Violenza giovanile a San Benedetto: è solo colpa dell’alcool e dei media?

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  • A San Benedetto, un diciottenne è stato aggredito in via Mare.
  • Maltrattamenti sui minori in Italia: aumento del 58% nel quinquennio.
  • Il 37% dei ragazzi (15-19 anni) ha usato sostanze psicoattive.
  • Quasi 520.000 studenti hanno consumato cannabis nell’ultimo anno scolastico.
  • La zia della vittima ha detto: «Vergogna!».

Nella comunità di San Benedetto, la problematica della violenza giovanile è divenuta sempre più allarmante. È fondamentale analizzare come la sopportazione passiva, da parte degli individui che assistono a questi atti, possa incidere negativamente sulla gravità delle situazioni violente.
La quiete serale del lungomare di San Benedetto del Tronto, scenario idilliaco per passeggiate e momenti di relax, è stata di recente infranta da una serie di episodi di violenza che sollevano interrogativi profondi sulle dinamiche comportamentali della gioventù contemporanea. Un diciottenne, impiegato stagionalmente come cameriere, è stato brutalmente aggredito la notte del 26 agosto 2025 in via Mare, a Porto d’Ascoli, al termine del suo turno di lavoro. L’aggressione, perpetrata da un giovane marocchino residente a Grottammare e da due minorenni che indossavano caschi, ha lasciato il ragazzo con tumefazioni al volto e ferite da arma da taglio alle braccia.

Aumento della Violenza Giovanile in Italia Secondo la III Indagine nazionale sul maltrattamento di bambini e adolescenti in Italia, condotta da Terre des Hommes e Cismai, sono 113.892 i minorenni vittime di maltrattamento, con un aumento del 58% rispetto al precedente quinquennio. Questo si traduce in un incremento da 9 a 13 minorenni maltrattati ogni mille. [Garante Infanzia]

Questo episodio, lungi dall’essere isolato, si inserisce in un quadro preoccupante di crescente aggressività che affligge la Riviera, come testimoniano diversi eventi analoghi. La sequenza inquietante degli episodi di violenza si articola su diversi piani: già due mesi or sono è stato registrato l’arresto di un cinquantenne in relazione a un’aggressione avvenuta lungo il lungomare. Mentre solo poco prima, nel marzo 2025, un ventiquattrenne nordafricano perse la vita sotto i colpi letali di un machete durante uno scontro tra bande; circostanza nella quale anche altri ragazzi rimasero feriti. Un mese addietro ci fu anche l’assalto al casco su un quarantenne originario d’Ascoli Piceno da parte di sconosciuti armati di calci e pugni. La sommatoria di questi eventi contribuisce a costruire il ritratto allarmante di una comunità nell’occhio del ciclone dell’escalation violenta giovanile, che necessita urgentemente di un’analisi esaustiva dei fattori sottesi.

La ferocia manifesta nei metodi impiegati per perpetrare tali attacchi – come ad esempio gli strumenti contundenti, i caschi o i coltelli – così come le dinamiche che scatenano conflitti tra gruppi giovanili o contro singoli individui esposti al rischio sembrerebbero indicare una sinergia complessa fra elementi sociali, psicologici e culturali. È imperativo studiare quali possano essere gli stimoli che portino questi giovani verso simili comportamenti aggressivi; comprendere le meccaniche mentali alla base delle loro azioni sarà cruciale per arginare tale fenomeno ed esplorare come la percezione diffusa d’impunità unitamente alla cultura del branco possano dare vita a questo circolo vizioso.

Approfondire il ruolo dell’alcool e delle sostanze stupefacenti come disinibitori

La cronaca attuale mette in luce un aspetto preoccupante: esiste un collegamento diretto tra la violenza giovanile lungo il lungomare a San Benedetto e le abitudini problematiche riguardanti il consumo di alcolici e talvolta anche altre sostanze. Un fatto significativo si è verificato il 18 giugno 2024, quando circa venti ragazzi – evidentemente alterati dagli effetti dell’alcool – hanno provocato scompiglio e hanno assalito i buttafuori della zona; tale episodio dimostra chiaramente quanto l’alterazione delle facoltà cognitive possa fungere da catalizzatore per comportamenti aggressivi.

