in particolare il
coltello. Gli adolescenti che vengono fermati e interrogati per atti di violenza spesso giustificano la presenza di
un coltello come una misura “difensiva”, un paradosso angosciante che rivela un profondo senso di insicurezza e una
percezione distorta della propria vulnerabilità. Passare dal proposito di autodifesa all’atto di aggressione diventa
un confine labile per questi giovani che, una volta inseriti in dinamiche di gruppo, perdono rapidamente la
capacità di valutare le conseguenze delle proprie azioni. Questo scarso discernimento è un campanello d’allarme
per l’intero sistema educativo, che si trova di fronte a generazioni sempre meno capaci di connettere causa ed
effetto, una lacuna che non si limita solo alle conseguenze giudiziarie, ma si estende a tutti gli ambiti della
loro vita.

Dati recenti rivelano che quasi il 34% dei minorenni sono esplicitamente coinvolti in episodi di violenza
assistita, confermando l’importanza di un intervento mirato nelle famiglie in difficoltà.

Un altro aspetto cruciale è l’abbassamento dell’età della prima assunzione di droghe, incluse quelle leggere che
fungono da trampolino verso sostanze ben più pericolose come cocaina e droghe sintetiche, fino all’abuso di
farmaci e psicofarmaci, la cui reperibilità online è allarmante. L’utilizzo precocissimo di sostanze avviene
frequentemente in assenza di piena coscienza dei pericoli implicati. Questo aspetto sottolinea ancor più la
vulnerabilità psicologica che contraddistingue ampie fette della gioventù contemporanea. La crisi pandemica ha
aggravato tali difficoltà, negando agli adolescenti due anni essenziali per il processo sociale; un arco temporale
cruciale nel quale vengono assimilate le interazioni umane fondamentali come l’empatia e la cooperazione.
L’assenza delle interazioni dirette ha reso manifeste problematiche già esistenti tra gli individui più giovani,
accentuando l’isolamento individuale in luogo della creazione di legami sociali solidali.

Non c’è distinzione tra ragazzi italiani e stranieri nel manifestarsi del fenomeno; pur risultando più numerosi i
soggetti provenienti da famiglie immigrate, alla base del problema si riscontra frequentemente un elemento
comune: la povertà. Nelle situazioni familiari economicamente svantaggiate o scarsamente supportive dal
punto di vista relazionale – nelle quali i genitori sono obbligati a subire ritmi lavorativi estenuanti per
compensi modesti – vi è poca possibilità di offrire ai propri figli quell’accudimento necessario durante il
pomeriggio. La mancanza di opportunità, come attività sportive o corsi pomeridiani, spinge questi ragazzi a
cercare rifugio nella strada e nel gruppo, dove il disagio si amplifica e si traduce in comportamenti devianti.

Dati significativi: Nel 2023, il 58% dei minori segnalati per maltrattamenti è rappresentato da quelli che
accumulano più forme di maltrattamento, mostrando un aumento rispetto alle precedenti indagini.

Il tribunale per i minorenni, sebbene fondamentale per fornire supporto e sostegno alle famiglie al fine di
prevenire l’ingresso nel circuito penale, si scontra con la carenza di servizi territoriali. Un centro di
aggregazione giovanile insufficiente o con lunghe liste d’attesa significa lasciare i ragazzi in strada,
vanificando gli sforzi di contenimento. È una sfida che richiede un potenziamento delle risorse a tutti i livelli
– dalle scuole ai servizi sociali – per garantire pari opportunità e scongiurare che il futuro dei ragazzi sia
determinato unicamente dalla condizione socio-economica delle loro famiglie d’origine.

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  • L'effetto Lucifero online: siamo davvero consapevoli... 🤯...

Deindividuazione online e l’identità in fieri degli adolescenti

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Il mondo virtuale, in particolare il web e i social media, si presenta come un laboratorio d’identità per gli
adolescenti, dove la ricerca e la sperimentazione del Sé assumono forme inedite, ma non esenti da rischi.
L’adolescenza è un periodo cruciale per la formazione dell’identità: secondo la teoria di Erikson del 1968,
l’obiettivo primario di questa fase di crescita è esplorare e risolvere la crisi identitaria. Il web offre
un’opportunità quasi illimitata per esperimenti d’identità. La comunicazione in rete è caratterizzata da una
riduzione degli stimoli uditivi e visivi, che incoraggia gli utenti a manipolare o celare alcune caratteristiche
fisiche di sé. L’anonimato, sebbene sempre meno assoluto, può spingere gli individui a sentirsi meno inibiti,
facilitando la divulgazione di informazioni personali e la sperimentazione di nuove identità senza il timore di
ripercussioni nella vita reale.

Definizione di Deindividuazione: processo psicologico dove la perdita dell’identificabilità sociale
consente comportamenti altrimenti inibiti, spesso con conseguenze negative come l’aggressività.

