- Nel 2024, il 30% dei ragazzi con uso problematico manifesta ansia e depressione.
- Sette adolescenti su dieci in Italia hanno uno smartphone prima degli 11 anni.
- L'uso eccessivo genera effetti simili all’astinenza: ansia e insonnia.
L’inganno sottile dello schermo: dopamina e dipendenza digitale
Nel vortice incessante della modernità, dove l’effimero diventa tangibile al tocco di un display, emerge con prepotenza una questione che sfida le nostre percezioni di libertà e controllo: la dipendenza da smartphone. Non si tratta di un mero vezzo generazionale, ma di un fenomeno radicato nelle profondità della nostra neurobiologia, sapientemente orchestrato da colossi tecnologici che hanno appreso a manovrare le leve più intime del nostro sistema di ricompensa cerebrale. L’eco del convegno “A che gioco giochiamo?” risuona con particolare urgenza, ponendo l’accento sulla correlazione tra l’uso smodato dei dispositivi e lo sviluppo di nuove forme di ludopatia e disturbi comportamentali. A dispetto delle apparenze, le decisioni aziendali, come quella di Instagram di celare i “like”, non mirano a mitigare la nostra dipendenza, bensì a raffinarne i meccanismi. La visibilità dei “mi piace” per l’utente che pubblica, pur occultata agli occhi degli altri, rappresenta una mossa astuta che da un lato rimuove il freno della vanità – la paura di mostrare pochi apprezzamenti – e dall’altro alimenta in sordina il rilascio di dopamina, quel neurotrasmettitore principe della motivazione e del piacere. I dati più recenti evidenziano come la crescente dipendenza dagli smartphone si traduca in conseguenze deleterie per l’adolescenza, soprattutto in relazione al benessere psichico. Una ricerca condotta nel 2024 svela che un allarmante 30% dei ragazzi caratterizzati da un uso problematico degli smartphone presenta manifestazioni di ansia e depressione. Ciò mette in luce una connessione diretta tra dipsensione tecnologica e le difficoltà legate alla salute mentale.[R Zhang et al., 2024].
Il parallelismo con le slot machine, introdotto da Tristan Harris, ex designer di Google e fondatore del Center for Human Technology, e ripreso nel documentario “The Social Dilemma”, è illuminante. Ogni notifica, ogni “like”, ogni commento, scatena una scarica di dopamina che il nostro cervello percepisce come una ricompensa. Questo meccanismo di rinforzo intermittente positivo, mutuato dal gioco d’azzardo, ci tiene incollati allo schermo. Non importa se le notifiche sono attivate o silenziate; la mera possibilità di una nuova interazione ci spinge a controllare compulsivamente il telefono. La dopamina, un neurotrasmettitore che si suppone si sia evoluto per stimolarci nella caccia, oggi ci spinge a “cacciare” ricompense digitali, trasformando un istinto di sopravvivenza in un ciclo di gratificazione artificiale. Liste di cose da fare, aggiornamenti delle email, sono tutti meccanismi che, seppur in modi diversi, attivano questo sistema, ma è il “mi piace” di Facebook, introdotto nel 2009 e definito da Adam Alter “una fonte inesauribile di feedback sociali”, ad aver perfezionato tale processo.

Recenti evidenze scientifiche suggeriscono che l’attivazione continua del sistema dopaminergico associato all’uso degli smartphone possa portare a cambiamenti nelle funzioni cognitive e nelle dinamiche emotive, portando a una maggiore vulnerabilità a disturbi come depressione e ansia[X Song et al., 2025].
Le testimonianze di ex dirigenti di aziende come Facebook e Google sono sconvolgenti. Chamath Palihapitiya, ex responsabile della crescita di Facebook, ha ammesso apertamente: “Volevamo capire come manipolarti il più rapidamente possibile e poi darti una botta di dopamina. L’abbiamo fatto magistralmente in Facebook”. Sean Parker, fondatore di Napster ed ex presidente di Facebook, corroborando questa visione, ha affermato: “Credo che noi – innovatori e ideatori come me, Mark (Zuckerberg), Kevin Systrom di Instagram, tutte queste figure – ne fossimo pienamente consapevoli e, nonostante ciò, abbiamo proseguito”. Queste dichiarazioni svelano una verità scomoda: gli smartphone non sono strumenti neutri, ma piattaforme intelligentemente progettate per hackerare il nostro cervello, sfruttando le nostre caratteristiche evolutive e i bisogni più profondi.