In aggiunta a ciò, le recenti indagini statistiche hanno rivelato che ben il 37% dei ragazzi nella fascia d’età compresa tra i quindici e i diciannove anni ha fatto uso almeno una volta nel corso della propria vita di sostanze psicoattive illegali; non sorprende quindi constatare che quasi 520.000 studenti, solo nell’ultimo anno scolastico, abbiano riportato casi accertati relativi all’assunzione della cannabis. [Dianova] Questo fenomeno è amplificato durante eventi sociali e notturni, come evidenziato anche da una violenza sessuale denunciata da due ragazze durante un rave il 18 agosto 2025, sottolineando l’effetto disinibitore delle sostanze.

Tipo di Sostanza Percentuale di Consumo (Ultimo Anno)
Cannabis 25%
Cocaina 3%
Psicofarmaci (senza prescrizione) 12%

In un contesto giovanile, dove i processi decisionali sono ancora in fase di maturazione e la ricerca di identità può portare a comportamenti più impulsivi, l’effetto disinibitore delle sostanze può essere particolarmente pericoloso. La facilità con cui si può cadere vittime di questi meccanismi è aggravata da fenomeni come l’effetto gregge, dove il comportamento del singolo è influenzato dal gruppo, e dalla ricerca di un senso di appartenenza che può portare ad emulare condotte rischiose o aggressive per essere accettati.

La “notte di violenza” un mese fa, in cui un quarantenne è stato brutalmente assalito, pur non specificando l’uso di sostanze da parte degli aggressori, si inserisce in un clima di crescente tensione e aggressività che può essere esacerbato dall’abuso di alcolici. Le implicazioni di questa dinamica sono molteplici: da un lato, emerge la necessità di interventi mirati sulla prevenzione e sull’educazione al consumo consapevole, dall’altro, si impone una riflessione sulla disponibilità e accessibilità di queste sostanze, soprattutto per i minori, e sul ruolo delle autorità nel contrastarne l’abuso in contesti pubblici.

Cosa ne pensi?
  • È confortante vedere che si analizzano le cause profonde......
  • Trovo riduttivo dare la colpa solo ad alcool e media......
  • E se la radice fosse la mancanza di prospettive future🤔......

Indagare l’influenza dei modelli di comportamento violento presenti nei media e nella cultura popolare

Esplorazione dell’impatto che i comportamenti violenti, trasmessi dai mezzi di informazione e dalla cultura contemporanea, esercitano sulla società

Oltre all’influenza delle sostanze disinibitrici, è fondamentale analizzare come i modelli di comportamento violento, spesso veicolati incessantemente dai media e radicati in certi aspetti della cultura popolare, possano contribuire a generare queste ondate di aggressività, in particolare tra i giovani.
Recenti studi suggeriscono che l’esposizione alla violenza nei media è correlata a un aumento di comportamenti aggressivi tra i giovani. Questo fenomeno è ulteriormente complicato dalla diffusione di video e immagini violente sui social media, che non solo amplificano la portata degli eventi, ma possono anche fornire un “manuale” implicito di comportamento, creando un ciclo di emulazione. [Istituto Psicoterapie] Gli episodi di violenza a San Benedetto, come il pestaggio del diciottenne o l’omicidio del ventiquattrenne con un machete, si inseriscono in un contesto più ampio dove la “cultura della rissa” o della “baby gang” sembra acquisire una risonanza particolare.

