- Corberán sottolinea la necessità di «forza mentale» per affrontare l'Osasuna.
- La resilienza è la capacità di «riadattarsi e prosperare» di fronte alle avversità.
- Veterani: il supporto sociale influisce sulla resilienza più del genere.
- Il Friuli post-terremoto ha mostrato la resilienza di una comunità.
La recente dichiarazione di Carlos Corberán, tecnico del Valencia, in vista della trasferta contro l’Osasuna, ha riacceso i riflettori su un concetto tanto attuale quanto cruciale nel mondo dello sport e non solo: la resilienza psicologica. Con il match in programma per questa domenica, Corberán ha sottolineato come la vittoria a El Sadar richieda una notevole “forza mentale”, evidenziando che la squadra avversaria, guidata da Alessio Lisci, è “un gruppo molto completo e competitivo” che adotterà un “approccio aggressivo, pressando alto, e nel settore offensivo cercherà di mettere molti palloni in area”. Questa analisi del contesto di gioco non è solo tattica, ma profondamente psicologica. Richiede ai suoi giocatori di “proteggere bene la porta e mantenere attenzione anche lontano da essa, prestando attenzione ai dettagli nei calci da fermo”, e soprattutto di “rimanere attiva e mostrare una grande forza mentale per affrontare tutto ciò che accadrà durante il match”. Tale approccio rivela una comprensione profonda di come la resilienza non sia solo un tratto individuale, ma una capacità collettiva da coltivare in un ambiente estremamente competitivo.
Questa prospettiva di Corberán si allinea perfettamente con le moderne teorie sulla resilienza in psicologia. La resilienza, derivante dal latino _resalio_ (“saltare indietro”), è la capacità di un individuo di fronteggiare e superare eventi traumatici o particolarmente stressanti, trasformando persino il dolore in forza e la rabbia in motore per il cambiamento. Non si tratta semplicemente di resistere, ma di _riadattarsi e prosperare_, ricostruendo un equilibrio più funzionale. Nel contesto sportivo d’élite, dove la pressione è costante e la posta in gioco elevata, questa capacità diventa un discriminante fondamentale tra successo e fallimento. Gli atleti sono costantemente esposti a frustrazioni, infortuni, sconfitte e giudizi implacabili. La loro abilità di metabolizzare queste avversità, senza farsi travolgere, è ciò che permette loro non solo di continuare a competere, ma di emergere più forti.
L’esempio di Corberán evidenzia come la resilienza sia un processo dinamico, influenzato da fattori interni ed esterni. Per i calciatori del Valencia, la pressione di un match in trasferta di tale importanza non è solo fisica, ma mentale. La capacità di pianificare, prevedendo anche di non avere un piano, di agire in situazioni imprevedibili, è un tratto distintivo della resilienza. Questo è un richiamo alla flessibilità, la capacità di creare forza dalla debolezza, accettando la fragilità e l’imperfezione. Nel calcio, come nella vita, gli imprevisti sono all’ordine del giorno: un rigore sbagliato, un infortunio improvviso, un’espulsione. La squadra, o l’individuo, che sa trasformare questi ostacoli in opportunità per un nuovo assetto, dimostra vera resilienza. Corberán, pur non volendo svelare l’undici titolare, ha apprezzato la “varietà nel roster” nel centrocampo, indicando una consapevolezza dell’importanza di diverse opzioni per diverse formazioni, a dimostrazione di una visione flessibile e adattiva. Anche il contributo di Arnaut Danjuma, descritto come un giocatore che “ci offre una versatilità fondamentale” e può giocare in diverse posizioni, è un esempio di come l’adattabilità sia una risorsa preziosa nel perseguimento della resilienza di squadra.

Strategie di coping negli atleti e il ruolo del contesto sociale
La gestione dello stress e delle avversità, nota come _coping_, è un aspetto fondamentale della resilienza, soprattutto per gli atleti di alto livello. Le strategie di coping non sono innate, ma possono essere apprese e affinate. Un esempio chiaro ci viene <a class="crl" target="_blank" rel="nofollow" href="https://www.stateofmind.it/2024/06/genitori-giovani-agonisti/”>dall’articolo che analizza il ruolo dei genitori di giovani agonisti, sottolineando come il loro supporto sia cruciale per incrementare l’autoefficacia dei figli. I genitori sono visti come guide e sostenitori, il loro esempio nel fronteggiare situazioni complesse e i feedback costruttivi, focalizzati sull’impegno e sui progressi piuttosto che sul solo risultato, contribuiscono significativamente alla crescita personale e alla resilienza del giovane atleta. Questo dimostra come la resilienza non sia un fenomeno puramente individuale, ma profondamente relazionale e sociale.
Le strategie di coping si manifestano in diverse forme, suddivise in quattro temi principali:
- Volontà di imparare a conoscere le proprie reazioni emotive.