Questa libertà, tuttavia, può sfociare nella deindividuazione, intesa come la perdita della coscienza
individuale, spesso precursore di comportamenti aggressivi, come evidenziato anche in contesti non online. Nel
contesto digitale, questa assenza di un “specchio” concreto e di messaggi non verbali, elementi vitali per il
confronto e la crescita del Sé, può portare a uno sdoppiamento dell’identità. Ragazzi e ragazze possono adottare
ruoli e identità diversi, senza una funzione di riscontro esterna e immediata. Alcuni lo fanno per gioco, altri
per proteggere la propria privacy, altri ancora per una vera e propria esplorazione del Sé.

Le motivazioni principali dietro questi esperimenti online sono l’esplorazione del sé e la compensazione
sociale
, ad esempio per superare la timidezza, o la facilitazione sociale, volta a instaurare nuovi
rapporti. Le ragazze, in particolare, sembrano utilizzare la rete più spesso per esplorare se stesse e indagare
come appaiono agli occhi degli altri, forse a causa di una maggiore tendenza a sperimentare cali nell’autostima e
preoccupazioni per il proprio corpo durante l’adolescenza. L’obiettivo di fondo per gli adolescenti è raggiungere
un senso unitario della propria identità, esplorando nuove possibilità. Internet, offrendo la possibilità di
interagire con una vasta gamma di persone, può favorire questa scoperta e accettazione di sé, ma in alcuni casi
può anche esacerbare i dubbi sull’identità reale degli individui.

Ricerche recenti hanno dimostrato che l’anonimato nei gruppi online aumenta il rischio di comportamenti
antisociali in adolescenza.

Tuttavia, esiste anche una “variantenegativa” di queste sperimentazioni: l’ipotesi che la sovraesposizione a diverse
relazioni e idee online possa incrementare i dubbi sulla propria vera identità, piuttosto che favorirne
l’integrazione. Quando questa sperimentazione sfocia in comportamenti violenti all’interno di community online,
si manifesta una delle sfide più ardue del panorama digitale attuale.

L’effetto Lucifero e la violenza nelle comunità online

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L’Effetto Lucifero, reso celebre dagli esperimenti di Philip Zimbardo, noto per il controverso esperimento
carcerario di Stanford condotto nel 1971, rappresenta un paradigma fondamentale per comprendere come individui,
altrimenti normali, possano essere indotti a compiere atti di violenza e crudeltà in determinati contesti
sociali.

“Il potere della situazione è tale che possiamo tutti diventare invisibili e violenti se le condizioni lo
permettono.”

Zimbardo ha dimostrato che non è tanto la malvagità intrinseca delle persone a scatenare la violenza, quanto
piuttosto il potere delle situazioni ambientali e dei ruoli sociali a trasformare il comportamento umano,
portando alla deindividuazione e alla disumanizzazione. Nel suo esperimento, studenti universitari furono
assegnati casualmente al ruolo di “guardie” o “detenuti” in una finta prigione. Nel giro di pochi giorni, i
partecipanti assunsero i loro ruoli con una tale intensità che le guardie divennero sadiche e i detenuti
sottomessi e traumatizzati, costringendo all’interruzione anticipata dell’esperimento.

Questo meccanismo di trasformazione è tragicamente evidente nelle community online violente frequentate dagli
adolescenti. In questi ambienti digitali, la deindividuazione è amplificata dall’anonimato o dalla
pseudonimità, dalla mancanza di contatto fisico e dalla possibilità di sperimentare identità multiple. Le
barriere morali, che nella vita reale sono sostenute dalla pressione sociale e dalla presenza fisica
dell’altro, tendono a sgretolarsi.

Attenzione! L’aumento del cyberbullismo e della violenza nelle comunità online mette a rischio salute
mentale e benessere dei giovani.

Il cyberbullismo, definito come un insieme di azioni aggressive attuate tramite media digitali, ne è l’esempio
più lampante. Questa modalità rappresenta una vera prevaricazione, prolungando gli effetti deleteri del
bullismo classico all’interno dello spazio virtuale e aumentando il dolore vissuto dalla persona colpita. I
danni psicologici subiti dalle persone affette da episodi di bullismo o cyberbullismo risultano
frequentemente sconvolgenti: si manifestano attraverso sintomi quali l’ansia, stati depressivi, isolamento
sociale ed erodendo progressivamente l’autostima fino ad indurre, nel peggiore dei casi, pensieri suicidari.
L’intensità della vergogna e dell’imbarazzo, che accompagnano coloro che vivono esperienze di
cyberbullismo, risulta amplificata dalla difficile cancellabilità dei contenuti lesivi nella rete. Di
conseguenza, sfuggire al tormento diventa un’impresa ardua; le persone coinvolte potrebbero sperimentare disturbi
post-traumatici da stress (PTSD) assieme a problematiche psichiche persistenti.