“È importante che i giovani sviluppino un’alfabetizzazione critica nei confronti dei media, imparando a discernere tra notizie reali e finzione nei contesti violenti.” – Esperto di media

La violenza diventa un linguaggio, un modo per risolvere conflitti o per affermare la propria presenza, spesso in assenza di alternative più costruttive o di modelli di gestione della rabbia e della frustrazione. Questo fenomeno rischia di normalizzare la violenza e di renderla un mezzo per ottenere riconoscimento sociale. È cruciale, quindi, promuovere modelli positivi di comportamento e fornire strumenti educativi che permettano ai giovani di discernere e rifiutare narrazioni dannose.

La responsabilità sociale nell’era della violenza giovanile

Il susseguirsi di atti violenti sul lungomare di San Benedetto, culminato nell’aggressione di un diciottenne e nel coinvolgimento, in diversi episodi, di minorenni spesso armati di caschi e coltelli, evidenzia una ferita profonda nel tessuto sociale e richiama con urgenza il concetto di effetto spettatore. Perché, in presenza di brutali aggressioni che avvengono in luoghi pubblici frequentati, la reazione di aiuto è spesso assente o insufficiente?

Questo fenomeno, studiato dalla psicologia sociale, si manifesta quando la responsabilità viene diffusa tra più individui presenti, portando ciascuno a supporre che qualcun altro interverrà. Il risultato è una paralisi collettiva, un silenzio assordante che avvolge le vittime, lasciandole sole di fronte alla brutalità.
La zia del diciottenne aggredito sul lungomare ha denunciato pubblicamente: “Io non vorrei incolpare i genitori, perché purtroppo la mela marcia capita ovunque, ma credo che un genitore dovrebbe essere consapevole di avere una mela marcia e dovrebbe controllarla. ” Ha aggiunto con amarezza: “È impensabile che tra giovani non ci siano altri svaghi se non questo, sono eventi che si stanno verificando con troppa frequenza! Vergogna!”.
Le sue parole, cariche di frustrazione e dolore, toccano un nervo scoperto: la responsabilità individuale e collettiva. È facile puntare il dito, ma l’apatia o la paura che immobilizzano i presenti sono sintomi di un malessere più ampio, che affonda le radici in una società dove la connessione emotiva e la prontezza all’azione a favore del prossimo sembrano affievolirsi.

La psicologia cognitiva ci insegna che i bias cognitivi, come l’effetto spettatore, ci influenzano senza che ne siamo pienamente consapevoli. Comprendere questo meccanismo è il primo passo per superarlo. Non si tratta solo di condannare la violenza, ma di coltivare attivamente l’empatia e la responsabilità sociale in ognuno di noi, perché l’intervento non sia più un’eccezione, ma la norma.

Conclusioni e necessità di intervento

A un livello più avanzato, la psicologia comportamentale ci offre strumenti per affrontare questa problematica complessa attraverso la teoria dell’azione ragionata e la teoria del comportamento pianificato. Promuovere atteggiamenti positivi verso l’intervento, rafforzare le norme sociali che incoraggiano l’aiuto reciproco e potenziare il senso di autoefficacia individuale sono passi fondamentali.

La salute mentale della comunità dipende dalla sua capacità di reagire in modo coeso di fronte alla violenza e di ricostruire un tessuto sociale resiliente. Riflettiamo: siamo davvero pronti a essere attori del cambiamento o continueremo a essere solo spettatori passivi?

Glossario:
  • Effetto spettatore: fenomeno psicologico per cui, in situazioni di emergenza, le persone tendono a non intervenire, ritenendo che qualcun altro lo farà.
  • Empatia: capacità di comprendere e condividere i sentimenti di un’altra persona.
  • Neglect: trascuratezza nei confronti di un minore, che può manifestarsi in forme educative, fisiche ed emotive.

Note

[Garante Infanzia] Riferimento ai dati della III indagine sul maltrattamento di bambini e adolescenti in Italia.

[Dianova] Relazione al Parlamento 2025 sulle tossicodipendenze.

[Istituto Psicoterapie] Analisi sugli effetti della violenza nei media sui giovani.


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