- Sviluppare la capacità di governare le proprie emozioni.
- Aderire alla concezione del fallimento come momento formativo.
- Cultivare relazioni interpersonali sane ed efficaci attraverso un adeguato sostegno affettivo.
La gestione delle difficoltà diviene cruciale quando si parla di insuccessi. In ambito sportivo così come nella quotidianità esistenziale, gli sbagli e i momenti avversi rappresentano vere occasioni per affinarsi ulteriormente. È importante che i genitori non adottino atteggiamenti sopra-protettivi; dovrebbero invece consentire ai figli l’opportunità di confrontarsi con le sfide individualmente, e assumerne i rischi correlati alle scelte intraprese. L’aura dell’ascolto attento favorisce una comprensione più profonda delle prospettive giovanili, intervenendo nel processo relativo alla loro relazione con lo sport, pertanto permettendo una visione equilibrata rispetto al valore personale. Una preoccupazione esasperata riguardo al raggiungimento dei risultati conclusivi da parte degli adulti potrebbe effettivamente generare dinamiche diseducative; ciò può risultare in stati d’animo negativi come ansia o frustrante abbandono dell’impegno competitivo (noto comunemente col termine _drop out_).
In quest’ottica, l’importanza della rete sociale emerge chiaramente quale elemento determinante nell’affrontare sfide personali ed incrementarne la resilienza. Uno studio condotto su veterani di Iraq e Afghanistan ha rivelato come, inizialmente, sembrasse che gli uomini fossero più resilienti delle donne dopo il congedo militare. Tuttavia, un’analisi più approfondita ha mostrato che le differenze erano legate al tipo di trauma subito (interpersonale vs. non interpersonale) e alla disponibilità di supporto sociale. Le donne, in questo campione, avevano riferito di sperimentare meno supporto sociale. Questo suggerisce che non è una capacità innata a determinare la resilienza, ma piuttosto i fattori all’interno del contesto socio-ecologico di una persona. I cosiddetti “privilegi sociali” come lo status socio-economico, l’istruzione, il reddito e l’impiego possono influenzare significativamente i punteggi di resilienza. Ciò evidenzia la necessità di considerare una prospettiva più ampia che includa anche i fattori esterni all’individuo quando si valuta la capacità di recupero post-trauma.
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Qualità degli individui resilienti
Le qualità degli individui resilienti includono la tenacia, il sacrificio, la passione e la forza di volontà. I campioni olimpici, per esempio, utilizzano strategie avanzate di motivazione e resilienza. Le storie di atleti paralimpici sono particolarmente ispiratrici, poiché essi sono veri e propri “eroi della resilienza”, capaci di superare limiti fisici e sociali con un coraggio straordinario, influenzando positivamente il loro benessere psicologico e prevenendo disturbi come ansia e depressione. Queste figure ci insegnano che il processo di resilienza è agevolato non solo dalle caratteristiche personali, ma anche dalla presenza di “tutori di resilienza”, ovvero persone in grado di instaurare un rapporto basato sulla fiducia e il supporto.
La resilienza oltre il singolo: trauma e comunità
Il fenomeno della resilienza, lungi dall’essere considerato esclusivamente come una qualità personale, si evidenzia in modo incisivo anche in ambito collettivo. All’interno della psicologia del trauma, tale nozione supera l’idea di base della mera sopravvivenza; essa rappresenta infatti l’abilità per intere popolazioni di reagire in maniera costruttiva a eventi catastrofici o calamità naturali. È questa distinzione fondamentale—tra rimanere intrappolati nella propria vulnerabilità e risvegliare nuove forze dai momenti difficili—a definire la vera essenza della resilienza. Si deve chiaramente sottolineare che questo non equivale al recupero dell’antico stato esistenziale: il cosiddetto processo _recovery_ raramente è completo dopo esperienze traumatiche profonde. Al contrario, la resilienza comporta una ricostruzione ben più complessa dell’equilibrio _maggiormente adattivo e funzionale_, segnando così non solo una crescita personale ma anche una profonda trasformazione sociale.