In questa cornice digitale, però, anche le comunità online si rivelano luoghi dove i giovani possono passare
rapidamente dal ruolo delle vittime a quello dei persecutori stessi. L’immediatezza con cui si scatenano
messaggi d’odio (hate speech), saturandosi d’intolleranza verso specifiche fasce sociali o singoli individui,
rappresenta chiaramente come la deindividuazione generata dal contesto virtuale possa fungere da terreno fertile
per comportamenti antisociali sempre più marcati. I dati mostrano come nel 2024 un numero considerevole di
bambini e adolescenti nel mondo abbia subito l’influsso negativo proveniente da messaggi d’odio e contenuti
violenti diffusi online. Il fenomeno della violenza di genere online tra adolescenti sta emergendo con
vigore, manifestandosi attraverso vari tipi di condotte aggressive nelle dinamiche relazionali digitali delle
coppie. Tale situazione espone i giovani al concreto rischio della normalizzazione dei comportamenti
violenti
, soprattutto qualora essi non riescano a sviluppare uno spirito critico adeguato verso tali
contenuti. È preoccupante osservare che oltre il 70% degli intervistati tende a confidarsi con amici nel caso
diventino vittime della violenza su Internet; al contrario, la loro fiducia nei confronti del supporto da parte
dei genitori o dei propri fratelli risulta essere drasticamente bassa. Questa circostanza pone in rilievo
l’urgenza impellente nella promozione e nell’approfondimento delle vie comunicative familiari per garantire un
adeguato sostegno ai ragazzi vulnerabili.

Riflessioni e interventi per un futuro più consapevole

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Il panorama delle aggressioni giovanili e della violenza online ci impone una riflessione profonda sui meccanismi
psicologici che sottostanno a tali comportamenti. L’effetto Lucifero ci insegna che non dobbiamo cercare la
radice della malvagità negli individui, ma piuttosto nelle situazioni che possono influenzare e trasformare
il comportamento umano. Quando parliamo di ragazzi che girano armati o di adolescenti che si rendono protagonisti
di atti di violenza in gruppo, stiamo osservando la concretizzazione di dinamiche che spesso nascono in contesti
di disagio, fragilità e, soprattutto, in ambienti dove la deindividuazione trova terreno fertile.

Dal punto di vista della psicologia cognitiva, un concetto chiave è il bias di attribuzione fondamentale.
Questo bias porta le persone a sovrastimare l’influenza dei tratti della personalità (disposizioni) e
sottostimare l’influenza delle situazioni quando spiegano il comportamento altrui. Nel contesto dell’effetto
Lucifero e della deindividuazione, questo bias ci farebbe erroneamente pensare che “i bulli sono persone
cattive”, mentre la psicologia sociale ci suggerisce che le circostanze, il ruolo sociale e la pressione del
gruppo possono indurre individui a comportarsi in modi che non adotterebbero mai individualmente.

Spostandoci sulla psicologia comportamentale, possiamo analizzare l’importanza del rinforzo sociale. Nelle
comunità online, un comportamento aggressivo o deviante può essere rinforzato da “like”, commenti positivi o
condivisioni, creando un circuito vizioso. Questo tipo di rinforzo intermittente è particolarmente potente
nel consolidare schemi comportamentali indesiderati, rendendo più difficile la rottura del ciclo di violenza.
L’assenza di punizioni immediate e visibili nel mondo virtuale contribuisce a sdoganare azioni che nel mondo
reale sarebbero immediatamente sanzionate.

È fondamentale spingere per un approccio che vada al di là della semplice repressione, investendo sulla
prevenzione e sul supporto psicologico. Per stimolare una riflessione personale, è necessario chiedersi: quanto
siamo consapevoli del potere dei nostri contesti sociali, sia online che offline, nel plasmare i nostri stessi
comportamenti? E, in particolare, come possiamo rafforzare le identità dei giovani in modo che siano
resilienti alle influenze negative, incoraggiando la capacità di provare empatia e di valutare le conseguenze
delle proprie azioni? La sfida consiste nel costruire ambienti, sia fisici che virtuali, in cui la crescita
personale non sia minacciata dalla perdita dell’individualità e in cui ogni adolescente possa trovare uno
“specchio” sano e costruttivo per la formazione del proprio Sé.

Glossario:

  • Deindividuazione: Processo psicologico dove l’individualità si perde in un gruppo,
    portando a comportamenti antisociali.
  • Effetto Lucifero: Fenomeno studiato da Zimbardo che evidenzia come le situazioni possano
    portare persone normali a comportamenti estremi.
  • Bias di attribuzione fondamentale: Si riferisce alla tendenza umana a enfatizzare gli
    aspetti soggettivi della personalità, mentre si ignora il ruolo che le condizioni esterne possono
    esercitare sulle azioni degli individui.

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