“Non possiamo biasimarci per una mancanza di forza di volontà, quando l’avversario è un “bazooka algoritmico” alimentato da centinaia di milioni di dollari e intelligenza artificiale.”
La fragilità degli adolescenti e i sintomi della nomofobia
La dipendenza da smartphone, sebbene non ancora ufficialmente riconosciuta nel DSM-5 come disturbo a sé stante, presenta caratteristiche allarmanti che la accomunano alle ben più note dipendenze da alcol e droghe, manifestandosi con perdita di controllo e crisi d’astinenza. La dottoressa Adelia Lucattini, membro della Società Psicoanalitica Italiana, sottolinea che la vera dipendenza non è dall’oggetto, ma dai contenuti veicolati attraverso internet, una dipendenza che il DSM-5 invece contempla. Il termine “nomofobia”, ovvero la paura di rimanere senza telefono, si sta diffondendo rapidamente, soprattutto tra le nuove generazioni. I dati in Italia sono preoccupanti: sette adolescenti su dieci possiedono uno smartphone prima degli 11 anni, e la media di utilizzo giornaliero supera le sei ore, con un quarto dei giovani che eccede le otto ore. Questo dato è ulteriormente aggravato dal fatto che quasi 100.000 ragazzi nel nostro paese mostrano caratteristiche compatibili con una dipendenza dai social media, un fenomeno che sembra colpire maggiormente le ragazze.

Il rapporto fra utilizzo degli smartphone e salute mentale diventa allarmante, evidenziando che gli adolescenti con utilizzo problematico degli smartphone possono essere due volte più propensi a sviluppare ansia e depressione[NIHR, 2024]. Gli effetti sulla salute mentale sono amplificati dai meccanismi psicologici che promuovono solitudine e isolamento, lasciando i giovani vulnerabili a esperienze di crisi emotive e sociali.
Gli adolescenti, in particolare, rappresentano una categoria vulnerabile. La loro fase di vita, caratterizzata da profondi cambiamenti fisici ed emotivi, li rende più suscettibili. Le applicazioni e i giochi sono costruiti ad hoc, con contenuti psicostimolanti, colorati ed eccitanti che influenzano direttamente il sistema dopaminergico, regolatore del circuito gratificazione-frustrazione. In un periodo di turbolenza emotiva e ansie, lo smartphone e i suoi contenuti diventano spesso una fonte di consolazione e distrazione. L’immediatezza e la velocità con cui vengono fruiti creano una sorta di “stabilità emotiva illusoria” che, in realtà, nasconde un effetto eccitatorio continuo. Il bisogno di sentirsi ascoltati, al sicuro, e di costruire relazioni autentiche, talvolta non soddisfatto nella vita reale, trova un surrogato effimero nel mondo digitale, come testimoniato dal caso di Luca, un quattordicenne che si è lentamente ritirato in sé stesso a causa del suo smartphone, rifugio emotivo in un periodo di pressioni scolastiche e sociali. Studi recenti evidenziano come l’eccessivo utilizzo dello smartphone generi effetti paragonabili a quelli dell’astinenza, manifestandosi in forme di ansia, insonnia e irritabilità, il che suggerisce un evidente legame fra la dipendenza dalla tecnologia e l’assenza di un benessere sia fisico sia psicologico.[A Salepaki, 2025]. L’attenzione verso tali manifestazioni risulta essenziale nell’affrontare e nel gestire l’aumento esponenziale del problema legato alla dipendenza digitale.