Un esempio emblematico è quello dello Sri Lanka: nonostante le limitate disponibilità materiali e le strutture carenti sul territorio, il paese fu capace di attivare meccanismi efficaci per i soccorsi già nelle prime ore successive allo tsunami del 2004. Questo risultato sorprendente fu frutto delle robuste reti sociali preesistenti insieme al capitale sociale, elementi cruciali costituiti da legami solidali tra gli individui locali che favorirono sia il senso d’appartenenza sia l’accessibilità alle risorse disponibili per affrontare l’emergenza. La “narrativa di comunità” ha giocato un ruolo cruciale, fornendo un significato condiviso alle esperienze e contribuendo alla coesione sociale. Similmente, dopo l’11 settembre a Manhattan, la narrazione collettiva degli eventi e delle risposte individuali ha favorito una ripresa positiva. Questi eventi — l’11 settembre 2001, lo tsunami del 2004, l’uragano Katrina nel 2005 e, in Italia, la ricostruzione post-terremoto in Friuli nel 1976 con il suo “modello Friuli” — dimostrano la capacità di una comunità di organizzarsi e riorganizzarsi di fronte alle avversità. Essi hanno evidenziato alcuni elementi cruciali per la promozione della resilienza comunitaria post-trauma: l’attivazione di risorse economiche, il coinvolgimento della cittadinanza nella mitigazione dei danni, le reti relazionali e organizzative, il sostegno sociale informale e spontaneo, e la capacità di pianificare, prevedendo anche di non avere un piano, cioè di potere agire anche in situazioni imprevedibili.
- Resilienza: la capacità di affrontare e superare le avversità.
- Mindfulness: pratica che enfatizza la consapevolezza nel momento presente.
- Drop out: termine utilizzato per descrivere l’abbandono di un’attività sportiva.
Riflessioni sulla resilienza: un’abilità da coltivare per la vita
La resilienza, come abbiamo visto attraverso le lenti dello sport d’élite, della psicologia del trauma e delle dinamiche comunitarie, è un concetto che risuona profondamente con la complessità della vita umana. Non è un superpotere innato di pochi eletti, ma piuttosto una capacità dinamica e malleabile, un’abilità che può essere appresa, coltivata e rafforzata nel corso del tempo. Questa comprensione ci libera dalla staticità di un tratto di personalità predefinito, proiettandoci invece verso un orizzonte di possibilità. Come i materiali in fisica che assorbono energia e tornano alla forma originaria, o i sistemi ecologici che si ripristinano dopo una perturbazione, così anche l’essere umano ha la capacità di “risalire sulla barca rovesciata” della vita.
In psicologia cognitiva e comportamentale, la resilienza si radica nella nostra capacità di rielaborare le esperienze, di dare un nuovo significato agli eventi. Una nozione fondamentale è quella della _ristrutturazione cognitiva_: di fronte a un’avversità, la mente non accetta passivamente la realtà, ma la interpreta. La ristrutturazione cognitiva ci permette di modificare i nostri schemi di pensiero negativi o disfunzionali che si sono attivati in risposta a un trauma o a una difficoltà. Invece di focalizzarci sulla perdita o sul fallimento, possiamo consapevolmente scegliere di osservare la situazione da una prospettiva diversa, cercando insegnamenti, nuove opportunità o semplicemente accettando l’imperfezione e la vulnerabilità. Questo processo non significa negare il dolore, ma piuttosto permettere alla sofferenza di coesistere con la speranza, trasformando la “ferita in forza”.
A un livello più avanzato, la _teoria polivagale_ di Stephen Porges offre intuizioni profonde sulla resilienza. Questa teoria suggerisce che il nostro sistema nervoso autonomo, attraverso i suoi rami vagali, non gestisce solo le risposte di lotta o fuga, ma anche stati di immobilizzazione (come il _freezing_ traumatico) e stati di impegno sociale. La resilienza, in questa prospettiva, è fortemente legata alla capacità del nostro sistema nervoso di regolarsi e di attivare il ramo ventrale vagale, che governa la connessione sociale, la calma e la regolazione emotiva. Dopo un trauma, il sistema può rimanere bloccato in stati di difesa. Coltivare la resilienza significa imparare a spostarsi consapevolmente da questi stati difensivi verso stati di maggiore sicurezza e connessione, spesso attraverso la relazione con gli altri. È proprio il supporto sociale, l’empatia e la capacità di _dare e ricevere_ cura che ci aiutano a “farci morbidi” e a integrarci nuovamente con il mondo.
La resilienza, dunque, è un viaggio, non una destinazione. È la danza fluida tra accettazione e azione, tra vulnerabilità e forza. Essa ci invita a riflettere su quanto sia fondamentale investire nelle relazioni, sia a livello personale che comunitario, perché sono esse il vero humus in cui la nostra capacità di rialzarci può fiorire. Richiede di guardare al di là del mero risultato, valorizzando l’impegno, la costanza e la capacità di imparare dagli errori. Non è questione di non cadere mai, ma di trovare la forza – e gli strumenti – per rialzarsi, ogni volta un po’ più saggi, un po’ più interi.


- Dichiarazione ufficiale di Corberán sulla resilienza dopo la vittoria contro il Real Madrid.
- Sito ufficiale del Valencia CF, per info su squadra e partite.
- Pagina ufficiale di Alessio Lisci sul sito dell'Osasuna, profilo e carriera.
- Analisi di 'mental toughness' e resilienza nello sport dal CONI Abruzzo.