I segnali d’allerta si presentano in modo evidente e devono essere considerati seriamente. Un uso compulsivo, che trascende la volontà individuale e si traduce in un desiderio incessante di connessione, rappresenta i primordiali indizi da osservare attentamente. Secondo la dottoressa Lucattini, sintomi riconducibili all’astinenza da sostanze stupefacenti emergono chiaramente quando ai giovani viene negato lo smartphone: ansia acuta, insonnia persistente, inappetenza, aggressività motoria dalla tendenza ad irritarsi facilmente. Inoltre, c’è il rischio del sonno disturbato; questo molto spesso è causato dall’abitudine errata di mantenere attiva la linea telefonica anche durante le ore notturne. Ciò porta a significativi inconvenienti riguardanti la capacità della persona di alzarsi lucidmente nelle prime ore della giornata. È fondamentale comprendere che tale dipendenza può colpire in qualsiasi momento. Fatti come quello relativo a Maria, una bambina non più grande di nove anni, la quale passava sei ore quotidiane su uno schermo ed esplodeva in crisi isteriche; oppure lo sconvolgente caso dell’adolescente torinese costretto al ricovero per reazioni acute simili a quelle tipiche dell’astinenza dopo aver subito restrizioni dal suo dispositivo mobile, ci forniscono testimonianze tangibili sull’urgenza del tema trattato. La compulsione porta i ragazzi a non separarsi mai dal telefono, portandolo persino in bagno o rifiutando di immergersi in acqua al mare per non lasciarlo. Alcuni arrivano a possederne due per eludere le regole scolastiche. La risonanza magnetica ha confermato che il cellulare può generare una dipendenza psicologica paragonabile a quella dagli stupefacenti, provocando mal di testa, tremori, mal di stomaco, vomito e, nei casi più gravi, attacchi di panico. A lungo termine, si manifestano ansia, depressione, ritardi nello sviluppo del linguaggio nei più piccoli e isolamento sociale nei più grandi, un fenomeno che può sfociare nell’hikikomori.

Prevenzione e gestione: un patto sociale necessario
Nella prospettiva contemporanea riguardante l’utilizzo responsabile degli smartphone emerge un’idea fondamentale: è necessaria una formazione adeguata per prevenire fenomeni legati alla dipendenza. Non appare infatti utile vietare totalmente l’accesso ai dispositivi mobili; al contrario, è preferibile adottare sin dall’infanzia modalità controllate attraverso strumenti digitalizzati privi dell’accesso alla rete internet e attrezzature ludiche conformate al profilo evolutivo dei più piccoli. In tal senso la dottoressa Lucattini propone un’interessante riflessione: se qualcosa viene accolto in modo controllato, diventa parte integrante della vita quotidiana senza produrre disturbi comportamentali indesiderati. Di primaria importanza risulta essere il coinvolgimento in attività quali studi accademici, pratiche artistiche, musicali o atletiche e, più genericamente, tutte le esperienze scolastiche tese a orientarsi verso saperi pratico-cognitivi nuovi; nel caso specifico, sono determinanti nell’affrontare problematiche già manifestate riguardo all’abuso tecnologico. Sfruttando gli smartphone quale veicolo educativo per contenuti accademici e progettando programmi formativi quali coding, robotica o programmazione, possiamo sviluppare consapevolezza tecnologica tra le nuove generazioni, intervenendo affinché l’uso non degeneri.
Dalla recente analisi emerge chiaramente che azioni tempestive accompagnate da attività sportive regolari hanno dimostrato efficacia nel mitigare segni patologici derivanti dalla tecnologia, incanalando invece processualità favorevoli al miglioramento dello stato sociale-psicologico degli adolescenti.[X Song et al., 2025].
Ai genitori spetta il compito di stabilire regole chiare e limiti, come scoraggiare l’uso dello smartphone a tavola. Il ritiro del dispositivo come punizione, se necessario e proporzionato – purché reversibile e non umiliante – può essere efficace, soprattutto se integrato in un sistema premiante, dove il ragazzo può “redimersi” attraverso lavoretti domestici o l’aiuto a fratelli e sorelle. È essenziale distinguere tra un semplice cellulare per la sicurezza, senza accesso a internet e limitato ai numeri essenziali, che potrebbe essere fornito già dagli otto anni, e uno smartphone vero e proprio, il cui utilizzo dovrebbe essere posticipato ai quindici anni, con un limite massimo di tre ore giornaliere. Lo strumento del parental control, o filtro famiglia, sebbene utile per monitorare e limitare l’accesso a determinati contenuti, deve essere impiegato come supporto all’autodisciplina e non come mezzo persecutorio, come sottolinea lo psicoterapeuta Giuseppe Lavenia, presidente dell’Associazione nazionale dipendenze tecnologiche (Di. te.).
Il dilemma dei genitori è complesso. Spesso, per far stare buoni i figli, si ricorre al cellulare come “baby-sitter”, ignorando gli appelli di pediatri e psicologi sui rischi per la salute psicofisica. La questione della “colpa” è un vicolo cieco, come afferma Lavenia; la soluzione risiede nella responsabilità condivisa e nella costruzione di un dialogo aperto e sincero. Dietro l’uso eccessivo dello smartphone si celano spesso richieste d’aiuto inespresse, bisogni emotivi insoddisatti e un tentativo di gestire autonomamente il proprio malessere. Stabilire limiti, quindi, non è una punizione, ma un atto di cura, flessibile e adattato all’età e alle esigenze individuali. Quando un figlio è a rischio dipendenza, il primo passo è instaurare un dialogo non giudicante, esplorando le ragioni del comportamento e proponendo alternative costruttive. In alcuni casi, il supporto di uno specialista è indispensabile per sviluppare strategie di gestione emotiva più sane e sostenibili nel tempo. Un insieme normativo può fungere da guida fondamentale; tuttavia, la vera sfida risiede nell’educazione e nella sensibilizzazione. È essenziale costruire un contesto che favorisca una sinergia fra l’esperienza virtuale e quella concreta mediante strategie efficaci di formazione, informazione e assistenza.
Oltre la disconnessione: il recupero del contatto umano
La lotta contro la dipendenza da smartphone si muove su più fronti, quello individuale e quello sociale, intersecandosi con profonde riflessioni sulla salute mentale, la psicologia cognitiva e comportamentale. Da un punto di vista cognitivo, la dipendenza digitale può essere vista come un disturbo che altera i nostri processi di attenzione e memoria, rendendoci meno capaci di sostenere compiti che richiedono concentrazione prolungata, a causa dell’abitudine alla gratificazione istantanea. Il nostro cervello, costantemente sollecitato da stimoli brevi e frammentati, fatica a riadattarsi a ritmi più lenti e a ricompense differite, riducendo le nostre capacità di pianificazione a lungo termine e di riflessione profonda. Questa “mente da snack”, sempre in cerca della prossima micro-gratificazione, influisce sulla nostra capacità di apprendimento e di problem-solving.
Da una prospettiva comportamentale, la dipendenza si consolida tramite meccanismi di condizionamento operante, dove l’uso dello smartphone (il comportamento) è rinforzato da ricompense variabili (le notifiche, i “like”). Nonostante ciò, i cambiamenti nelle attività neurologiche possono provocare modifiche strutturali nel cervello stesso, compromettendo la capacità di gestire le emozioni e di effettuare scelte ponderate[Debasmita De et al., 2024]. Questo schema, imprevedibile negli esiti, è incredibilmente potente nel creare abitudini difficili da spezzare, proprio come nel gioco d’azzardo. Per le persone che lottano con traumi preesistenti, lo smartphone può diventare una forma di evitamento o di autostimolazione disfunzionale, un modo per sfuggire a pensieri distressing o a emozioni dolorose, senza affrontare la radice del problema. È qui che la dipendenza da smartphone si intreccia in modo più pericoloso con la salute mentale, potenziando sintomi di ansia e depressione piuttosto che alleviarli, e creando un circolo vizioso in cui la dipendenza stessa diventa fonte di ulteriore sofferenza.
Stimolare una riflessione personale significa guardare oltre il mero atto di “staccare la spina”. Non è sufficiente disattivare le notifiche o imporsi ore di “digital detox” se non si è compreso profondamente il motivo per cui lo smartphone è diventato così indispensabile.
La salute mentale, infatti, fiorisce nel contesto di interazioni reali e di un profondo senso di scopo, elementi che il mondo digitale, pur promettendo connettività, spesso erode in silenzio. Non dimentichiamo che il recupero del contatto umano richiede uno sforzo collettivo, dove la comunicazione autentica e le interazioni faccia a faccia assumono un valore inestimabile. Creare opportunità per attività offline, coinvolgendo i giovani in esperienze gastronomiche, sportive e artistiche, può rappresentare un passo fondamentale verso un maggiore equilibrio tra vita virtuale e reale.
- Glossario:
- Nomofobia: paura di rimanere senza telefono.
- Dopamina: neurotrasmettitore legato alla motivazione e al piacere.
- Hikikomori: fenomeno di isolamento sociale, soprattutto tra giovani.
- FOMO: Fear Of Missing Out, ansia di essere esclusi dalle esperienze online.